Con il COVID occhio al QTc
di Filippo Stazi
04 Maggio 2021

E’ noto che l’infiammazione sistemica è in grado, attraverso un effetto, mediato dalle citochine, sull’espressione dei canali del potassio, di prolungare l’intervallo QTc. E’ anche risaputo che alcuni virus (HIV, HCV, West Nile) sono in grado di allungare tale intervallo elettrocardiografico, al punto che oggi si parla di canalopatie virali, a sottolineare il rapporto tra infezioni virali e disregolazione del funzionamento dei canali ionici. Non è invece ancora chiaro quale sia l’effetto sul QTc del COVID-19. Importanti informazioni sull’argomento le fornisce uno studio retrospettivo, monocentrico, recentemente pubblicato (1), che ha incluso 965 pazienti ospedalizzati, nel periodo 1 marzo-1 maggio 2020, per sospetta malattia da coronavirus e che hanno eseguito almeno 2 elettrocardiogrammi a distanza di 5 giorni l’uno dall’altro. A causa del lungo tempo di attesa dell’esito del tampone, che era comune nei primi mesi della pandemia, i pazienti venivano spesso inizialmente trattati con idrossiclorochina e/o azitromicina ancora prima della conferma della diagnosi e così, nella casistica dello studio, è inclusa una parte di pazienti sottoposti a tale terapia, sia nel gruppo COVID positivo che in quello COVID negativo. Dei 965 pazienti inclusi nello studio, 733 (76%) erano risultati affetti da COVID e 232 (24%) no. In totale il 20% dei soggetti aveva almeno 80 anni, il 58% era di sesso maschile, il 26% era di razza nera. Diabete, ipertensione e insufficienza renale erano comorbidità comunemente presenti in entrambi i gruppi, sebbene l’ipertensione fosse più prevalente nei soggetti senza infezione da COVID.

Indipendentemente dalla positività o meno al COVID, la presenza di insufficienza renale (+12,2 msec), età ≥ 80 anni (+11.91 msec), incremento di LDH (+ 5.31 msec) e troponina ad alta sensibilità (+ 5.31 msec) si associava ad un significativo prolungamento del QTc rispetto al valore di base.

Utilizzando come confronto un secondo ecg eseguito a distanza di 2 giorni dal primo, i pazienti con COVID presentavano, all’analisi multivariata, un intervallo QTc significativamente maggiore rispetto ai soggetti senza COVID (448.83 msec vs 424.1 msec, p < 0.001). I pazienti con COVID, inoltre, andavano incontro ad un allungamento di tale intervallo rispetto al basale che risultava statisticamente significativo (+ 17,40 msec, p < 0.001), a differenza di quanto succedeva nei pazienti senza infezione (+ 0.11 msec, p = 0.99).

Utilizzando come confronto un ecg eseguito a distanza di 5 giorni dal primo, i pazienti con COVID presentavano, all’analisi multivariata, un intervallo QTc significativamente maggiore rispetto ai soggetti senza COVID (450.45 msec vs 423.13 msec, p < 0.02). I pazienti con COVID, inoltre, andavano incontro ad un allungamento di tale intervallo rispetto al basale che risultava statisticamente significativo (+ 20,81 msec, p < 0.001), a differenza di quanto succedeva nei pazienti senza infezione (- 2.01 msec, p = 0.93).

Indipendentemente dalla positività o meno al COVID il trattamento con idrossiclorochina e/o azitromicina si associava ad un significativo prolungamento del QTc rispetto al valore di base. Idrossiclorochina e azitromicina + 11 msec, p = 0.01, idrossiclorochina da sola + 9.7 msec, p = 0.04, azitromicina da sola + 15.9 msec. P =0.03. Il confronto a 5 giorni forniva risultati analoghi, con la sola differenza che il prolungamento maggiore del QTc si osservava nei soggetti in terapia combinata con idrossiclorochina e azitromicina.

Nel complesso lo studio mostra che:

1) L’infezione da COVID 19 era, all’analisi multivariata, indipendentemente associato con l’allungamento dell’intervallo QTc.

2) Tra i soggetti con COVID non in trattamento con idrossiclorochina e/o azitromicina, un quarto presentava un QTc ≥ 500 msec, contro un decimo di quelli senza COVID.

3) La presenza di insufficienza renale, l’incremento di LDH e troponina ad alta sensibilità, l’uso di idrossiclorochina e/o azitromicina e, soprattutto, l’età ≥ 80 anni si associavano ad un significativo prolungamento del QTc rispetto al valore di base.

Non vi sono ancora dati su quanto tale allungamento del QTc possa contribuire alla mortalità dovuta al COVID ma dal punto di vista pratico emerge l’importanza di controllare in maniera seriata il QTc dei pazienti affetti da COVID, specie in presenza dei fattori di rischio precedentemente descritti, di correggere tempestivamente gli altri possibili fattori contribuenti a tale fenomeno (febbre, disturbi elettrolitici) e di evitare la somministrazione di farmaci capaci di prolungare la ripolarizzazione.

 

Bibliografia

 

  • Rubin GA, Desai AD, Chai Z et al. Cardiac corrected QT interval changes among patients treated for COVID-19 infection during the early phase of the pandemic. JAMA Network Open 2021; 4 (4): e216842