Challenges in cardiologia: diagnosi di endocardite su valvola nativa e protesica
di Camilla Cavallaro intervista Mauro Pepi
19 Marzo 2023

Cavallaro: L’endocardite infettiva, nonostante l’avanzamento delle metodiche di imaging, rimane ancora una sfida per il cardiologo, ed è gravata da un’elevata mortalità quali sono secondo lei i motivi?

Pepi: Sicuramente le nuove tecnologie di imaging cardiovascolare hanno fortemente influenzato la diagnosi di endocardite batterica (EI), ma la presentazione clinica dell’EI può essere polimorfa, il che giustifica la difficoltà di diagnosi e il ritardo nel trattamento.  L’EI può avere aspetti differenti a seconda degli organi interessati, della patologia cardiaca sottostante, del microrganismo interessato e delle caratteristiche del singolo paziente. Sintomi quali febbre, brividi, perdita dell’appetito e di peso e fenomeni embolici non sempre sono presenti, in particolare nei pazienti anziani o immunodepressi. Peraltro sintomi sfumati in pazienti ad alto rischio per lo sviluppo di EI, quali i portatori di protesi valvolari o di device intracardiaci, i pazienti con cardiopatie congenite e i soggetti tossicodipendenti devono far sospettare come altamente probabile una diagnosi di endocardite infettiva.

Cavallaro: Nonostante il diffondersi delle nuove tecniche di imaging, l’ecografia mantiene comunque un ruolo centrale nella diagnosi e nella gestione delle endocarditi infettive. Quali sono le sue principali applicazioni?

Pepi: L’ecocardiogramma risulta essenziale nella valutazione prognostica del paziente, nella valutazione iniziale del rischio embolico e quindi sulle successive decisioni terapeutiche, oltre ad avere un ruolo fondamentale nel follow-up della terapia medica e chirurgica. Tra tutte le tecniche di imaging,  l’ecocardiografia (transtoracia e transesofagea) è la metodica ampiamente disponibile in grado di fornire dati anatomici e funzionali, con elevata sensibilità e specificità. La risoluzione temporale e spaziale facilita il riconoscimento delle vegetazioni e delle complicanze di EI. Vari nuovi tools 3D quali la transilluminazione, gli effetti di trasparenza e vari altri accorgimenti tecnici proposti, rendono le immagini più realistiche e soprattutto permettono di sovrapporre simultaneamente i jets in 3D colore all’interno delle immagini tridimensionali. In questo modo sede ed entità di rigurgiti, perforazione dei lembi, fistole possono essere identificate con maggiore semplicità ed accuratezza.

Cavallaro: Quali sono i vantaggi, svantaggi e principali applicazioni delle due metodiche, ecocardiografiche transtoracico (ETT) e transesofageo (ETE)?

Pepi: L’accuratezza diagnostica dell’ecocardiografia non è del 100%. In particolare la sensibilità dell’ETT nell’individuare le vegetazioni è del 70% su valvola nativa, ma scende al 50% in presenza di protesi o device. La specificità della metodica è per contro del 90% sia su valvola nativa che su protesi valvolare e/o device. L’ecotransesofageo (ETE) raggiunge una sensibilità del 90% su valvola nativa e di circa l’85% su valvola protesica, mentre la specificità è superiore al 90%. Questo significa che la negatività di un ETE non deve escludere a priori la patologia, soprattutto se l’esame è eseguito in fase precoce di malattia quando le vegetazioni sono ancora troppo piccole per essere rilevate. In presenza di un elevato sospetto clinico le linee guida raccomandano quindi la ripetizione dell’esame transesofageo dopo 7-10 gg dal precedente.

Infine una specificità dell’ETE inferiore al 100% implica la possibilità di falsi positivi (tumori, trombi, rottura di corda o strands fibrosi della valvola o fibrielastomi). Questo significa che l’esame va sempre interpretato alla luce della presentazione clinica e della probabilità di endocardite.

L’ETE è inoltre obbligatorio in presenza di protesi cardiaca e/o device intracardiaco, anche quando la ETT ha già confermato la diagnosi di E.I.,perché fornisce ulteriori informazioni sull’eventuale coinvolgimento perivalvolare. L’ETE va inoltre sempre eseguita intraoperatoriamente in tutti i casi di E.I. che richiedono trattamento chirurgico. 

Cavallaro: Cosa aggiunge invece lo studio con TC?

Pepi: Questa metodica è fondamentale per lo studio di ascessi/pseudoaneurismi in particolare in presenza di protesi valvolari con accuratezza diagnostica pari se non superiore alla TEE. È utile soprattutto nella dimostrazione delle complicanze degli ascessi perivalvolari con eventuali fistolizzazioni e/o degli aneurismi micotici, essendo meno soggetta della TEE agli artefatti protesici. La TAC consente inoltre la valutazione del circolo coronarico in pazienti che non possono eseguire coronarografia per endocardite su valvola e/o protesi valvolare aortica e può essere vantaggiosa nel definire il grado di calcificazione della valvolare, della radice aortica e/o dell’aorta ascendente. E’ inoltre fondamentale nella valutazione delle complicanze emboliche dei distretti extracardiaci (cerebrale, spinale, toracica e viscerale) e pertanto va sempre eseguita nei pazienti con diagnosi di endocardite.

Cavallaro: Tra le tecniche di medicina nucleare la PET/CT (tomografia ad emissione di positroni associata a CT) con F-fluorodesossiglucosio o con leucociti marcati apporta notevoli vantaggi nella diagnosi di EI. Quali sono però i suoi limiti?

Pepi: Con l’introduzione delle apparecchiature ibride sia per la medicina nucleare convenzionale (TC a emissione di fotone singolo SPECT/TC) sia per la PET (PET/TC), le tecniche di imaging nucleare e molecolare stanno diventando uno strumento aggiuntivo importante per i pazienti con sospetta EI. Tuttavia i risultati della F-FDG PET/TC nei pazienti recentemente sottoposti a chirurgia cardiaca devono essere interpretati con molto cautela, in quanto un’eventuale reazione infiammatoria post-intervento può tradursi in una captazione aspecifica del tracciante nell’immediato post-operatorio. Pur con questo limite la F-FDG PET/CT nel sospetto di EI su protesi valvolare (se eseguita nei sospetti di endocardite su protesi impiantate > 3 mesi prima) aumenta la sensibilità dei criteri di Duke dal 70 al 95%.

Cavallaro: Tra le varie novità introdotte nel campo dell’endocardite, c’è quella dell’”endocarditis team”, da chi è composto ? E in che modo è in grado di migliorare  la gestione del paziente con EI?

Pepi: Vari studi hanno validato l’importanza di un team di esperti (clinico, infettivologo, espetto di imaging, anestesista, cardiochirurgo, neurologo ed eventualmente neurochirurgo) che porti a decisioni condivise soprattutto nei casi più complessi.

In particolare il ruolo dell’endocardite team è quello di discutere i pazienti più fragili o estremamente compromessi, perché se le indicazioni alla chirurgia (necessaria in circa 50% dei casi di endocardite infettiva) è ben stabilita dalle linee guida, il timing chirurgico e il follow up dei pazienti è tuttora motivo di dibattito.

Infatti la decisione chirurgica deve prendere in considerazione non solo la localizzazione e l’estensione dell’infezione, ma anche lo stato preoperatorio e le comorbidità del paziente e pertanto la reale fattibilità di una chirurgia molto precoce. Gli score attualmente in uso in cardiochirurgia (Euroscore II o STS score) non sono specifici ed accurati per i pazienti con endocardite infettiva. Mancano quindi degli strumenti che possano aiutare a selezionare i pazienti che maggiormente possono beneficiare della chirurgia. A questo scopo sono stati recentemente stati validati dei nuovi score (e-risk Score e Endoval score) che possono svolgere questa funzione e che potrebbero quindi essere utilizzati nelle discussioni dell’endocarditis team.

Cavallaro: Come cambia l’approccio diagnostico-terapeutico quando invece l’endocardite si presenta nel cuore destro?

Pepi: Questa forma di endocardite è in linea di massima associata ad un miglior outcome, rispetto all’endocardite delle camere sinistre. Questo per molteplici fattori, in primo luogo perché ne sono affetti di solito pazienti più giovani, perché la disfunzione della valvola tricuspide ha minor impatto emodinamico rispetto alla valvola mitrale e/o aortica, e perché l’embolizzazione delle vegetazioni è meno frequente. Inoltre la formazione di ascessi è meno frequente e si verifica una minor resistenza agli antibiotici. La mortalità generalmente è < al 5-10% anche senza chirurgia. L’indicazione chirurgica per queste forme consiste in una infezione non eradicabile (solitamente da funghi o stafilococco), nelle ripetute embolizzazioni polmonari (di solito quando le vegetazioni sono di dimensioni > 20 mm) o quando è presente scompenso destro in presenza di severo rigurgito polmonare/tricuspidale. Nelle forme di endocardite del cuore destro non sono applicabili i nuovi score applicati nelle forme del cuore di sinistra. Anche l’eziologia oltre a quella simile all’EI delle altre valvole è peculiare e frequentemente relata ad utilizzo di sostanze stupefacenti.

Cavallaro: In che modo il multimodality imaging può essere di supporto alla chirurgia?

Pepi: In presenza di una infezione e distruzione tissutale molto avanzata, perforazioni, fistole, ascessi l’intervento chirurgico assume un rischio molto elevato e va pianificato con estrema attenzione (se ritenuto possibile ed indicato in base alla condizione del pz e del rischio-beneficio discusso dal team dell’EI). Le varie tecniche ecocardiografiche e TAC sopradescritte vanno eseguite integrando i dati diagnostici di ciascuna di esse ed ottenendo tutte le informazioni richieste dal cardiochirurgo.

L’eco pre-operatorio ed intraoperatorio (spesso anche completati da dati TAC) mirano ad una precisa valutazione del danno endocarditico definendo ogni dettaglio che possa anticipare il planning il gesto chirurgico che naturalmente il cardiochirurgo poi adatterà alla situazione anatomica che dovrà affrontare. Fondamentale ad intervento terminato e ripresa ad uscita dalla CEC l’esecuzione di un ETE perioperatorio attento a valutare funzionalità protesica, possibili residue fistole/leaks, funzionalità biventricolare.