Dilemmi in cardiologia: quando ricanalizzare una CTO
di Simone Budassi intervista Filippo Stazi
18 Marzo 2023

Budassi: Filippo, grazie per aver condotto una così accurata revisione della letteratura su un argomento ancora molto dibattuto e a me, come sai, molto caro. Potresti chiarirci quali sono i sintomi più frequentemente riferiti dai pazienti con CTO?

Stazi: L’ angina tipica è  meno frequente rispetto ad altre forme di discomfort toracico. Il disturbo più prevalente è la dispnea. Comune è anche la presenza di astenia, faticabilità e depressione. Inoltre, a causa della lenta progressione della malattia, i pazienti spesso si abituano a convivere col loro problema, riducendo gradualmente, quasi senza consapevolezza, il loro livello di attività fino a considerarsi asintomatici.

Budassi: Qual è l’incidenza di CTO nei pazienti sottoposti a studio coronarografico?

Stazi: Il riscontro di CTO è relativamente comune, osservandosi nel 15-20% dei pazienti con coronaropatia ed ancora più frequentemente, 50%, nei soggetti precedentemente sottoposti a bypass aortocoronarico

Budassi: Le CTO PCI sono sicuramente procedure complesse, costose, gravate da un più alto tasso di complicanze ma con il progredire delle tecniche il successo procedurale è aumentato notevolmente negli ultimi anni.

Stazi: Certamente, la percentuale di successo delle ricanalizzazioni percutanee delle CTO (CTO PCI) è andata progressivamente aumentando, sia per il miglioramento dei materiali a disposizione che per la maggior competenza acquisita dagli operatori ed attualmente si attesta intorno all’ 85-90%, nei centri migliori, e intorno al 60-80% nei registri più ampi e quindi più indicativi del mondo reale. Senza entrare nello specifico sono ormai disponibili differenti tecniche (anterograda, dissezione-rientro, retrograda) che devono tutte essere parte del bagaglio tecnico degli operatori.

Budassi: Qual è la prognosi di questi pazienti?

Stazi: I pazienti con CTO sono in genere più anziani di quelli con coronaropatia non ostruttiva e con più comorbidità e presentano, in gran parte anche per questi motivi, una prognosi peggiore. In caso di STEMI la concomitante presenza di una CTO su un’arteria non culprit peggiora la prognosi sia a breve che a lungo termine, soprattutto se l’arteria responsabile dell’infarto forniva collaterali alla CTO.

Budassi: C’è un’evidenza scientifica a favore del trattamento delle CTO?

Stazi: La letteratura al momento non è univoca al riguardo, con risultati discordanti soprattutto tra studi randomizzati e osservazionali, con i primi che hanno fornito esiti inferiori alle attese ed i secondi, soggetti però a possibili bias di arruolamento, invece molto più positivi.

Budassi: Quali potrebbero essere i bias di arruolamento?

Stazi: Sicuramente lo scarso numero di pazienti arruolati, gli alti tassi di cross over tra bracci di trattamento, la breve durata dei follow up, la scadente selezione dei pazienti inclusi, la commistione negli stessi soggetti di trattamento delle CTO e delle lesioni non occlusive, l’inserimento di pazienti a basso rischio e paucisintomatici, la non omogenea ricerca di ischemia e vitalità preliminarmente al trattamento, hanno inficiato la qualità di questi studi, riducendone l’attendibilità

Budassi: E per quanto riguarda gli studi osservazionali?

Stazi: Molti importanti registri [1] hanno fornito risultati più favorevoli al trattamento percutaneo delle CTO. Questi studi hanno spesso dalla loro la forza conferita dall’ampia numerosità dei soggetti osservati e la lunga durata (anche più di 10 anni) dell’analisi, mostrando come i benefici della procedura (riduzione della mortalità sia totale che cardiaca, del rischio d’infarto e di successive rivascolarizzazioni) divengano evidenti solo dopo circa 3 anni dall’intervento, oltre, cioè, i periodi di studio dei trial randomizzati. Registri e studi osservazionali scontano però l’arbitrarietà della selezione dei pazienti trattati che risultano in genere più giovani e “sani” di quelli gestiti conservativamente.

Budassi: Quali potrebbero essere allora i possibili benefici del trattamento percutaneo delle CTO.

Stazi: Una recente metanalisi [2] ha mostrato che i pazienti con CTO trattati con terapia medica hanno un significativamente più alto rischio di morte per tutte le cause rispetto a quelli rivascolarizzati mediante PCI (RR 1.99, p = 0.0002). La stessa metanalisi ha mostrato risultati simili per quanto riguarda l’endpoint morte cardiaca (RR 2.36, p < 0.00001), mentre non mostrava differenze statisticamente significative per il rischio di infarto (RR 1.65, p = 0.06). Se si andava a differenziare studi randomizzati e non randomizzati, in tutti e tre gli endpoint hard, non vi era differenza per i primi, mentre invece era netta negli studi osservazionali.

Budassi: E per quanto riguarda aspetti molto cari ai nostri pazienti come la riduzione dei sintomi e l’eventuale miglioramento della qualità di vita?

Stazi: I risultati degli studi randomizzati EURO-CTO, IMPACTOR-CTO, COMET-CTO dimostrano l’efficacia della CTO PCI nella riduzione dei sintomi e nel miglioramento della qualità di vita. L’unico risultato discordante, quello del DECISION-CTO, è troppo inficiato dai limiti metodologici per smentire l’esito degli altri studi: i pazienti erano poco sintomatici, le lesioni non ostruttive venivano rivascolarizzate dopo la randomizzazione  e non c’era ricerca di vitalità miocardica.

Budassi: Si sono osservati effetti sulla funzione ventricolare sinistra?

Stazi: Anche su questo aspetto vi è discordanza di dati. In una meta-analisi [3] di 34 studi emerge come la CTO PCI induca un miglioramento della FE del 4,44% (p < 0.01) ed una riduzione del VTD del ventricolo sinistro di 6.14 ml/mq (p < 0.01). Però l’unico studio randomizzato condotto sull’argomento [EXPLORE], non ha messo in evidenza un miglioramento della funzione ventricolare sinistra salvo nel sottogruppo dei pazienti con CTO dell’IVA.

Budassi: Il soggetto con CTO ha un rischio aumentato di aritmie e morte improvvisa?

Stazi: Questi soggetti sembrano avere un aumentato rischio aritmico e di morte improvvisa, specialmente se l’occlusione è di un’arteria responsabile d’infarto. Una meta analisi [4] ha considerato sei studi che analizzavano la relazione tra presenza di CTO e occorrenza di VT/VF o terapia appropriata del defibrillatore ed ha evidenziato che l’occlusione si associava ad un incremento di 1,68 volte di tali eventi aritmici (RR 1.68, p < 0.05). Non è però ancora chiaro se la disostruzione possa ridurre tale rischio. Gli unici dati disponibili derivano da uno studio osservazionale [5] su 1.162 pazienti sottoposti a CTO PCI che ha confrontato l’incidenza di morte improvvisa ed aritmie ventricolari sostenute tra coloro in cui la procedura aveva avuto successo e quelli in cui invece non era riuscita. Nei primi, al termine del periodo di osservazione di 12 anni, si è osservata una riduzione significativa (7,5% vs 2,5% p < 0.001) degli eventi aritmici che, però, era interamente dovuta al sottogruppo con CTO in arteria responsabile d’infarto

Budassi: Concludendo cosa consiglieresti ai tuoi pazienti?

Stazi: La decisione di un eventuale trattamento di una CTO deve essere cucita sul paziente. L’analisi dei dati disponibili in letteratura non permette al momento affermazioni conclusive sul ruolo della CTO PCI. E’ indispensabile incorporare nell’algoritmo decisionale sia elementi clinici come la sintomatologia, l’età, la funzione ventricolare sinistra e l’eventuale presenza di  comorbidità, con caratteristiche anatomiche.

Bibliografia:

1-A Park TK, Lee SH, Choi KH et al. Late survival benefit of percutaneous coronary intervention compared with medical therapy in patients with coronary chronic total occlusion: a 10-year follow-up study. J Am Heart Assoc 2021; 10: e019022

2- Li KHC, Wong KHG, Gong M et al. Percutaneous coronary intervention versus medical therapy for chronic total occlusion of coronary arteries: a systematic review and meta-analysis. Current atherosclerosis reports 2019; 21: 42

3- Agrawal H, Lange RA, Montanez R et al. The role of percutaneous coronary intervention in the treatment of chronic total occlusion: rationale and review of the literature. Current Vascular Pharmacol 2019; 17: 278-290

4- Chi WK, Gong M, Bazoukis G et al. Impact of coronary artery chronic total occlusion on arrhythmic and mortality outcomes. A systematic review and meta-analysis. J A Coll CArdiol EP 2018; 4: 1214-1223

5- Godino C, Giattanasio A, Scotti A et al. Risk of cardiac and sudden death with and without revascularisation of a coronary chronic total occlusion. Heart 2019; 105: 1096-1102