Antiaritmici di classe IC e cardiopatia ischemica stabile: amici o nemici?
di Filippo Brandimarte
21 Dicembre 2021

Le evidenze scientifiche alla base delle raccomandazioni delle attuali linee guida internazionali, per le quali l’utilizzo di antiaritmici di classe IC (sostanzialmente flecainide e propafenone nel nostro paese) viene sconsigliato in pazienti con cardiopatia ischemica, provengono dai risultati dello studio multicentrico, randomizzato, a doppio cieco, placebo controllato e sponsorizzato dal National Heart Lung and Blood Institute CAST (Cardiac Arrhythmia Suppression Trial) pubblicato nel 1991. (1) Il trial è stato disegnato sulla base dell’evidenza dell’epoca per cui i pazienti sopravvissuti ad infarto miocardico avevano una mortalità ad 1 anno che oscillava tra l’8 e il 15% con un buon 50% degli eventi fatali di natura aritmica. Di qui la volontà di testare l’ipotesi per cui la soppressione farmacologica delle aritmie ventricolari avrebbe migliorato la prognosi nel post infarto. Lo studio ha arruolato 1727 pazienti, 1455 randomizzati a encainide, flecainide o placebo e 272 soggetti a moracizina o placebo. Lo studio CAST II ha modificato i criteri di arruolamento includendo pazienti ad alto rischio aritmico (pazienti entro 90 giorni dall’evento acuto, una frazione di eiezione inferiore al 40%, pazienti con aritmie ventricolari complesse documentate). Il trattamento farmacologico ha ridotto significativamente l’extrasistolia ventricolare ma ha determinato un aumento della mortalità totale ad un follow-up di 10 mesi. Entro 2 anni dall’arruolamento il gruppo di pazienti in trattamento con encainide e flecainide hanno dovuto sospendere tali farmaci per aumento delle morti improvvise. Il braccio con moricizina è stato interrotto prematuramente (2 settimane) per analoghi motivi.

Prudentemente dopo la pubblicazione dello studio per estrapolazione il trattamento antiaritmico nei soggetti con cardiopatia strutturale in genere è stato completamente rivisto di fatto scoraggiando l’uso di antiaritmici di classe IC a favore di quelli di classe III (fondamentalmente amiodarone e sotalolo nel nostro paese) anche in pazienti con coronaropatia non critica o rivascolarizzati da oltre 1 anno, senza segni o sintomi di ischemia residua e buona funzione sistolica (di frequente riscontro nella pratica clinica con la diffusione e sicurezza del moderno studio coronarografico). Sfortunatamente successivamente al CAST non ci sono stati studi randomizzati con ampia casistica per confermare la bontà di tale strategia. A questo proposito è apparso sull’ultimo numero dell’American Heart Journal un interessante studio condotto su 3381 pazienti affetti da fibrillazione atriale e divisi in 2 gruppi: a) 2224 pazienti con coronaropatia non critica a loro volta divisi in 1114 soggetti in trattamento con flecainide e 1114 con antiaritmici di classe III attraverso la tecnica propensity score, e b) 1603 pazienti sottoposti ad angioplastica percutanea o bypass aortocoronarico divisi a loro volta in 150 soggetti in trattamento con flecainide e 1453 pazienti in trattamento con antiaritmici di classe III. (2) Pazienti con infarto miocardico, angina instabile o ricovero per scompenso cardiaco nell’anno precedente l’ingresso allo studio sono stati esclusi. L’endpoint primario dello studio è stato il composito di morte, ricoveri per scompenso cardiaco e tachicardia ventricolare a 3 anni.

I pazienti con coronaropatia non critica erano più anziani e con una prevalenza più alta di multipli fattori di rischio cardiovascolare (dislipidemia, ipertensione, diabete, tabagismo, broncopneumopatia cronica ostruttiva ed aritmie ventricolari). L’antiaritmico di classe III più comune è stato l’amiodarone, seguito dal sotalolo. Circa il 70% dei soggetti che assumevano flecainide, venivano trattati con un dosaggio di 200 mg al giorno. A 3 anni, il gruppo in trattamento con flecainide aveva tassi di mortalità, ricoveri per scompenso cardiaco, eventi cardiovascolari maggiori e tachicardie ventricolari significativamente più bassi (rispettivamente 9.1% vs 19.3% p<0.0001, 12.5% vs 18.3% p<0.0001, 22.9% vs 36.6% p<0.0001, 5.8% vs 8.5% p=0.02). Questa associazione persisteva anche all’analisi multivariata, con un 45% di riduzione del rischio di eventi cardiovascolari maggiori. Restringendo l’osservazione ai pazienti sottoposti a rivascolarizzazione, i soggetti trattati con flecainide avevano più frequentemente un pacemaker, una precedente ablazione o un tentativo di cardioversione. I soggetti trattati con antiaritmici di classe III avevano invece un più alto body mass index e più frequentemente assumevano beta bloccanti. A 3 anni dopo correzione multivariata i pazienti trattati con flecainide presentavano un numero di eventi avversi minore sebbene non statisticamente significativo (mortalità 20.9% vs 25.8% p=0.26, ricoveri per scompenso 24.5% vs 26.1% p=0.73, eventi maggiori 44.5% vs 49.5% p=0.32 e tachicardie ventricolari 10.9% vs 14.7% p=0.28).

Sebbene lo studio abbia delle limitazioni (trial osservazionale, retrospettivo, con un basso numero di soggetti rivascolarizzati e trattati con Flecainide) suggerisce una efficacia e sicurezza della flecainide nei pazienti con coronaropatia non critica stabile superiore agli antiaritmici di classe III. Anche nei soggetti rivascolarizzati e quindi con malattia coronarica importante la flecainide sembra avere una efficacia e sicurezza comparabili agli antiaritmici di classe III o quantomeno certamente non inferiori. Sembra invece prudente evitare gli antiaritmici di classe IC nei soggetti con pregresso infarto in cui la presenza di scar unita all’effetto di prolungamento del QRS della flecainide potrebbero avere un effetto proaritmico rilevante.  Questi risultati dovrebbero almeno spingere la ricerca scientifica ad effettuare studi prospettici randomizzati ad hoc nei pazienti con coronaropatia stabile indipendentemente dalla sua entità, al fine di eventualmente espandere le indicazioni degli antiaritmici di classe IC, diversamente da quello che attualmente le linee guida internazionali consigliano.

Bibliografia

  1. Echt DS, Liebson PR, Mitchell LB, et al. Mortality and morbidity in patients receiving encainide, flecainide, or placebo. The Cardiac Arrhythmia Suppression Trial. N Engl J Med 1991;324:781–8.
  2. Burnham TS, May HT, Bair TL et al. Long-term outcomes in patients treated with flecainide for atrial fibrillation with stable coronary artery disease. Am Heart J 2022;243:127–139.