Lo spunto di riflessione è interessante. Si tratta dell’editoriale sui risultati dello studio STICHES, lo STICH Extension Study, pubblicato in aprile sul New England Journal of Medicine. Lo STICH, Surgical Treatment for Ischemic Heart Failure, è lo studio che aveva valutato per 5 anni gli outcomes della rivascolarizzazione chirurgica nel trattamento dell’insufficienza cardiaca.
Lo STICHES ne rappresenta la “valorosa” estensione: il tenace sforzo di seguire per 15 anni, con un successo al follow-up del 98%, 1212 pazienti provenienti da 99 diverse strutture. Questi pazienti, con insufficienza cardiaca e severa disfunzione ventricolare sinistra, erano stati randomizzati a sola terapia medica o terapia medica con associata rivascolarizzazione con by pass aorto-coronarico (BPAC).
Ebbene la rivascolarizzazione chirurgica ha conferito a 10 anni un significativo beneficio sulla sopravvivenza, con un tasso di mortalità del 16% inferiore a quello dei pazienti trattati con la sola terapia medica.
Si potrebbe dire che è la conferma di un’ intuizione “naturale”: semplicisticamente è meglio riaprire delle coronarie malate. Ma la medicina delle evidenze ci pone sempre delle domande: in quali pazienti, quando, come rivascolarizzare? Quasi mai è tutto così semplice.
Nello studio STICHES sia la terapia medica sia il trattamento chirurgico sono stati ben condotti, la prima con rigorosa osservanza delle linee guida, il secondo con una percentuale di utilizzo del 91% di arteria mammaria e una mortalità a 30 giorni dopo by pass del 3.6%. Tra i criteri di inclusione una coronaropatia eleggibile a trattamento chirurgico, un frazione di eiezione inferiore o uguale al 35%, la presenza di angina. I pazienti reclutati avevano un’età media di 60 anni, nel 40% dei casi erano diabetici, nel 77% dei casi era presente un pregresso infarto del miocardico e nell’ 86% dei casi una classe New York Heart Association II-III.
Nell’editoriale gli autori citano le linee guida dell’ American College of Cardiology e dell’ American Heart Association del 2012 in cui nei pazienti con caratteristiche analoghe a quelli dello STICHES una raccomandazione di classe IIb consigliava: “… la rivascolarizzazione con BPAC può essere presa in considerazione con… l’intento di prolungare la sopravvivenza nei pazienti… con severa disfunzione ventricolare sinistra (FE<35%) indipendentemente dalla presenza di vitalità del miocardio…”.
I dati a 10 anni dello STICHES supporterebbero una raccomandazione di classe IIA poiché il trattamento con BPAC è “probabilmente vantaggioso” in questa popolazione di pazienti. Relativamente al problema della vitalità miocardica gli autori ricordano inoltre che era stato considerato in un sottogruppo dello studio STICH e che nessuna relazione era stata rilevata tra beneficio del BPAC e vitalità del miocardio.
Per completezza di informazione gli autori dello STICHES, invece, ricordano che questo studio non è stato disegnato per valutare gli effetti della rivascolarizzazione percutanea e che non vi è finora evidenza che la rivascolarizzazione con angioplastica prolunghi la sopravvivenza nei pazienti con caratteristiche simili a quelli arruolati nello STICHES.
Gli autori dell’editoriale sottolineano l’importanza dei risultati dello STICHES che debbono essere tenuti in considerazione in un processo di decisione “condivisa” dagli specialisti sulla scelta terapeutica da percorrere. L’opzione terapeutica deve soprattutto tener conto del rapporto tra il vantaggio sulla sopravvivenza a lungo termine e la mortalità precoce correlata all’intervento di bypass. Le caratteristiche del singolo paziente sono fondamentali nella stima della mortalità precoce.
Nell’editoriale vengono esposti due esempi di due pazienti diversi, pur con le caratteristiche STICHES, e calcolato il rischio secondo i criteri della Società di Chirurgia Toracica (Society of Thoracic Surgeons STS risk calculator http://riskcalc.sts.org/stswebriskcalc/calculate). Nel primo caso, in un paziente con pochi fattori di rischio (60 anni, FE 30%, NYHA classe III), il rischio di mortalità BPAC correlato risulta ben ridotto (0.7%) rispetto al 3.6% dei pazienti STICHES e questo porterebbe di conseguenza ad una scelta di rivascolarizzazione chirurgica non solo ragionevole, ma quasi obbligata. Viceversa, nel secondo caso (70 anni pregresso BPAC, FE 30%, insufficienza mitralica moderata, creatinina 2.4 mg/dL, NYHA classe III) il rischio stimato è pari quasi al doppio di quello rilevato nello studio, cosa che rende la scelta decisamente più difficile.
L’editoriale è interessante e sottolinea ancora una volta l’importanza di cose che apparirebbero scontate e invece non lo sono ancora: l’intelligenza e la ragionevolezza di scelte condivise che debbono tener conto di caratteristiche specifiche quali le risorse locali, i risultati, le condizioni psicologiche e sociali del paziente e le sue caratteristiche cliniche.
Guyton RA, Smith AL. Coronary Bypass – Survival Benefit in Heart Failure. N Engl J Med 2016;374:1576-77
Velazquez EJ, Lee KL Jones RH et al. Coronary-artery by-pass surgery in patients with ischemic cardiomiopathy. N Engl J Med 2016;374:1511-20
Antonella Labellarte
Cardiologa
Ospedale S. Eugenio, Roma