Controversie in cardiologia: come curare le stenosi coronariche non culprit?
di Alessandro de Vincenzi intervista Francesco Prati
30 Luglio 2021

Nei pazienti con infarto del miocardio con sopraslivellamento del tratto  ST (STEMI) e malattia coronarica multivasale, la rivascolarizzazione completa delle lesioni non culprit, guidata da FFR non comporta una riduzione significativa degli eventi  cardiaci. A questa conclusione inaspettata è giunto recentemente lo studio Flower-MI (1). Ad un anno l’outcome primario (evento composito comprendente morte, infarto miocardico non fatale e ricovero ospedaliero per rivascolarizzazione urgente) si è verificato nel 5,5% dei casi nel gruppo FFR vs il 4,2% dei casi nel gruppo angiografia (HR 1,32; 95% CI, 0.78 to 2.23; P=0.31). Non si sono ottenute differenze significative anche riguardo la morte ed i singoli endpoint, incluso il ricovero per rivascolarizzazione.

Il Prof. Prati ha commentato i risultati dello studio con un articolo pubblicato su questo sito due mesi fa: “Il de profundis del FFR” (2)

A. de Vincenzi: Francesco, un articolo un po’ provocatorio. Perché prendere una posizione così netta? In fondo altri studi hanno sostenuto l’impiego di test funzionali per studiare le lesioni non culprit nei pazienti con sindrome coronarica acuta.

F. Prati: Giusto. Nell’annoso confronto tra le tecniche morfologiche da una parte (IVUS, OCT) e quelle funzionali dall’altra (FFR-IFR), io mi schiero dalla parte della morfologia (2). Sostengo la tesi che è l’aterosclerosi ad essere pericolosa, piuttosto che l’ischemia dovuta a restringimenti luminali. Lo faccio con lo spirito con cui si affrontano controversie ma è evidente che quando argomenti opposti vedono il favore di  ampi schieramenti, non possa esistere  una verità schiacciante.

A. de Vincenzi: E’ curioso che la FFR nello studio Flower –MI non fosse neppure in grado di ridurre le rivascolarizzazioni. Perché?

F. Prati: Non si riduceva in effetti il numero di rivascolarizzazioni urgenti. E’ evidente tuttavia che selezionare le lesioni al limite della significatività angiografica mediante FFR significhi individuare quei restringimenti che potrebbero in futuro causare angina da sforzo. In altri termini se pensiamo ad un end-point non hard, come le rivascolarizzazioni o la comparsa di angina, la valutazione funzionale ha senz’altro un ruolo.

A. de Vincenzi: Quanto fa male l’ischemia?

F. Prati: Mi fai una domanda difficile. Non possiamo escludere che l’ischemia causi delle aritmie potenzialmente fatali ma  non vedo il razionale per comprendere come una valutazione funzionale possa individuare i soggetti a rischio di infarto. L’ entità di un restringimento coronarico (riduzione dell’area luminale) è uno degli elementi di vulnerabilità, ma certamente è meno importante di aspetti morfologici come lo spessore del cappuccio fibroso oppure la componente lipidica o quella infiammatoria della placca.

A. de Vincenzi: Questa affermazione fisiopatologica è sostenuta da argomenti clinici?

F. Prati: In parte si. Il flower-MI, ne è un esempio e si collega bene a studi clinici non invasivi. Ricordiamoci l’ISCHEMIA trial (3); la ricerca non invasiva di ischemia non si è tradotta in un miglioramento della prognosi nei soggetti curati con angioplastica.

Trattare i restringimenti coronarici nei pazienti stabili non sembra migliorare l’outcome senza un’opportuna selezione. In fondo l’ISCHEMIA trial, sviluppa ulteriormente un concetto affrontato 15 anni fa dallo studio COURAGE (4), che ha confrontato l’angioplastica vs la sola terapia medica ottimale in oltre 2000 pazienti con dimostrazione di ischemia e malattia coronarica. L’angioplastica non riduceva l’end point principale dello studio, il composito di morte, ed infarto miocardico non fatale. 

A. de Vincenzi: Se invece ci spostiamo nel setting clinico delle sindromi coronariche acute, il trattamento delle lesioni non culprit mediante angioplastica diviene molto vantaggioso. Lo studio COMPLETE (5) ha mostrato che nei pazienti con infarto miocardico STEMI l’effettuazione dell’angioplastica nelle lesioni non culprit riduce l’incidenza di morte ed infarto miocardico dal 10,5% al 7,8%. No lo trovi sorprendente?

F. Prati: Un pò si.  Le lesioni coronariche dei soggetti con infarto sono più pericolose con quegli aspetti di vulnerabilità che abbiamo descritto. Esiste inoltre uno stimolo infiammatorio più marcato e diffuso a tutto l’albero coronarico. Non mi sarei però aspettato di ottenere un dato così eclatante trattando le lesioni significative e ricorrendo solo all’angiografia. 

A. de Vincenzi: E’ finalmente iniziato l’arruolamento dello studio INTERCLIMA sul confronto tra FFR ed OCT. Metteremo la parola fine a questa diatriba?

F. Prati: Lo spero. E’ un trial ambizioso che prevede l’arruolamento di 1500 pazienti con sindrome coronarica acuta e malattia intermedia di uno o più vasi  non culprit. La randomizzazione a valutazione funzionale ad OCT ( che applica i criteri validati nel CLIMA) chiarirà se è meglio vedere una lesione coronarica o studiarne il significato funzionale.  

References

1.Puymirat E., Danchin N. et al. Multivessel PCI Guided by FFR or Angiography for Myocardial Infarction. N Engl J Med 2021; 385: 297-308.

2 De Profundis della valutazione funzionale nello STEMI:  confronto tra PCI multivasale guidata da FFR o angiografia. www.centrolottainfarto.com

3 D.J. Maron, J.S. Hochman, H.R. Reynolds et al for the ISCHEMIA trial group.  Initial invasive or conservative strategy for stable coronary disease. New Engl J Med 2020

4 Boden WE, O’Rourke RA, Teo KK, et al. Optimal medical therapy with or without PCI for stable coronary disease. N Engl J Med 2007;356:1503-16

5 Mehta S, Wood DA, Storey RF et al. Complete Revascularization with Multivessel PCI for Myocardial Infarction. New Engl J Med 2020. DOI: 10.1056/NEJMoa1907775