La terapia ablativa della fibrillazione atriale (FA) è andata costantemente migliorando nel corso degli anni. Ciò nonostante i suoi risultati, soprattutto nell’ambito della forma persistente, sono ancora subottimali. La fibrosi atriale sinistra, espressione della miopatia atriale, svolge un ruolo importante nella genesi del substrato aritmogenico in quanto favorisce la creazione di circuiti di rientro. Precedenti studi (1-2) hanno mostrato che il rilievo alla risonanza magnetica (RM) cardiaca di aree di fibrosi, evidenziate dalla presenza di delayed enhancement, predice il rischio di recidive di FA dopo ablazione e che queste sono tanto più frequenti quanto maggiore è la quantità di fibrosi presente. Per migliorare l’outcome dell’ablazione si è quindi ipotizzato di aggiungere all’usuale isolamento delle vene polmonari anche l’ablazione delle zone di fibrosi localizzate nell’atrio sinistro ed evidenziate dalla RM. Tale ipotesi è stata testata nello studio DECAAF II (3) condotto, tra il 2016 ed il 2020, in 44 centri tra Europa, Australia e Stati Uniti, su pazienti con FA persistente alla prima ablazione. La controindicazione ad eseguire la RM, un precedente intervento di chirurgia valvolare o una pregressa ablazione erano criteri di esclusione dallo studio. 843 pazienti sono stati randomizzati a essere sottoposti (n = 421) o meno (n = 422), oltre che all’isolamento delle vene polmonari, anche all’ablazione delle zone di fibrosi evidenziate dalla RM. Al termine dei 12 mesi di follow up non si sono osservate differenze significative tra i due gruppi relativamente all’end point primario (recidiva di FA, flutter o tachicardia atriale, della durata di almeno 30 secondi, a partire dal novantesimo giorno successivo all’ablazione): 175 pazienti recidive (43,0%) nel gruppo con ablazione della fibrosi e 188 (46,1%) nel gruppo col solo isolamento (p = 0.63). Il gruppo sottoposto ad ablazione della fibrosi ha inoltre presentato un aumento significativo del numero di eventi compreso nell’outcome di safety (il verificarsi, nei 30 giorni successivi alla procedura, di uno o più dei seguenti: stroke, stenosi delle vene polmonari, sanguinamento, scompenso cardiaco o morte): 9 (2,2%) vs 0 (p = 0.001). I 9 eventi comprendevano 6 strokes ischemici, 1 episodio di fibrillazione ventricolare e 2 decessi, uno dei quali considerato considerato probabilmente correlato con la procedura.
Per comprendere i motivi della mancanza di benefico dell’ablazione delle zone di fibrosi possono essere chiamati in causa vari meccanismi: 1) in seno al tessuto atriale possono coesistere differenti tipi di fibrosi che contribuiscono in maniera non uniforme alla genesi della FA ma che le attuali metodiche di imaging non riescono a discriminare con il conseguente ricorso all’ablazione di eccessive porzioni di tessuto; 2) l’applicazione di un danno termico al tessuto fibrotico potrebbe non essere la strategia appropriata per eliminarne le potenzialità aritmogene; 3) l’ablazione delle zone di fibrosi non è standardizzata e non esistono end point procedurali accertati con inevitabile variabilità operatore-dipendente della metodica.
Il più alto tasso di complicanze nel gruppo sottoposto ad ablazione delle zone di fibrosi è stato principalmente causato dall’incremento degli strokes ischemici. In parte questo è l’inevitabile effetto di un allungamento dei tempi procedurali e della complessità della metodica. E’ però anche verosimile che la maggiore quantità di tessuto ablato possa interferire maggiormente con la funzione atriale causando un aumento della formazione di coaguli e del conseguente rischio embolico.
E’ indubbio che i deludenti risultati dello studio siano stati molto inferiori alle attese e che quindi, al momento, tale strategia terapeutica non possa essere raccomandata. Una possibile speranza su un futuro di questa evoluzione della tecnica ablativa viene comunque dall’analisi per sottogruppi che mostra che, rispetto al solo isolamento delle vene polmonari, l’ablazione delle zone di fibrosi induce una riduzione delle recidive (HR 0,88) nei soggetti con minore carico di fibrosi a differenza di quanto succede, invece, nei casi di fibrosi più estesa (HR 1,09) a indicare, forse, un possibile ruolo della metodica nei soggetti con minore compromissione atriale.
Bibliografia
- Marrouche NF, Wilber D, Hindricks G, et al. Association of atrial tissue fibrosis identified by delayed enhancement MRI and atrial fibrillation catheter ablation: the DECAAF study.JAMA. 2014; 311(5):498-506. doi:10.1001/jama.2014.3
- Akoum N, Wilber D, Hindricks G, et al. MRI assessment of ablation-induced scarring in atrial fibrillation: analysis from the DECAAF Study. J Cardiovasc Electrophysiol. 2015;26(5):473-480. doi:10.1111/jce.12650
Marrouche NF, Wazni O, McGann et al. Effect of MRI-Guided Fibrosis Ablation vs Conventional Catheter Ablation on Atrial Arrhythmia Recurrence in Patients With Persistent Atrial Fibrillation The DECAAF II Randomized Clinical Trial JAMA. 2022;327(23):2296-2305. doi:10.1001/jama.2022.883