Angioplastica primaria: quando il TEMPO non conta
di S. Budassi intervista G. Patti
22 Ottobre 2022

Nonostante l’angioplastica percutanea coronarica venga effettuata in tempi precoci, in alcuni casi si assiste ad una minore efficacia della rivascolarizzazione, con outcome clinico sfavorevole, sia nel breve che nel lungo termine.

Budassi: Quali elementi possono facilitare l’insorgenza di questa problematica?

Patti: dobbiamo considerare degli elementi di natura prettamente clinica e quindi legati allo stato generale del paziente ed elementi tecnici. Per quanto riguarda i primi, l’età avanzata e quindi la fragilità del paziente [1], il diabete mellito, l’insufficienza renale cronica e la vasculopatia periferica influenzano negativamente la prognosi perché più frequentemente associati a CAD multivaso, nonché ad una più rapida progressione nel tempo della coronaropatia. Anche la presenza di severa disfunzione ventricolare sinistra, blocco di branca sinistra ed interessamento della parete anteriore del cuore, così come una storia di pregresso infarto miocardico sono stati correlati ad una prognosi peggiore [2].

Budassi: Quali sono invece i fattori di rischio tecnici legati quindi alla procedura interventistica?

Patti: nonostante l’evoluzione dei materiali, in particolare dei DES di terza generazione ed il progredire delle tecniche di cardiologia interventistica, le rivascolarizzazioni percutanee complesse presentano un minore tasso di successo procedurale ed una maggiore ricorrenza di MACE durante il follow-up rispetto agli interventi su lesioni più semplici [3-4]. Anche le condizioni in cui viene eseguita l’angioplastica ed il risultato finale della stessa possono influenzare significativamente l’outcome: in particolare, pazienti con infarto miocardico e flusso TIMI 3 prima della rivascolarizzazione miocardica presentano un rischio di mortalità, di insorgenza di scompenso cardiaco e di intubazione minori rispetto ai pazienti con flusso TIMI iniziale ridotto. Anche il flusso TIMI post-procedurale influisce sulla mortalità a 30 giorni ed a lungo termine in caso di PCI per MI. Nonostante una precoce ricanalizzazione coronarica, in una percentuale variabile di pazienti, compresa tra il 5% ed il 50% si assiste ad una mancata ripresa della perfusione coronarica. Tale fenomeno, denominato “no-reflow”, è associato ad una peggiore prognosi. Infine, tra i fattori che possono influenzare la prognosi dopo PCI per ACS vi è anche l’insorgenza di precoce trombosi intrastent, che, anche se con una bassa incidenza globale (<2%), risulta più frequente in caso di PCI primaria rispetto a PCI elettiva, soprattutto nel contesto di un utilizzo di stent di piccolo diametro, di malapposizione di stent o incompleta copertura della placca [5]. Un altro fattore che influenza la prognosi a lungo termine è la restenosi intrastent che si osserva maggiormente in pazienti con diabete mellito.

Budassi: Quali sono i meccanismi alla base del fenomeno di no reflow?

Patti: Sono stati ipotizzati diversi meccanismi alla base della sua comparsa durante PCI primaria:  (1) embolizzazione coronarica distale di materiale trombotico; (2) danno da riperfusione sul microcircolo, caratterizzato da disfunzione dei miocardiociti, infiltrazione ed attivazione di neutrofili e piastrine, e deposizione di fibrina.

Budassi: Ci sono fattori che predispongono al no reflow?

Patti: un elevato burden trombotico a livello della lesione culprit, un maggiore intervallo tra inizio dei sintomi e PCI ed una maggiore area ischemica a rischio (ad esempio infarto dell’arteria discendente anteriore). Vi è poi una predisposizione individuale con la presenza di una maggiore suscettibilità al danno microcircolatorio coronarico, favorita ad esempio da comorbidità, come diabete mellito e dislipidemia, ed una iper-attivazione delle piastrine e di mediatori infiammatori [6]

Budassi: Esistono markers biochimici ematici utili della PCI primaria nell’identificare pazienti a rischio di insuccesso?

Patti: Il riscontro di livelli aumentati di NT-proBNP correla con una maggiore entità della necrosi miocardica (anche in assenza di disfunzione ventricolare sinistra) e si associa ad una prognosi peggiore, in termini di incrementata mortalità e più alto rischio di disfunzione ventricolare sistolica.  L’entità dell’elevazione della troponina ad elevata sensibilità (hs-Tn), è direttamente proporzionale al danno ischemico ed alla necrosi miocardica e correla con una peggiore prognosi. La sua valutazione seriata è infatti indicata (classe I B) per stratificare il rischio e la prognosi in corso di MI [7]

Budassi: Il rimodellamento ventricolare negativo in corso di infarto miocardico e lo stato infiammatorio, possono giocare un ruolo in questo processo?

Patti: assolutamente si: il rimodellamento negativo è una riduzione della funzione contrattile cardiaca, con incremento delle pressioni di riempimento ed aumentato rischio di sviluppare scompenso cardiaco. Diversi studi hanno evidenziato che il principale fattore associato ad un aumentato rischio di rimodellamento negativo è la ritardata ricanalizzazione coronarica [8]. Anche il no reflow predispone alla comparsa di rimodellamento negativo. L’ischemia miocardica acuta e la necrosi miocardica innescano molteplici vie pro-infiammatorie e pro-trombotiche, con iperattivazione piastrinica [9]. La persistenza, anche dopo rivascolarizzazione, di uno stato infiammatorio, con aumentati livelli di citochine pro-infiammatorie, influenza negativamente la funzione miocardica, favorendo i meccanismi cellulari che portano al rimodellamento negativo.

Budassi: Quali score esistono per la stratificazione del rischio?

Patti: Il GRACE ed il TIMI sono quelli storicamente più utilizzati, perché maggiormente validati ed utilizzati nella pratica clinica. Più recentemente è stato proposto lo score derivato dal registro ACTION (Acute Coronary Treatment and Intervention Outcomes Network) per predire la mortalità in pazienti con STEMI o non-STEMI. Tale score ha identificato come predittori di morte intraospedaliera (C-statistic 0.88) l’elevata frequenza cardiaca, l’ipotensione, la presentazione clinica con arresto cardiaco/shock cardiogeno/scompenso cardiaco, la presenza di STEMI (vs non-NSTEMI), una ridotta clearance della creatinina ed elevati valori di troponina [10]

Bibliografia

  1. Kwok CS, Achenbach S, Curzen N, et al. Relation of frailty to outcomes in percutaneous coronary intervention. Cardiovasc Revasc Med. 2020;21:811–818. doi: 10.1016/j.carrev.2019.11.009
  2. Bauer D, Toušek P. Risk Stratification of Patients with Acute Coronary Syndrome. Journal of Clinical Medicine. 2021; 10(19):4574. https://doi.org/10.3390/jcm10194574
  3. Kirtane AJ, Doshi D, Leon MB, et al. Treatment of higher-risk patients with an indication for revascularization: evolution within the field of contemporary percutaneous coronary intervention. Circulation. 2016;134:422–431. doi: 10.1161/CIRCULATIONAHA.116.022061
  4. Stone GW, Généreux P, Harrington RA, et al. Impact of lesion complexity on peri-procedural adverse events and the benefit of potent intravenous platelet adenosine diphosphate receptor inhibition after percutaneous coronary intervention: core laboratory analysis from 10 854 patients from the CHAMPION PHOENIX trial. Eur Heart J. 2018;39:4112–4121. doi: 10.1093/eurheartj/ehy562
  5. Kirtane AJ, Doshi D, Leon MB, et al. Treatment of higher-risk patients with an indication for revascularization: evolution within the field of contemporary percutaneous coronary intervention. Circulation. 2016;134:422–431. doi: 10.1161/CIRCULATIONAHA.116.022061
  6. Niccoli G, Burzotta F, Galiuto L, Crea F. Myocardial no-reflow in humans. J Am Coll Cardiol. 2009 Jul 21;54(4):281-92. doi: 10.1016/j.jacc.2009.03.054.
  7. Bauer D, Toušek P. Risk Stratification of Patients with Acute Coronary Syndrome. Journal of Clinical Medicine. 2021; 10(19):4574. https://doi.org/10.3390/jcm10194574
  8. Berezin AE, Berezin AA. Adverse Cardiac Remodelling after Acute Myocardial Infarction: Old and New Biomarkers. Dis Markers. 2020 Jun 12;2020:1215802. doi: 10.1155/2020/1215802
  9. Aradi D, Kirtane A, Bonello L, et al. Bleeding and stent thrombosis on P2Y12-inhibitors: collaborative analysis on the role of platelet reactivity for risk stratification after percutaneous coronary intervention. Eur Heart J. 2015 Jul 14;36(27):1762-71. doi: 10.1093/eurheartj/ehv104
  10. McNamara RL, Kennedy KF, Cohen DJ, et al. Predicting In-Hospital Mortality in Patients With Acute Myocardial Infarction. J Am Coll Cardiol. 2016 Aug;68(6):626-35