Sappiamo bene che la carenza di ferro (Iron Deficiency, ID) sia un fattore determinante per la prognosi dei pazienti con scompenso cardiaco (SC), indipendentemente dalla frazione d’eiezione e dal grado di anemia. Il ferro è infatti un componente chiave nella struttura della molecola di emoglobina, regola il trasporto/assorbimento ed utilizzo dell’ossigeno nel sangue, serve da catalizzatore in molti processi enzimatici ed è presente nel metabolismo dei miociti e delle cellule muscolari scheletriche.
Le definizioni di ID sono però molteplici e presentano una diversa correlazione con gli outcome prognostici. Per fare chiarezza su questo argomento, Masini e colleghi hanno pubblicato su JACC un interessante analisi delle principali definizioni di carenza di ferro e le loro associazioni ed implicazioni prognostiche (1)
Secondo le attuali linee guida europee per il trattamento dello scompenso cardiaco (2) la carenza di ferro può essere definita come ferritina sierica <100 ng/mL o tra 100-299 ng/mL con saturazione della transferrina (TSAT) <20% (2).
Una definizione basata unicamente sul dosaggio della ferritina presenta però delle evidenti limitazioni; basti solo pensare agli stati infiammatori, comuni nei pazienti con scompenso cardiaco. Qui un aumento della ferritina potrebbe mascherare la carenza di ferro, e più in generale qualsiasi meccanismo determinante danno cellulare potrebbe portare ad un aumento dei valori ematici di ferritina.
Non ci stupisce quindi come lo studio di Masini e colleghi abbia dimostrato, non solo che l’attuale definizione di ID proposta dalle linee guida non sia correlata con la mortalità, ma che nella popolazione di pazienti con scompenso cardiaco i bassi livelli di ferritina nel sangue costituiscano degli indicatori prognostici favorevoli.
Dai risultati è infatti emerso che: dei 4422 pazienti con scompenso cardiaco analizzati (età media 75 anni, 60% sesso maschile, 32% con frazione d’eiezione ridotta) il 46% aveva una TSAT <20%, il 48% livelli di sideremia <=13 mmol/L, il 57% aveva una ferritina sierica <100 ng/mL, e di tutti i pazienti analizzati il 68% aveva i criteri per soddisfare la definizione di ID proposta dalle linee guida (e tra questi il 35% aveva una TSAT >20%). Indipendentemente dalla definizione attribuita, la carenza di ferro è più comune negli individui di sesso femminile, con sintomi più severi, anemia o frazione d’eiezione conservata. Una saturazione della transferrina ridotta (<20%) ed una sideremia <=13 mmol/L, in assenza di altri criteri richiesti dalle linee guida per la caratterizzazione della carenza di ferro, sono risultati essere associati ad un significativo aumento della mortalità a 5 anni (HR: 1.27; 95% CI: 1.14-1.43; P < 0.001; e HR: 1.37; 95% CI: 1.22-1.54; P < 0.001, rispettivamente). La ferritina sierica <100 ng/mL è invece risultata essere associata ad una mortalità più bassa (HR: 0.91; 95% CI: 0.81-1.01; P 1⁄4 0.09).
Take home messages:
- La definizione di ID proposta dalle linee guida non è in grado di predire correttamente l’outcome dei pazienti con scompenso cardiaco, e bassi livelli di ferritina nel sangue sono associati ad una migliore sopravvivenza.
- La carenza marziale vera è un predittore di outcome sfavorevole. Nella valutazione clinica del paziente con scompenso cardiaco, secondo gli autori dovremmo considerare la terapia marziale sostitutiva nei pazienti con saturazione della transferrina ridotta (<20%) ed una sideremia <=13 mmol/L, poiché questi due parametri sono risultati essere strettamente correlati con una prognosi avversa.
- La ferritina non può essere considerata come buon, e talvolta unico, indicatore di carenza di ferro, poiché si tratta di un marker infiammatorio e qualsiasi condizione di flogosi e danno cellulare porta ad un suo innalzamento. Sarebbe opportuno iniziare a considerarla come marcatore di infiammazione e non di carenza marziale nei pazienti con scompenso cardiaco.
Come giustamente riportato dalla Dott.ssa Costanzo nell’editoriale di accompagnamento al lavoro, possiamo dire che lo studio di Masini e colleghi ci trasporta nella nuova “Iron Age”, dove ci auguriamo che approfondimenti clinici e fisiopatologici rivoluzioneranno la definizione di “iron deficiency”, consentendoci di individuare i pazienti che maggiormente potrebbero trarre beneficio dalla terapia sostitutiva (3).
References
- Masini G, Graham F et al; Criteria for Iron Deficiency in Patients With Heart Failure, J Am Coll Cardiol. 2022;79:341-351, 352-354;
- McDonagh TA, Metra M, et al. 2021 ESC Guidelines for the diagnosis and treatment of acute and chronic heart failure: Developed by the Task Force for the diagnosis and treatment of acute and chronic heart failure of the European Society of Cardiology (ESC) With the special contribution of the Heart Failure Association (HFA) of the ESC. Eur Heart J. 2021;42(36):3599– 3726;
- Costanzo and Januzzi Jr New Iron Age; JACC vol. 79, no. 4, 2022 february 1, 2022:352–354.