Come stratificare il rischio di morte improvvisa nella S. di Brugada?
di F. Brandimarte intervista F. Stazi
20 Ottobre 2022

Brandimarte: Dott. Stazi può dirci brevemente cosa si intende per Sindrome di Brugada?

Stazi: La Sindrome di Brugada è una condizione ereditaria caratterizzata dal sopraslivellamento “coved-type” del segmento ST nelle derivazioni precordiali destre in assenza di cardiopatie strutturali. E’ stata descritta per la prima volta negli anni ‘90 del secolo scorso dai fratelli Brugada e rappresenta da allora una sfida notevole per il cardiologo a causa della variabilità delle sue manifestazioni cliniche. I pazienti che la presentano, infatti, possono restare asintomatici per tutta la vita ed essere riconosciuti solo occasionalmente oppure possono andare incontro a morte improvvisa, passando per le forme intermedie della sincope o del respiro agonico notturno. La sfida per il cardiologo è quindi riuscire ad individuare quali dei pazienti affetti presenteranno eventi futuri e quali, invece, decederanno di serena vecchiaia.

Brandimarte: Quale trattamento ha dimostrato comprovata efficacia per questa sindrome?

Stazi: L’unica terapia che si è finora dimostrata sicuramente efficace è l’impianto di un defibrillatore impiantabile il cui uso, però, anche in considerazione dell’età spesso giovanile dei soggetti con tale condizione clinica, è gravato da un tasso di eventi indesiderati non trascurabile. In uno studio recente, ad esempio, a fronte di un tasso di shock appropriati del 18,5% in 82 mesi, si è assistito ad un’analoga cifra (18,1%) di interventi inappropriati del dispositivo. A questi vanno poi aggiunte le complicanze dell’impianto. E’ quindi ovvio alla luce di questi dati, considerando poi anche le motivazioni di carattere economico, che il ricorso all’impianto del defibrillatore deve essere il più possibile ben calibrato per evitare disagi eccessivi al singolo e costi abnormi alla società. Un defibrillatore si considera in genere indicato se il rischio di morte improvvisa è > 1,2% l’anno e > 6% a 5 anni.  I pazienti con Brugada che hanno già presentato una morte improvvisa, fortunatamente abortita, e, sia pure in minor misura, quelli che hanno già presentato una sincope sicuramente a genesi aritmica, si pongono senza dubbio in una fascia di rischio al di sopra di questa soglia (rispettivamente 8% e 2% annuo) e quindi sono indiscutibilmente candidati a ricevere il device. I pazienti invece asintomatici sono di più difficile gestione. Nelle varie casistiche la loro mortalità totale (0,5% annuo nel FINGER, 0,9% nello studio di Delise, addirittura 0,08% nei soggetti con Brugada indotto dai farmaci) non differisce significativamente da quella (0,5%) della popolazione generale e quindi non giustifica l’impianto del defibrillatore. In ossequio a quanto finora detto le linee guida prevedono appunto l’impianto del defibrillatore nei pazienti con pregressa morte improvvisa abortita (classe I) e nei pazienti con Brugada tipo 1 spontaneo e sincope (classe IIa). Più discussa l’indicazione di classe IIb riservata ai soggetti con Brugada tipo 1 spontaneo e inducibilità di aritmie potenzialmente letali allo studio elettrofisiologico.  La bassa mortalità dei soggetti asintomatici nasconde però una quota non trascurabile di soggetti che vanno comunque incontro a morte improvvisa. La grossolanità delle attuali indicazioni è evidenziata dai dati dello studio SABRUS in cui il 25% dei pazienti con defibrillatore andati incontro ad eventi aritmici non avevano in realtà un’effettiva indicazione al momento dell’impianto.

Brandimarte: Che ruolo ha lo studio elettrofisiologico?

Stazi: E’ senza dubbio Il primo ausilio cui si è fatto ricorso nella stratificazione prognostica la cui utilità, però, è tuttora oggetto di aspre contese accademiche e da solo, nonostante l’indicazione di classe IIb delle linee guida, non sembra in grado di giustificare un impianto. Nel PRELUDE, ad esempio, il rischio a 3 anni di fibrillazione ventricolare o di interventi appropriati del defibrillatore risultava del 3,9% nei pazienti inducibili e del 4,9% in quelli non inducibili. Risultato confermato anche in altri studi, anche con protocolli non aggressivi con massimo due extrastimoli, come, ad esempio, quello di Shinohara in cui l’incidenza annuale di eventi aritmici non differiva significativamente tra inducibili e non inducibili: 0,4 vs 0,5% rispettivamente. Altri studi però, sia precedenti che contemporanei hanno invece mostrato risultati discordanti. Sroubek, ad esempio ha trovato che l’inducibilità allo studio elettrofisiologico si associava ad un aumento di 2.7 volte del rischio di eventi aritmici, specialmente se l’induzione avveniva con solo 1 o 2 extrastimoli. Esistono plurime possibili spiegazioni dell’eterogeneità dei risultati disponibili in letteratura: 1) differenze nei protocolli di stimolazione 2) limitazioni statistiche secondarie al numero limitato di pazienti asintomatici con aritmie indotte e con successivi eventi aritmici 3) difficoltà di valutazione del potere predittivo dello studio elettrofisiologico in quanto l’inducibilità conduce in genere all’impianto del defibrillatore i cui interventi, anche per aritmie altrimenti comunque a terminazione spontanea, possono sovrastimare il rischio; ciò può anche rendere ragione della perdita di significatività predittiva dello studio elettrofisiologico in alcuni studi, passando dall’analisi univariata a quella multivariata 4) l’estesa variabilità del risultato dello studio elettrofisiologico anche nel singolo paziente con un tasso di riproducibilità che non supera il 35%.  Alla luce di quanto detto, quindi, la sola inducibilità di aritmie allo studio elettrofisiologico non sembra sufficiente a giustificare l’impianto di un defibrillatore e l’uso routinario di tale procedura non sembra quindi raccomandabile. Ciò non toglie che la metodica possa essere comunque un elemento della stratificazione prognostica dei pazienti, potendo ad esempio funzionare come “tie-breaker” in circostanze particolari, come soggetti giovani con Brugada spontaneo e sincope di incerta origine, in cui la facile inducibilità aritmica potrebbe far propendere per l‘impianto del defibrillatore.

Brandimarte: Sesso ed età non sembrano uno strumento molto utile per la stratificazione prognostica ma la familiarità per morte improvvisa invece?

Stazi: Numerosi studi hanno valutato il significato prognostico di una storia familiare positiva per morte improvvisa, la quale però, pur con ampia eterogeneità dei risultati, non si è rivelata in grado di predire in maniera statisticamente significativa gli eventi aritmici. Una recente metanalisi ha però mostrato che considerando solo i decessi che si verificano prima dei 35 anni, riducendo quindi il ruolo causale della cardiopatia ischemica e di altre cardiopatie che è presente nella morte dei soggetti più anziani, la familiarità diviene prognosticamente significativa. Il valore predittivo è tanto maggiore quanto minore è l’età a cui si verifica la morte improvvisa.

Brandimarte: Esistono dei test genetici che potrebbero aiutare allo scopo?

Stazi: La stratificazione del rischio genetico nella sindrome di Brugada è in continua evoluzione ed alcuni studi hanno segnalato che la presenza di mutazioni del gene SCN5A può essere predittiva di eventi futuri, per lo meno negli asiatici. Il dato non ha trovato invece conferma nella popolazione europea oggetto dello studio FINGER. Anche una metanalisi del 2019 che ha incluso sette studi per un totale di 1.049 pazienti (302 con mutazione del gene SCN5A e 747 senza) ha riscontrato solo un aumento non statisticamente significativo nei portatori della mutazione. Allo stato attuale, quindi, la sola presenza di mutazioni genetiche non è sufficiente a porre indicazione ad impianto del defibrillatore.

Brandimarte: Quali sono i markers elettrocardiografici studiati e che affidabilità hanno nella stratificazione del rischio aritmico?

Stazi: I soggetti con Brugada tipo 1 spontaneo hanno un aumentato rischio aritmico. Nello studio di Rattanawong, ad esempio, l’incidenza annuale di eventi aritmici era 2,4% nei soggetti (sintomatici ed asintomatici) con Brugada tipo 1 spontaneo contro lo 0,65% dei soggetti con Brugada indotto dal test farmacologico con i bloccanti dei canali del sodio. Nei soli pazienti con sincope il rischio annuale di eventi aritmici era di 2,3-3.7% in caso di quadro elettrocardiografico spontaneo contro il 2.0% del Brugada indotto dai farmaci. Nei pazienti asintomatici il rischio di eventi aritmici era 0,8-1,2% in presenza di Brugada spontaneo e di 0,3% in caso di Brugada indotto. Vari studi hanno valutato poi il significato prognostico della fibrillazione atriale nei pazienti asintomatici con Brugada. Una metanalisi del 2019 comprendente 6 studi per un totale di 1703 pazienti, in cui la prevalenza di fibrillazione atriale oscillava tra il 5,2% e il 17,9% e gli eventi aritmici maggiori si verificavano tra il 2,3 e il 10%, mostrava comunque un’associazione significativa tra la presenza di fibrillazione atriale ed il rischio di eventi aritmici maggiori. Un altro parametro elettrocardiografico preso in considerazione è stato la presenza di un QRS frazionato nelle precordiali. Una metanalisi ha valutato 9 studi sull’argomento, 4 retrospettivi e 5 prospettici confrontando 550 soggetti con Brugada e QRS frazionato e 1.810 individui con Brugada ma senza QRS frazionato. In tutti gli studi si osservava un aumentato rischio di eventi aritmici maggiori nei soggetti con QRS frazionato, anche se in due di questi lavori l’incremento non era statisticamente significativo. Nella metanalisi, comunque, la presenza di QRS frazionato induceva un aumento del rischio di eventi aritmici maggiori. Inoltre, il quadro elettrocardiografico della ripolarizzazione precoce è comune nei pazienti con Brugada. La presenza di ripolarizzazione precoce aumenta il rischio di eventi aritmici, soprattutto se localizzata in sede inferolaterale. Un quadro di ripolarizzazione precoce globale conferisce il massimo del rischio probabilmente perché indica una maggiore area di miocardio che può presentare circuiti di rientro, confermando così l’importanza del “Brugada pattern” nel determinare il rischio aritmico di un soggetto. In una recente metanalisi la presenza di ripolarizzazione precoce in pazienti con Brugada asintomatici mostrava un aumentato rischio aritmico rispetto alla sua assenza. L’aumento del rischio era maggiore in caso di ripolarizzazione precoce inferolaterale vs ripolarizzazione precoce inferiore vs ripolarizzazione precoce laterale. In aggiunta la durata del QRS >120 millisecondi è risultata essere associata ad un aumentato rischio di eventi aritmici maggiori ad una metanalisi. Infine, la comparsa di extrasistoli ventricolari nei primi (1,5-3) minuti di recupero dopo test ergometrico è più frequente nei pazienti con Brugada che sviluppano fibrillazione ventricolare rispetto a quelli privi di eventi, a sottolineare il ruolo della stimolazione vagale nella genesi aritmica in questa patologia.

Brandimarte: Recentemente è stata messa in discussione la definizione di Brugada come esclusivamente “patologia elettrica” a favore di una malattia elettro-anatomica, ce ne può parlare brevemente?

Stazi: in effetti il concetto di Brugada come patologia priva di alterazioni strutturali è probabilmente non è del tutto corretto: la risonanza magnetica cardiaca ha infatti messo in evidenza in pazienti con la sindrome la frequente presenza di anomalie quali: ingrandimento dei volumi del ventricolo destro, aumento dell’area del tratto di efflusso del ventricolo destro, presenza di lievi anomalie cinetiche del ventricolo destro, soprattutto a livello della parete inferiore e fibrosi biventricolare localizzata prevalentemente a livello dell’epicardio del tratto di efflusso del ventricolo destro. Inoltre, la risonanza ha anche mostrato correlazione tra il massimo sopraslivellamento ST e l’area massimale del tratto di efflusso del ventricolo destro nei soggetti con Brugada 1 spontaneo. Al momento non vi sono dati di correlazione tra questi rilievi e la prognosi, però si nutrono molte speranze che la risonanza possa in avvenire migliorare la stratificazione prognostica dei pazienti con Brugada. Recenti evidenze, infine, hanno messo in evidenza nei pazienti con Brugada oltre alla presenza di fibrosi anche una riduzione della connessina specie nel tratto di efflusso del ventricolo destro. Queste alterazioni sono la causa della presenza di regioni a conduzione rallentata a loro volta responsabili delle alterazioni elettrocardiografiche e delle aritmie presenti nella sindrome. Sebbene il significato prognostico di queste anomalie debba ancora essere validato prospetticamente nel contesto di modelli multiparametrici di stratificazione dl rischio, esistono dati di correlazione tra l’estensione delle alterazioni e l’inducibilità della fibrillazione ventricolare durante studio elettrofisiologico. Inoltre, i pazienti con morte improvvisa abortita mostrano aree di anomalie significativamente più estese dei soggetti asintomatici. Tali dati fanno sperare che lo studio delle alterazioni elettroanatomiche del tratto di efflusso del ventricolo destro possa divenire in futuro un valido strumento di stratificazione prognostica di questi pazienti.

Brandimarte: Potrebbero essere di aiuto degli Score di rischio?

Stazi: Come abbiamo visto numerosi markers elettrocardiografici sono stati proposti per la stratificazione del rischio dei pazienti asintomatici con Brugada ma in genere sono tutti derivati da studi monocentrici non validati successivamente in altre coorti. Nessuno studio ha fornito una valutazione esauriente di tutti i markers proposti in una coorte internazionale multicentrica. Inoltre, i fattori di rischio hanno buon potere predittivo negativo ma basso potere predittivo positivo. L’utilità di questi markers presi singolarmente è, quindi, nella pratica clinica, limitata. Si è quindi cercato di combinare tra loro questi fattori di rischio con l’obiettivo di eleborare dei risk scores capaci di aiutare la gestione di questi pazienti. Sebbene siano stati proposti diversi risk scores (Letsas, Shangai, Shinohara, Honarbakhsh per citarne alcuni) è però necessario che siano validati prospetticamente in ampie casistiche. Inoltre, la maggior parte degli algoritmi proposti include il parametro sincope e perciò sono scarsamente applicabili alla popolazione asintomatica. Infine, la loro maggiore efficacia si esplica nei pazienti a rischio basso od elevato mentre sono meno performanti nei pazienti a rischio intermedio che costituiscono il sottogruppo in cui sarebbero invece più necessari.

Brandimarte: Concludendo siamo ancora in alto mare con la stratificazione prognostica nella sindrome di Brugada?

Stazi: L’attuale stratificazione prognostica dei pazienti asintomatici è indubbiamente subottimale. Sicuramente emergente è il cosiddetto concetto di “Brugada burden”: tanto più sono estese le alterazioni elettrocardiografiche della sindrome nello spazio (derivazioni periferiche oltre precordiali) e nel tempo (persistenza nel follow up delle alterazioni elettrocardiografiche), tanto maggiore la probabilità di eventi aritmici. Numerosi markers clinici ed elettrocardiografici sono stati valutati come predittivi del rischio aritmico ma nessuno di essi è in grado da solo di guidare la scelta di impiantare o meno un defibrillatore, la sola terapia finora dimostratasi efficace nel prevenire la morte improvvisa di questi pazienti. Anche il valore prognostico dello studio elettrofisiologico è andato gradualmente riducendosi nel corso del tempo. Le decisioni terapeutiche vanno quindi al momento assunte tenendo in considerazione un ampio numero di variabili, possibilmente incluse in risk scores da validare prospetticamente e in casistiche ampie. La risonanza magnetica cardiaca e lo studio delle alterazioni elettro-anatomiche del tratto di efflusso del ventricolo destro potranno molto probabilmente migliorare in futuro la nostra capacità di stratificazione prognostica.

Brandimarte: Dott. Stazi grazie per l’excursus su questa temibile sindrome.