I sanguinamenti gastrointestinali costituiscono una pericolosa complicanza del trattamento anticoagulante. La gestione dell’emorragia in atto è ben codificata mentre ci sono pochi dati e nessuna linea guida sul se e quando riprendere la terapia anticoagulante. Un’interessante review (1) recentemente pubblicata ha cercato di fornire una valutazione multidisciplinare di tale problema.
Tutti i farmaci anticoagulanti possono indurre o amplificare un sanguinamento da una preesistente lesione gastrointestinale. Il rischio emorragico dei nuovi anticoagulanti (DOAC) è stato valutato in numerosi trials e si è rilevato dose dipendente ed influenzato dalle caratteristiche del paziente (etnia, età, presenza di comorbidità come malattia renale ed epatica, terapie farmacologiche concomitanti). In assenza di studi di confronto diretto nessuna conclusione può essere affermata con certezza sulla minore o maggiore gastrolesività dei vari DOACs.
Nella fase acuta del sanguinamento è importante eseguire un esame endoscopico per determinare la sede della lesione e l’entità del sanguinamento, sospendere tutta la terapia anticoagulante ed antiaggregante e dare modo all’emorragia di risolversi spontaneamente col tempo. Gli antidoti dovrebbero essere riservati solo ai casi potenzialmente letali o che non si riescono a controllare altrimenti.
Superata la fase acuta si appalesa invece la difficile decisione sulla gestione successiva della terapia anticoagulante che deve inevitabilmente prendere in considerazione da un lato il rischio di recidiva emorragica in caso di ripresa e dall’altro il rischio tromboembolico connesso alla sua sospensione. Tale decisione deve essere assunta caso per caso, dopo confronto tra il cardiologo, il gastroenterologo e le altre figure specialistiche eventualmente coinvolte e al termine di un’attenta valutazione multidisciplinare dei rischi e dei benefici nonché dei fattori di rischio emorragici eventualmente presenti quali: patologia del lume digestivo, età avanzata, insufficienza renale od epatica, ipertensione, anemia, storia precedente di emorragia o stroke, fattori genetici, presenza di neoplasie, concomitanti terapie (il contemporaneo uso di aspirina, ad esempio, aumenta di almeno il 50% il rischio di sanguinamenti maggiori).
Una meta analisi del 2019 (2) ha concluso che la ripresa della terapia anticoagulante dopo sanguinamento gastrointestinale si associa ad un ridotto rischio di tromboembolia (70%) e mortalità (49%) pure a fronte di un aumento (91%) delle recidive emorragiche omosede. Tali dati vanno però accolti con cautela in quanto tutti gli studi inclusi nella metanalisi erano osservazionali e non randomizzati, erano molto eterogenei tra loro, il timing della ripresa della terapia era molto variabile e, infine, non erano riportati dati sul rapporto tra outcome e tempo di riavvio dell’anticoagulante. Ciò nonostante il concetto che la terapia anticoagulante, se effettivamente indicata, vada ripresa è ampiamente condiviso. Purtroppo non è invece chiaro quando essa debba essere reintrodotta. Majeed (3) ha dimostrato che il rischio di recidiva di sanguinamento diminuisce nel tempo, specialmente dopo 21 giorni, mentre il rischio tromboembolico si mantiene stabile ed è spesso inferiore a quello emorragico. Altri dati suggeriscono che la ripresa dell’anticoagulante entro 7 giorni dal sanguinamento induce un aumento di tre volte del rischio di recidiva di emorragia rispetto a quando viene assunto dopo tale intervallo temporale mentre non vi è differenza se la terapia viene assunta prima o dopo il ventunesimo giorno (3-5). Nel trial ARISTOTLE, infine, la ripresa dell’anticoagulante avveniva dopo una mediana di 15 giorni (6) e analogamente nel REVERSE il 66% dei pazienti che avevano presentato un sanguinamento assumeva di nuovo la terapia entro i primi 16 giorni (7)
Non abbiamo quindi alcuna certezza sul timing ottimale della riassunzione della terapia anticoagulante, ciò nonostante l’ultima versione delle linee guida dell’EHRA (8) ne suggerisce la ripresa il prima possibile (figura 1).
Figura 1
Le linee guida dell’American College of Cardiology, invece, raccomandano di determinare il timing ottimale della ripresa dell’anticoagulante sulla base del rapporto tra rischio emorragico e trombotico: quando prevale il secondo la terapia va introdotta non appena si è ottenuta l’emostasi ed il paziente è clinicamente stabile.
Sfortunatamente al momento non vi sono strumenti che consentano di quantizzare affidabilmente il rischio di recidiva emorragica riprendendo la terapia anticoagulante e se tale rischio sia maggiore o minore di quello trombotico. E’ inoltre importante tenere a mente che, nella fase acuta, i soggetti con emorragia indotta dall’anticoagulante sono anche a maggior rischio trombotico: l’interruzione dell’anticoagulante, l’azione protrombotica della risposta infiammatoria che consegue al sanguinamento e il possibile ricorso alle trasfusioni, infatti, aumentano la probabilità di eventi trombotici.
In attesa di ulteriori studi e trials randomizzati che tengano conto delle differenti caratteristiche cliniche dei pazienti (età, comorbidità, sede e severità del sanguinamento, rischio trombotico e di recidiva emorragica) e che costituiranno l’unico modo per stabilire con certezza il timing ottimale della ripresa della terapia anticoagulante dopo emorragia gastrointestinale, i dati attualmente disponibili sembrano comunque sufficienti per supportarne la reintroduzione in tempi relativamente precoci (7-15 giorni).
In ogni caso per minimizzare il rischio di recidive al momento della reintroduzione della terapia anticoagulante è raccomandato di preferire i DOACs rispetto al Warfarin, titolare il dosaggio dell’anticoagulante in accordo con la funzione renale, tenere conto del potenziale emorragico di eventuali terapie concomitanti (antiaggreganti, inibitori CYP3A4 o P-gp), evitare farmaci gastrolesivi (ad esempio i farmaci antiinfiammatori non steroidei), associare la terapia con gli inibitori di pompa protonici (anche se questi possono interagire col dabigatran) e, infine, in caso di ulcera peptica ricercare ed eradicare l’Helicobacter pylori.
Bibliografia:
- Martin AC, Benamouzig R, Gouin-Thibault I et al. Management of gastrointestinal bleeding and resumption of oral anticoagulant therapy in patients with atrial fibrillation: a multidisciplinary discussione. Am J Cardiovasc Drugs 2023; 23: 407-418
- Little D, Chai-Adisaksopha C, Hillis C et al. Resumption of anticoagulant therapy after anticoagulant-related gastrointestinal bleeding: a systematic review and meta-analysis. Thromb Res 2019; 175: 102-109
- Majeed A, Wallvik N, Eriksson J et el. Optimal timing of vitamin K antagonist resumption after upper gastrointestinal blleding a risk modelling analysis. Thromb Haemost 2017; 117: 491-499
- Qureshi W, Mittal C, Patsias I et al. Restarting anticoagulation and outcomes after major gastrointestinal bleeding in atrial fibrillation. Am J Cardiol 2014; 113: 662-668
- Witt DM, Delate T, Garcia DA et al. Risk of thromboembolism, recurrent hemorrhage and death after warfarin therapy interruption for gastrointestinal tract bleeding. Arch Intern Med 2012; 172: 1484-1491
- Held C, Hylek EM, Alexander JH et al. Clinical outcomes and management associated with major bleeding in patients with atrial fibrillation treated with apixaban or warfarin: insights from the ARISTOTLE Trial. Eur Heart J 2015; 36: 1264-1272
- Van der Wall SJ, Lopes RD, Aisenberg J et al. Idarucizumab for dabigatran reversal in the management of patients with gastrointestinal bleeding. Circulation 2019; 139: 748-756
- Steffel J, Collins R, Antz M et al. 2021 European Heart Rhythm Association practical guide on the use of non-vitamin K antagonist oral anticoagulants in patientswith atrial fibrillation. Europace 2021; 23: 1612-16