CRT-P e CRT-D: questa o quella per me pari sono!
di Filippo Stazi
10 Maggio 2022

La terapia di resincronizzazione cardiaca (CRT) è una componente basilare della terapia dello scompenso cardiaco nei pazienti con ridotta funzione contrattile e QRS slargato per turba della conduzione elettrica intraventricolare. La CRT può prevedere la sola funzione di pacemaker (CRT-P) o anche quella di defibrillazione (CRT-D). La maggior parte dei soggetti ricevono una CRT-D nell’ottica di una migliore prevenzione della morte cardiaca improvvisa (SCD). In realtà tale opzione non è supportata da dati certi, tanto che anche le linee guida internazionali (1) rimandano la scelta tra le due modalità alla valutazione caso per caso. Non esistono infatti in letteratura studi randomizzati di confronto diretto tra CRT-P e CRT-D. Anche il COMPANION (2) confrontava le due modalità con la terapia medica ma non tra di loro. Poiché la stimolazione biventricolare fornisce di per sé una riduzione della SCD, come mostrato dal CARE-HF (3) e in considerazione della riduzione della SCD che negli anni si è osservata con il miglioramento della terapia medica, vi sono molti dubbi se l’opzione del defibrillatore sia effettivamente preferibile, nei pazienti in prevenzione primaria. Nel DANISH (4), ad esempio, il sottogruppo dei pazienti trattati con un dispositivo di resincronizzazione non presentava differenze significative tra CRT-P e CRT-D. Anche i risultati degli studi osservazionali attualmente disponibili sull’argomento, infine, sono contraddittori. Per fare chiarezza sull’argomento è stato progettato il The Re-evaluation of Optimal Re-synchronization Therapy in Patients with Chronic Heart Failure (RESET-CRT) project. Il progetto comprende un trial randomizzato di confronto tra CRT-P e CRT-D, con la mortalità totale come end point primario, mirato a dimostrare la non inferiorità della prima rispetto alla seconda. In aggiunta al trial randomizzato il progetto prevede inoltre uno studio retrospettivo basato sui dati di un ampio database assicurativo tedesco, relativi al periodo 2014-2019 e quindi indicativi della realtà clinica contemporanea.

I risultati di questo studio retrospettivo sono appena stati pubblicati sull’European Heart Journal (5) e sembrano confermare la non inferiorità della CRT-P, in termini di mortalità totale, rispetto alla CRT-D.

L’analisi ha compreso 7.082 pazienti che sono stati sottoposti ad un primo impianto di CRT nel periodo 2014-2019. Da questa popolazione, applicando i criteri previsti dal trial randomizzato, sono stati esclusi i soggetti con età < 18 anni, assenza di sintomi di scompenso, indicazione a defibrillatore in prevenzione secondaria, pregresso impianto di pacemaker o defibrillatore, storia di sincope non spiegata, ricovero nell’ultimo mese per scompenso NYHA classe IV, sindrome coronarica acuta o rivascolarizzazione nelle sei settimane precedenti, trattamento chirurgico o percutaneo di difetti valvolari negli ultimi 3 mesi, insufficienza renale severa e, infine, inserimento in lista d’attesa per trapianto cardiaco. Al netto di tutte le esclusioni sono quindi stati considerati 3.569 pazienti, 847 con CRT-P e 2.722 con CRT-D. Il follow up mediano è risultato di 2,35 anni e l’end point primario dello studio è stato, come detto, la mortalità totale.

I pazienti con CRT-P erano in media più anziani di 6,7 anni rispetto ai portatori di CRT-D e più comunemente avevano disfunzione renale stadio III o IV e fibrillazione atriale. Nel corso del follow up 203 soggetti (24%) con CRT-P e 511 (19%) con CRT-D sono morti. L’analisi non aggiustata mostra quindi un’aumentata mortalità (HR 1,63) nel primo gruppo ma la significatività statistica di tale differenza, verosimilmente imputabile alla diversa età all’impianto tra i due gruppi, viene meno una volta che i dati vengano aggiustati per età e comorbidità. Da segnalare che tale assenza di differenza si conferma in tutti i gruppi d’età considerati: < 65 anni (HR 1,45), > 65 ma < 75 anni (HR 1,29) e > 75 anni (HR 1,19).

Lo studio ha come principale punto di forza la contemporaneità dei dati e come principali limitazioni la natura retrospettiva e la mancanza di informazioni su valore della frazione d’eiezione e durata del QRS. Ovviamente da solo, e in attesa dei risultati del trial randomizzato collegato, non ha la forza per modificare l’attuale comune pratica di preferire la CRT-D, riservando la CRT-P ai pazienti più anziani e con maggiore comorbidità. I risultati di questa analisi, però, costituiscono un importante motivo di riflessione: i maggiori costi, la maggiore incidenza di complicazioni, il possibile effetto negativo sulla qualità di vita indotto dagli shock inappropriati e, infine, la minore longevità della CRT-D, se non bilanciati da significativi effetti sulla mortalità, potrebbero essere infatti essere meno giustificabili di quanto al momento crediamo, per lo meno nella gran parte dei pazienti. Ai trial randomizzati, ovviamente, l’arduo compito di farci dire, alla stregua di Rigoletto, che “questa o quella per me pari sono”.

Bibliografia

  1. Glikson M, Nielsen JC, Kronborg MB et al. ESC Guidelines on cardiac pacing and cardiac resynchronization therapy. Eur Heart J 2021;42:3427–3520
  2. Bristow MR, Saxon LA, Boehmer J et al. Cardiac-resynchronization therapy with or without an implantable defibrillator in advanced chronic heart failure. N Engl J Med 2004;350:2140–2150
  3. Cleland JGF, Daubert J-C, Erdmann E, et al. Longer-term effects of cardiac resynchronization therapy on mortality in heart failure [the CArdiac REsynchronization-Heart Failure (CARE-HF) trial extension phase]. Eur Heart J 2006;27:1928–1932
  4. Køber L, Thune JJ, Nielsen JC et al. Defibrillator implantation in patients with nonischemic systolic heart failure. N Engl J Med 2016;375:1221–1230
  5. Hadwiger M, Dagres N, Haug J et al. Survival of patients undergoing cardiac resynchronization therapy with or without defibrillator: the RESET-CRT project. Eur H J 2022; 00: 1-9