Controversia in cardiologia: Clopidogrel o acido acetilsalicilico nel trattamento delle sindromi coronariche croniche?
di Filippo Stazi intervista Laura Gatto
29 Febbraio 2024

Stazi: Nei pazienti con malattia coronarica aterosclerotica (CAD) sottoposti ad angioplastica coronarica percutanea (PCI), le attuali linee guida raccomandano l’impiego di una duplice terapia antiaggregante (DAPT) per la prevenzione di nuovi eventi cardiovascolari per una durata di tempo variabile in funzione della presentazione clinica, del rischio emorragico e del rischio ischemico. Alla sospensione della DAPT ed in assenza di indicazione a terapia anticoagulante orale, le linee guida raccomandano di continuare un singolo antiaggregante. Per la maggioranza della comunità scientifica questo singolo antipiastrinico è l’ASA. Da dove derivano le evidenze a supporto di questa condotta?

Gatto: Le evidenze a supporto derivano da studi condotti negli anni 70 ed 80, successivamente sintetizzati dalle diverse metanalisi degli Anti-Thrombotic Trialist (ATT) Collaboration. La prima ha incluso 25 trial (oltre 29000 pazienti) con storia di infarto miocardico, angina instabile, ictus ischemico o ischemia cerebrale transitoria. Il dato più interessante è stato che il trattamento antiaggregante (nella maggior parte degli studi ASA ad un dosaggio variabile da 300 a 1500 mg/die), si associava ad una riduzione del 15% del rischio di morte vascolare e del 30% del rischio di infarto ed ictus non fatali [1]. La secondaha dimostrato in oltre 20000 pazienti con storia di pregresso infarto miocardico che la terapia antiaggregante comporta una riduzione del 4% del rischio assoluto di nuovi eventi cardiovascolari a due anni (p<0.001) [2]. La terza metanalisi ATT si è focalizzata su dosaggi di ASA ridotti (75-150 mg/die) concludendo ancora una volta che il farmaco si associava ad una riduzione significativa degli eventi vascolari e tale beneficio era di gran lunga superiore all’aumentato rischio di sanguinamenti [3]. L’ultima è stata pubblicata sul Lancet nel 2009 e ha racchiuso i principali studi in cui tale farmaco è stato impiegato in prevenzione primaria e secondaria. In merito al secondo scenario sono stati inclusi 16 trial per un totale di oltre 17000 pazienti giudicati ad alto rischio. Il trattamento con ASA ha dimostrato una riduzione significativa del rischio di un evento vascolare considerato serio (6.7% vs 8.2% per anno, p<0.0001), degli ictus complessivi (2.08% vs 2.54% per anno, p=0.002) e degli eventi coronarici (4.3% vs 5.3% per anno, p<0.0001). L’altra faccia della medaglia è stato un aumento del rischio di sanguinamenti maggiori, di circa due volte e mezzo, ma senza un incremento significativo delle emorragie intracraniche [4].

Stazi: Il dato incontrovertibile che emerge da queste metanalisi è che nei pazienti con CAD l’impiego dell’ASA riduce gli eventi ischemici, a fronte di un accettabile aumento del rischio emorragico. Occorre tuttavia sottolineare come gli studi inseriti in queste metanalisi presentino alcuni grossi limiti che potrebbero limitarne l’applicazione nella cardiologia contemporanea. Tu come la pensi al riguardo?

Gatto: Sicuramente sono studi che riletti criticamente sollevano alcuni dubbi: le popolazioni arruolate sono costituite prevalentemente da pazienti giovani, di sesso maschile, trattati con dosaggi di ASA differenti ed in genere superiore a quello normalmente impiegato. Il limite probabilmente più grosso è rappresentato dal fatto che si tratta di studi datati, quindi non è così scontato che possano essere applicati alla pratica clinica odierna che si è arricchita di nuove armi terapeutiche. Le strategie di prevenzione secondaria di 50 anni fa non sono in nessun modo paragonabili a quelle attuali, basti semplicemente pensare agli enormi progressi portati avanti nel campo del trattamento delle dislipidemie con il raggiungimento di target di LDL sempre più ambiziosi.

Stazi: sono ormai disponibili altri farmaci antiaggreganti come gli inibitori del recettore P2Y12 che inibiscono l’attività piastrinica attraverso vie differenti da quella della ciclossigenasi inibita dall’ASA, offrendo la possibilità di strategie alternative nel trattamento a lungo termine dei pazienti con malattia coronarica. Il clopidogrel rappresenta il capostipite di questa classe di antiaggreganti. Quali evidenze a sostegno della sua efficacia e sicurezza nel trattamento cronico dei pazienti con CAD in alternativa all’ASA?

Gatto: Il primo grosso studio di confronto tra ASA e clopidogrel è stato il CAPRIE (randomised, blinded, trial of Clopidogrel versus Aspirin in Patients at Risk of Ischaemic Events) che ha arruolato oltre 19000 pazienti con aterosclerosi conclamata, randomizzati a clopidogrel 75 mg/die o ASA 325 mg/die. L’endpoint primario è stato il composito di morte vascolare, infarto miocardico ed ictus ischemico. Ad un follow-up medio di poco inferiore ai due anni, il trattamento con clopidogrel riduceva il rischio relativo dell’endpoint primario dell’8.7% rispetto all’ASA (p=0.043). Tale beneficio si realizzava in presenza di un rischio di sanguinamenti intracranico simile tra i due gruppi (0.33% vs 0.47%) ed un rischio di sanguinamenti gastrointestinali a favore di clopidogrel (0.52% vs 0.72%). L’ analisi per sottogruppi ha tuttavia documentato un effetto favorevole di ASA nei pazienti storia di pregresso infarto miocardico, al contrario il clopidogrel si mostrava vincente nei pazienti con stroke ischemico e soprattutto in quelli con PAD, con una riduzione relativa del rischio di eventi rispettivamente del 7.3% e del 23.8% [5].

Piu recentemente lo studio HOST-EXAM (Harmonizing Optimal Strategy for Treatment of Coronary Artery Stenosis–Extended Antiplatelet Monotherapy) ha randomizzato 5438 pazienti con storia di pregressa PCI ad una monoterapia con clopidogrel o ASA. Ad un follow-up di 24 mesi, l’endpoint primario di morte, infarto miocardico, ictus, re-ospedalizzazione per sindrome coronarica acuta e sanguinamenti maggiori era significativamente ridotto nel gruppo clopidogrel rispetto al gruppo ASA, con una riduzione relativa del rischio del 27% ed una riduzione assoluta del 2% (95% CI 0.6–3.3) ed un “number needed to treat” (NNT) pari a 51. I sanguinamenti si sono verificati in 61 pazienti trattati con clopidogrel ed in 87 pazienti trattati con ASA (p=0.036), con una riduzione assoluta del rischio dello 0.9% ed un NNT di 111. Anche le complicanze gastro-intestinali minori (epigastralgia, dispepsia, dolore addominale, nausea, vomito, diarrea, costipazione) sono state documentate prevalentemente nel gruppo ASA (11.9% vs 10.2%, p=0.048). L’effetto benefico del clopidogrel sulla riduzione degli eventi ischemici ed emorragici si è mantenuto in tutti i sottogruppi analizzati [6].

Stazi: Alla luce dei risultati dell’HOST EXAM siamo veramente pronti a rinunciare alla cara vecchia ASA anche in prevenzione secondaria?

Gatto: Sicuramente il grande merito di questo studio risiede nel fatto di essere stato il primo randomizzato a mettere a confronto le due monoterapie dimostrando l’efficacia e la sicurezza del clopidogrel in una popolazione di pazienti post-PCI che possiamo definire “moderna”, perché trattati con stent medicati di ultima generazione e con statine ad alta efficacia. Questo trial presenta, tuttavia, alcuni grossi limiti: il disegno dello studio, aperto e non in cieco; il fatto che sia stato condotto soltanto in una popolazione sudcoreana e pertanto i risultati non possono essere generalizzati ad altre etnie ed inoltre la durata del follow-up che inizialmente era di soli due anni. E’ proprio per superare quest’ultimo aspetto che il periodo di osservazione dei pazienti è stato prolungato e sono stati recentemente pubblicati i risultati dello studio HOST-EXAM Extended. Ad un follow-up di 5.8 anni, si conferma come l’endpoint primario sia consistentemente ridotto con il clopidogrel rispetto all’ASA (12.8% vs 16.9%; HR 0.74, CI 95% 0.63-0.86; p<0.001), con una riduzione anche dell’endpoint secondario trombotico (7.9% vs 11.9%; HR 0.66 CI 95% 0.55–0.79; P<0.001) e dell’endpoint secondario dei sanguinamenti (4.5% vs 6.1%; HR 0.74 CI 95%  0.57–0.94; P=0.016) [11].  

Stazi: Le metanalisi sono inevitabili ed anche in questo contesto ne son state condotte diverse. L’ultima in ordine di tempo, PANTHER, cosa ha dimostrato?

Gatto: Gragnano e coll. hanno recentemente pubblicato i risultati della metanalisi PANTHER (P2Y12 Inhibitor or Aspirin Monotherapy as Secondary Prevention in Patients With Coronary Artery Disease: An Individual Patient Data Meta-Analysis of Randomized Trials), che ha confrontato la monoterapia con ASA verso quella con inibitori del recettore P2Y12 nella prevenzione secondaria dei pazienti con CAD. L’endpoint primario è stato il composito di morte cardiovascolare, infarto miocardico ed ictus; gli endpoint secondari chiave sono invece stati i sanguinamenti maggiori ed il beneficio clinico netto (NACE). Sette trial clinici randomizzati sono stati considerati eleggibili per la metanalisi, ma per ogni studio diversi pazienti sono stati esclusi perché ritenuti non idonei, si tratta infatti di una “individual patient data” metanalisi. Alla fine la popolazione PANTHER ha compreso un totale di 24325 pazienti, 12147 assegnati al gruppo ASA e 12178 assegnati al gruppo inibitori del recettore P2Y12 (clopidogrel 62% e ticagrelor 38%). Gli autori hanno concluso che la monoterapia con inibitori del recettore P2Y12 rispetto a quella con ASA si associa ad un minor rischio di eventi dell’endpoint primario (P=0.012) con un NNT di 121 a due anni. Il rischio di sanguinamenti maggiori è risultato sovrapponibile tra i due gruppi. Anche il NACE è stato ridotto dalla singola terapia con inibitori P2Y12 (HR 0.89; 95% CI: 0.81-0.98; P=0.020). In merito, invece, agli endpoint secondari il rischio di infarto miocardico è risultato significativamente inferiore con la monoterapia con inibitori del recettore P2Y12 (HR 0.77; 95% CI: 0.66-0.90; P<0.001), con un NNT di 136; per l’ictus è stato individuato un trend che non ha raggiunto la significatività statistica (HR 0.84; 95% CI: 0.70-1.02; P=0.076), mentre non è stata riscontrata nessuna differenza nelle mortalità cardiovascolare e nella mortalità per tutte le cause. Inoltre, il rischio di sanguinamenti gastro-intestinali, di trombosi di stent definita e probabile e di ictus emorragico è stato significativamente inferiore nei pazienti trattati con inibitori del P2Y12 rispetto a quelli trattati con ASA. Il risultato della trombosi dello stent, come giustamente sottolineano gli autori nella discussione del lavoro, potrebbe in qualche modo essere legato al fatto che più di un terzo dei pazienti del gruppo inibitore del recettore P2Y12 è stato trattato con un farmaco più potente come il ticagrelor.  Gli autori della metanalisi hanno quindi concluso che in base ai risultati raggiunti, la monoterapia a lungo termine con inibitori del recettore P2Y12 potrebbe essere preferibile a quella con ASA nella prevenzione secondaria dei pazienti con CAD [8].

Stazi: Cosa ci dicono le linee Guida?

Gatto: Durante l’ultimo congresso della Società Europea di Cardiologia sono state rilasciate le linee guida aggiornate sul trattamento delle sindromi coronariche acute che hanno affrontato anche il controverso argomento della terapia antiaggregante in cronico. Nonostante i risultati della metanalisi PANTHER fossero già stati resi noti, gli autori delle linee guida continuano ad indicare l’ASA come farmaco antiaggregante da usare come prima scelta in monoterapia per la prevenzione secondaria nei pazienti con CAD e senza indicazione al trattamento anticoagulante (classe I, livello di evidenza A). La terapia con inibitori del recettore del P2Y12 può essere considerata una alternativa all’ASA, soprattutto in alcuni sottogruppi di pazienti come quelli con aumentato rischio di sanguinamento gastrointestinale, ma la classe di raccomandazione rimane IIB, livello di evidenza A [9].

Bibliografia di riferimento:

  1. Antiplatelet Trialists’ Collaboration. Secondary prevention of vascular disease by prolonged antiplatelet treatment. Br Med J (Clin Res Ed). 1988;296:320–331.
  2. Antiplatelet Trialists’ Collaboration. Collaborative overview of randomised trials of antiplatelet therapy: I: prevention of death, myocardial infarction, and stroke by prolonged antiplatelet therapy in various categories of patients. BMJ. 1994;308:81–106.
  3. Antithrombotic Trialists’ Collaboration. Collaborative meta-analysis of randomised trials of antiplatelet therapy for prevention of death, myocardial infarction, and stroke in high risk patients. BMJ. 2002;324:71–86.
  4. Antithrombotic Trialists’ (ATT) Collaboration. Aspirin in the primary and secondary prevention of vascular disease: collaborative meta-analysis of individual participant data from randomised trials. Lancet. 2009;373:1849–1860.
  5. CAPRIE Steering Committee. A randomised, blinded, trial of clopidogrel versus aspirin in patients at risk of ischaemic events (CAPRIE). Lancet 1996;348:1329-39
  6. Koo BK, Kang J, Park KW, et al. Aspirin versus clopidogrel for chronic maintenance monotherapy after percutaneous coronary intervention (HOST-EXAM): an investigator-initiated, prospective, randomised, open-label, multicentre trial. Lancet 2021;397:2487-96
  7. Kang J, Park KW, Lee H, et al. Aspirin versus clopidogrel for long-term maintenance monotherapy after percutaneous coronary intervention: the HOST-EXAM Extended Study. Circulation 2023;147:108-17
  8. Gragnano F, Cao D, Pirondini L, et al. P2Y12 Inhibitor or Aspirin Monotherapy for Secondary Prevention of Coronary Events. J Am Coll Cardiol. 2023;82:89-105.
  9. Byrne RA, Rossello X, Coughlan JJ,  et al. 2023 ESC Guidelines for the management of acute coronary syndromes. Eur Heart J. 2023;44:3720-3826.