Benefici e rischi della duplice terapia antiaggregante dopo impianto di stent medicato: Sono ancora necessari 12 mesi?
di Alessandro Battagliese
16 Novembre 2021

Le linee guida raccomandano la duplice terapia antiaggregante (DAPT) dopo impianto di stent medicato (DES) coronarico per 6 mesi in pazienti con sindrome coronarica cronica (CCS) e in generale per 12 mesi in pazienti con sindrome coronarica acuta (ACS) in assenza di elevato rischio di sanguinamento.

Non sono ancora ben definiti gli esiti clinici associati alla DAPT in pazienti con diversi profili di rischio ischemico ed emorragico.

È ancora oggetto di studio e discussione la durata ottimale della DAPT dopo impianto di DES, nonostante numerosi trial clinici randomizzati (RCT) e metanalisi abbiano confrontato diverse strategie terapeutiche al fine di determinare quale fosse quella più idonea in termini di durata, efficacia e sicurezza.  Questo si spiega in gran parte per le numerose limitazioni di questi studi tra cui: l’eterogeneità degli studi stessi, i differenti programmi di terapia testate, limitazioni relative alla popolazione arruolata (prevalentemente a basso rischio), interruzione prematura e problemi di randomizzazione effettuata prevalentemente al momento dell’angioplastica e non nel momento della sospensione della DAPT nei sottogruppi randomizzati ad una minore durata della stessa.

Alcuni studi in letteratura hanno testato la DAPT per un mese nei pazienti ad elevato rischio emorragico, mentre altri studi e metanalisi hanno testato una DAPT prolungata oltre i dodici mesi in pazienti ad elevato rischio ischemico.

Minori sono le evidenze sul reale beneficio della DAPT prolungata per soli 12 mesi rispetto ad una duplice terapia condotta per meno di sei mesi su popolazioni selezionate.

Palmerini et al sul numero di JACC di questo mese pubblicano una elegante metanalisi con l’obiettivo di studiare l’effettivo profilo rischio-beneficio di una DAPT di 12 mesi vs DAPT inferiore o uguale a 6 mesi dopo impianto di DES in pazienti con differenti profili di rischio emorragico ed ischemico, utilizzando un insieme di dati di singoli pazienti (individual patient data) estrapolati da 7 trial randomizzati (EXCELLENT, ITALIC, NIPPON, OPTIMIZE, PRODIGY, RESET E SECURITY).

Tutti i pazienti sono stati stratificati in base ad uno score di rischio ischemico ed emorragico creato ad hoc per lo studio utilizzando i dati del registro ADAPT-DES, un registro prospettico, multicentrico che ha arruolato circa 8600 pazienti sottoposti ad impianto di DES studiati con test di reattività piastrinica VerifyNow.

I due score sono stati creati e validati mediante analisi multivariata di cox utilizzando dati clinici, angiografici e laboratoristici dei pazienti.

La popolazione in base agli score emorragico ed ischemico è stata divisa in quartili e successivamente in tre strati: basso rischio (I quartile), rischio intermedio (II e III quartile) e rischio alto (IV quartile).

Sono stati esclusi tutti i pazienti con eventi entro la prima settimana dall’impianto di DES; tutti i dati dei pazienti oltre i 12 mesi di DAPT sono stati censurati.

Sono state effettuare due tipi di analisi: una analisi intention to treat (ITT) che ha coinvolto tutti i pazienti ed una seconda analisi “landmark” (popolazione modificata) a partire dal momento di interruzione della DAPT per minimizzare la diluizione dei dati.

End point primario di efficacia un composito di infarto miocardico e trombosi di stent (definita o probabile). End point primario di sicurezza i sanguinamenti maggiori definiti a seconda dei trial mediante TIMI score, criteri GUSTO o criteri BARC.

Obiettivi secondari un composito comprendente oltre ai primari anche la morte cardiaca, morte per tutte le cause e beneficio clinico netto.

L’analisi principale (ITT) è stata su circa 15000 pazienti randomizzati a DAPT 1 anno e DAPT < a 6 mesi (in particolare a 3 e 6 mesi).

I due gruppi sono risultati ben assortiti con una prevalenza di soggetti di sesso maschile (70%) relativamente giovani con una età media di 64 aa.

Il 20% circa era stato sottoposto a precedente impianto di stent o aveva avuto un precedente infarto, il 5% era già portatore di bypass, la maggior parte della popolazione non aveva una disfunzione ventricolare sinistra significativa, meno del’1% assumeva farmaci anticoagulanti orali, e per il 99% dei casi la DAPT era condotta con clopidogrel in aggiunta ad aspirina.

Il 60% dei pazienti arruolati aveva una CCS mentre il 40% circa una ACS in prevalenza NSTEMI/angina instabile.

Alla maggior parte dei pazienti è stato impiantato un solo stent medicato (nel 50-60% dei casi uno zotarolimus stent), prevalentemente su arteria discendente anteriore (60% dei casi) e coronaria destra (35% dei casi). Solo in una minoranza di pazienti è stata effettuata una procedura su tronco comune o una CTO (occlusione totale cronica) coronarica. Solo in circa il 15% dei pazienti è stata effettuata una procedura con coinvolgimento di una biforcazione coronarica.

Risultati

Il primo dato molto interessante emerso dallo studio è stata la stretta correlazione tra eventi ischemici ed emorragici; stratificando la popolazione per il rischio emorragico si otteneva non solo un aumento delle emorragie maggiori per quartili di rischio passando da un 1,4% nel gruppo a basso rischio fino al 6% nel gruppo a rischio elevato, ma anche un aumento degli eventi ischemici anche se in minor misura.

Lo stesso accadeva stratificando la popolazione in base al rischio ischemico.

Dall’analisi ITT, a distanza di un anno, non c’è stata alcuna differenza significativa tra i due gruppi di trattamento relativamente agli obiettivi di efficacia e sicurezza. (HR 0,87; 95%CI 0,61-1,24 per quanto riguarda l’endpoint primario di efficacia e HR 1,61; 95% CI:0,99-2,62 per quanto riguarda l’obiettivo di sicurezza)

La terapia antiaggregante condotta per 12 mesi non ha ridotto gli eventi ischemici ne ha determinato un incremento statisticamente significativo degli eventi emorragici anche se la significatività statistica non è stata raggiunta per molto poco.

Nel sottogruppo di pazienti a più alto rischio emorragico la DAPT 12 mesi ha determinato invece un significativo incremento dei sanguinamenti maggiori rispetto ad una DAPT breve di tre mesi.

Nessuna altra differenza statisticamente significativa è emersa relativamente a tutti gli endpoint tra le due popolazioni di studio.

I dati sono assolutamente sovrapponibili e concordanti sia nei pazienti sottoposti a rivascolarizzazione con DES per ACS che in quelli con CCS.

Analogamente anche i dati della landmark analysys su popolazione modificata (14800 pazienti circa) in cui la randomizzazione partiva dopo la discontinuazione della terapia antiaggregante, si è osservata un significativo aumento degli eventi emorragici maggiori ad 1 anno nei pazienti ad alto rischio emorragico che hanno continuato la DAPT, rispetto a quelli in cui è stata sospesa entro 6 mesi, (1.04% vs 0.27%, rispettivamente; HR: 3.82; 95% CI: 1.08-13.5) di quasi 4 volte.

Anche nei pazienti ad alto rischio ischemico non si è osservato un incremento degli outcome di efficacia (infarto miocardico, trombosi di stent) dopo interruzione precoce (< 6 mesi) della duplice terapia antiaggregante (HR: 0.67; 95% CI: 0.11-4.04.)

Ancora una volta nessuna differenza tra eventi emorragici maggiori ed eventi ischemici nei due gruppi di trattamento sia in pazienti con ACS che in pazienti con CCS.

In conclusione nella popolazione oggetto di studio non vi è stato alcun vantaggio di una duplice terapia antiaggregante condotta per 12 mesi rispetto ad un regime terapeutico ridotto (< 6 mesi) in termini di eventi ischemici tra cui infarto e trombosi di stent anche nei quartili di popolazione a più elevato rischio ischemico. Si è, invece, osservato un incremento dei sanguinamenti maggiori nel sottogruppo di pazienti ad alto rischio emorragico di circa 3 volte rispetto ad una DAPT più breve.

I risultati sono risultati sovrapponibili sia  nei pazienti rivascolarizzati con CCS che con ACS.

Sono stati ottenuti risultati simili sia nella popolazione ITT che in quella modificata mediante landmark analysys.

Considerazioni

Lo studio nonostante trattasi di una metanalisi ha il pregio di essere molto meticoloso.

Una DAPT prolungata per 12 mesi non ha determinato differenze significative relativamente ad incidenza di infarto/trombosi di stent rispetto alla DAPT condotta per un periodo più breve (uguale o inferiore a 6 mesi) indipendentemente dal rischio ischemico, al prezzo di un incremento dei sanguinamenti maggiori di circa 4 volte nei pazienti a più alto di rischio emorragico.

Addirittura da un confronto indiretto (e quindi da interpretare con assoluta cautela) la discontinuazione della duplice terapia antiaggregante dopo soli tre mesi consentirebbe un guadagno significativo in eventi emorragici senza pagare in eventi ischemici, rispetto ai canonici 12 mesi di terapia, nella popolazione a più alto rischio emorragico. 

Questo studio aggiunge preziose informazioni sul ruolo prognostico della DAPT a 1 anno in pazienti ad aumentato rischio ischemico e di sanguinamento. Sebbene la DAPT a breve termine sia stata associata a tassi favorevoli di esiti ischemici in pazienti ad alto rischio di sanguinamento, Palmerini et al documentano il fallimento della DAPT a 1 anno nel ridurre il rischio di eventi ischemici indipendentemente dalla classe di rischio, compresi quelli a più alto rischio.

I tassi di eventi ischemici (ed emorragici) tra la DAPT a 1 anno e la DAPT a 6 mesi sono risultati simili anche nel sottogruppo di pazienti con SCA, che comprendeva quasi il 40% della popolazione.

Questi risultati mettono in discussione la raccomandazione DAPT di 1 anno per ACS consigliata dalle attuali linee guida.

Sebbene siano state descritte strategie di de-escalation DAPT in pazienti con ACS, la strategia di de-escalation contemporanea ottimale rimane purtroppo ancora poco chiara.

Se da una parte abbiamo a disposizione dati a favore di una DAPT breve < a 6 mesi relativamente alla riduzione dei sanguinamenti maggiori e dati a favore di una DAPT prolungata oltre i 18 mesi sulla riduzione di eventi ischemici, non sembra esserci nessun vantaggio da una DAPT condotta esattamente per 12 mesi.

Se a questo aggiungiamo il largo utilizzo di stent medicati di prima generazione il beneficio della DAPT ad 1 anno appare oggi ancora più incerto.

Tuttavia i risultati ottenuti dal presente studio non possono essere generalizzati a tutta la popolazione perché ad esempio, mancano o sono presenti solo in minima parte pazienti in terapia anticoagulante orale concomitante; scarsamente rappresentati sono anche pazienti con interessamento del tronco comune, infarto miocardico tipo STE, disfunzione ventricolare sinistra, per cui la durata ottimale della DAPT in questi pazienti è ancora poco chiara.

Nonostante queste limitazioni, lo studio di Palmerini et al fornisce dati molto importanti sul beneficio prognostico (o della mancanza di beneficio) della DAPT a 1 anno in pazienti ad aumentato rischio ischemico ed emorragico.

La durata ottimale della DAPT è un argomento molto complesso e deve necessariamente basarsi sul giudizio clinico, sulle evidenze in letteratura, avvalendosi di score di rischio appropriati. 

Algoritmi per decidere quali pazienti trarrebbero beneficio da una DAPT <6 mesi, 6 mesi e >12 mesi sono auspicabili, così come sono necessari ulteriori studi sulla durata ottimale della DAPT in gruppi ad alto rischio, non ancora studiati in maniera approfondita.

Bibliografia suggerita

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Levine GN, Bates ER, Bittl JA, et al. 2016 ACC/ AHA guideline focused update on duration of dual antiplatelet therapy in patients with coronary artery disease: a report of the American College of Cardiology/American Heart Association Task Force on Clinical Practice Guidelines. J Am Coll Cardiol. 2016;68:1082–1115.

Palmerini T, Bruno AG, Redfors B, et al. Risk-benefit of 1-year DAPT after DES implantation in patients stratified by bleeding and ischemic risk. J Am Coll Cardiol. 2021;78:19681986.

Palmerini T, Bruno AG, Gilard M, et al. Riskbenefit profile of longer-than-1-year dualantiplatelet therapy duration after drug-eluting stent implantation in relation to clinical presentation. Circ Cardiovasc Interv. 2019;12:e007541.

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Palmerini T, Della Riva D, Benedetto U, et al. Three, six, or twelve months of dual antiplatelet therapy after DES implantation in patients with or without acute coronary syndromes: an individual patient data pairwise and network meta-analysis of six randomized trials and 11 473 patients. Eur Heart J. 2017;38:1034–1043.