By-pass vs angioplastica coronarica nei pazienti con cardiomiopatia dilatativa post-ischemica: to be continued…
di Vittoria Rizzello
30 Luglio 2021

Nei pazienti con cardiomiopatia dilatativa post-ischemica e malattia coronarica multivasale (MCMV) le linee guida internazionali raccomandano in classe I la rivascolarizzazione mediante bypass aorto-coronarico (1-2). Questa raccomandazione è supportata dai risultati del trial STICH che ha documentato, nei pazienti con scompenso cardiaco a ridotta frazione di eiezione (SCRFE) e MCMV, una migliore sopravvivenza dopo rivascolarizzazione chirurgica, rispetto alla terapia medica ottimizzata(3-4).  Se lo stesso beneficio prognostico sia garantito anche dalla rivascolarizzazione percutanea (PCI), in questa peculiare popolazione di pazienti, non è chiaro. In particolare, mancano, a oggi, dati randomizzati che confrontino le due modalità di rivascolarizzazione in questo specifico setting clinico.

In un lavoro recentemente pubblicato su European Heart Journal, Volz s e coll (5) hanno utilizzato i dati del registro svedese SCAAR (Swedish Coronary Angiography and Angioplasty Registry) per confrontare i risultati della rivascolarizzazione mediante bypass aorto-coronarico o PCI in una popolazione di 2509 pazienti con SCRFE ed evidenza di malattia coronarica almeno bivasale alla coronarografia, eseguita tra il 2000 e il 2018. L’età media dei pazienti studiati era di 68 ±9.4 anni, l’83% circa erano uomini, il 36% era diabetico e il 35% aveva una storia di pregresso infarto miocardico. Il 65% aveva un interessamento trivasale o del tronco comune. La rivascolarizzazione era stata eseguita con PCI nel 56% dei pazienti e con by-pass nel 44%. L’end-point primario scelto era la mortalità per tutte le cause. Durante il follow-up mediano di 3.9 anni (range 1-10 anni) si erano verificate 1010 morti. Il bypass si associava a una riduzione del rischio di morte rispetto alla PCI (OR 0.62; 95%IC 0.41-0.96; P=0.031). Tale associazione persisteva anche dopo correzioni statistiche complesse, mirate ad annullare possibili variabili confondenti. Nel corso degli ultimi 10 anni di osservazione, l’utilizzo della PCI era andato progressivamente aumentando fino a diventare 3.4 volte più utilizzato del bypass. Il rischio di morte era particolarmente più alto nei centri in cui la PCI rappresentava la modalità di rivascolarizzazione preferita.

Considerazioni.

Il lavoro di Volz e coll appare estremamente interessante e clinicamente rilevante perché richiama l’attenzione su una delle problematiche cliniche più difficili da affrontare in ambito cardiologico, ossia la scelta della strategia di rivascolarizzazione migliore nei pazienti con SCRFE e MCMV. 

Nonostante questa scelta sia cruciale nella gestione di tali pazienti, non ci sono a oggi trial randomizzati che abbiano confrontato la rivascolarizzazione mediante by-pass vs PCI in questa popolazione di pazienti che è a rischio molto elevato di eventi a breve e a lungo termine. Pertanto, nella pratica clinica quotidiana, la scelta scaturisce dalla valutazione (possibilmente in heart team) delle specifiche caratteristiche cliniche dei singoli pazienti, eventualmente supportata da dati retrospettivi come questi pubblicati dal gruppo svedese. 

Secondo i dati dello studio SCAAR, il bypass in questa popolazione si associa a una minore mortalità per tutte le cause, con un beneficio che diventa statisticamente significativo a partire dai 4 anni e un guadagno medio di circa 6 mesi di sopravvivenza.  Gli autori attribuiscono tale beneficio prognostico alla maggiore percentuale di rivascolarizzazione completa garantita con il bypass.

Tuttavia, come gli stessi autori ribadiscono, tali risultati, per quanto valorizzati da un’analisi statistica molto sofisticata, non possono essere considerati conclusivi, per i limiti intrinseci di uno studio retrospettivo, in cui molteplici variabili confondenti possono aver influenzato il risultato.

E’ infatti possibile che la PCI sia stata penalizzata in questo confronto dal fatto che in un numero rilevante di pazienti (in particolare nei primi anni dello studio) siano stati utilizzati stent di vecchia generazione. Inoltre, non sono forniti dati relativi al SINTAX score e pertanto è possibile che i pazienti trattati con PCI non fossero angiograficamente eleggibili per tale strategia di rivascolarizzazione. Ancora, non sono forniti dati circa la presenza di vitalità miocardica, che secondo alcune evidenze si associa a una prognosi migliore dopo rivascolarizzazione (6). Non si può quindi escludere che nella selezione dei pazienti da inviare a bypass la presenza di vitalità miocardica abbia avuto un ruolo determinantee che essa abbia avuto un impatto prognostico positivo in questi pazienti. Infine, le comorbidità dei pazienti trattati con PCI potrebbero essere state più importanti e con un impatto più pesante sull’outcome, come suggeriscono il BMI significativamente più alto, la maggiore frequenza di abitudine al fumo (e quindi possibilità di BPCO), di pregresso infarto miocardico, di ipertensione, dislipidemia e pregresso bypass.

Lo studio di Volz e coll offre anche un altro spunto di riflessione. Gli autori riportano come nel lungo arco temporale dello studio si sia avuto un incremento progressivo dell’utilizzo della PCI per il trattamento dei pazienti con SCRFE, diventando dal 2009 il metodo preferito di rivascolarizzazione e nel 2018 addirittura 3 volte più utilizzato rispetto al bypass.  

Tale “sovrautilizzo” della PCI in questo setting clinico sembrerebbe indicare che nella pratica clinica il beneficio prognostico vs terapia medica, ottenuto con la rivascolarizzazione chirurgica nello STICH trial, sia stato automaticamente traslato alla PCI, dando per scontato un “effetto di classe” della rivascolarizzazione.  Questa traslazione è stata probabilmente favorita da una maggiore disponibilità della PCI rispetto al bypass, da un progressivo miglioramento della tecnologia e dalla disponibilità di sistemi avanzati di assistenza al circolo che in questo gruppo di pazienti sono spesso necessari.  I risultati dello studio REVIVED, in cui si sta specificatamente confrontando la PCI vs terapia medica nei pazienti con SCRFE e MCMV, ci diranno se tale assunzione di un “effetto di classe” sia fondata.

L’esteso utilizzo della PCI rispetto a bypass nello studio di Volz e coll, inoltre, potrebbe essere il risultato di una sempre maggiore complessità e comorbidità dei pazienti con cardiomiopatia dilatativa post-ischemica, che li rende, nella pratica clinica, ineleggibili all’intervento di bypass. Per questi pazienti, la PCI potrebbe rappresentare l’unica opzione terapeutica, alternativa alla terapia medica.  

Tutte queste considerazioni ribadiscono la necessità di uno studio randomizzato in cui bypass e PCI vengano confrontati in una popolazione di pazienti con SCRFE e MCMV eleggibili, per caratteristiche cliniche e angiografiche, a entrambe le strategie di rivascolarizzazione. Quando questi dati saranno disponibili, cardiologici e cardiochirurghi potranno finalmente sapere chi è il vincitore del duello.

REERENCES

  1. Neumann FJ, Sousa-Uva M, Ahlsson A, Alfonso F, Banning AP, Benedetto U, Byrne RA, Collet JP, Falk V, Head SJ, Jüni P, Kastrati A, Koller A, Kristensen SD, Niebauer J, Richter DJ, Seferovic PM, Sibbing D, Stefanini GG, Windecker S, Yadav R, Zembala MO; ESC Scientific Document Group. 2018 ESC/EACTS Guidelines on myocardial revascularization. Eur Heart J. 2019;40:87-165
  2. Patel MR, Calhoon JH, Dehmer GJ, Grantham JA, Maddox TM, Maron DJ, Smith PK. ACC/AATS/AHA/ASE/ASNC/SCAI/SCCT/STS 2017 Appropriate Use Criteria for Coronary Revascularization in Patients With Stable Ischemic Heart Disease: A Report of the American College of Cardiology Appropriate Use Criteria Task Force, American Association for Thoracic Surgery, American Heart Association, American Society of Echocardiography, American Society of Nuclear Cardiology, Society for Cardiovascular Angiography and Interventions, Society of Cardiovascular Computed Tomography, and Society of Thoracic Surgeons. J Am Coll Cardiol. 2017 ;69:2212-2241
  3. Velazquez EJ, Lee KL, Deja MA, Jain A, Sopko G, Marchenko A, Ali IS, Pohost G, Gradinac S, Abraham WT, Yii M, Prabhakaran D, Szwed H, Ferrazzi P, Petrie MC, O’Connor CM, Panchavinnin P, She L, Bonow RO, Rankin GR, Jones RH, Rouleau JL; STICH Investigators. Coronary-artery bypass surgery in patients with left ventricular dysfunction. N Engl J Med. 2011;364:1607-16.
  4. Velazquez EJ, Lee KL, Jones RH, Al-Khalidi HR, Hill JA, Panza JA, Michler RE, Bonow RO, Doenst T, Petrie MC, Oh JK, She L, Moore VL, Desvigne-Nickens P, Sopko G, Rouleau JL; STICHES Investigators. Coronary-Artery Bypass Surgery in Patients with Ischemic Cardiomyopathy. N Engl J Med. 2016;374:1511-20.
  5. Völz S, Redfors B, Angerås O, Ioanes D, Odenstedt J, Koul S, Valeljung I, Dworeck C, Hofmann R, Hansson E, Venetsanos D, Ulvenstam A, Jernberg T, Råmunddal T, Pétursson P, Fröbert O, Erlinge D, Jeppsson A, Omerovic E. Long-term mortality in patients with ischaemic heart failure revascularized with coronary artery bypass grafting or percutaneous coronary intervention: insights from the Swedish Coronary Angiography and Angioplasty Registry (SCAAR). Eur Heart J. 2021;42:2657-2664. 
  6. Allman KC, Shaw LJ, Hachamovitch R, Udelson JE. Myocardial viability testing and impact of revascularization on prognosis in patients with coronary artery disease and left ventricular dysfunction: a meta-analysis. J Am Coll Cardiol. 2002;39:1151-8.