“…ALLOR CHE DE LA VITA L’ARCO PIEGA”
E’ l’espressione che Carducci mette in bocca a Sennuccio, l’esule fiorentino di parte Bianca, il “dicitore leggiadro” mentre si rivolgeva al marchese Malaspina, compagno di sventura. Anteponendovi però l’aggettivo “duro”, a significare quanto la vita dopo la mezza età diventi più difficile da affrontare, specie se si sommano problemi personali e sociologici, come appunto il dover abbandonare la propria patria, un fallimento politico.
Era il tempo di Dante, pure lui esule, quando “nel mezzo del camin di nostra vita” si calcolava sui trentacinque anni; oggi, dopo i progressi medici, gli esperti l’hanno spostato verso i cinquanta. Quando l’arco della vita volge al ritorno, con le sue malattie dell’età, le conseguenze del sovrappeso, del colesterolo, del fumo e anche della poca o nessuna attività fisica. Sulla quale non passa mese che le riviste mediche, specie le cardiologiche, non ribadiscano la responsabilità di ognuno nel provocarsi l’accidia, il sovrappeso, il diabete e le malattie cardiovascolari.
Fino a non molti anni fa si pensava che raggiunta l’età matura, la “mezza età” di Marcello Marchesi, chi ne aveva i privilegi potesse concedersi un panciotto che lasciava libera la giacca, magari contornato dalla catena d’oro dell’orologio a taschino, un girovita moderatamente allargato, che si sperava aiutasse la salute più che danneggiarla. L’attività fisica, lo sport, erano prerogativa dei giovanotti, quasi un dovere per preparare il fisico a combattere meglio le malattie che verranno.
Noi stessi scrivemmo su Cuore & Salute che “un po’ di pancetta fa bene”. Altri tempi. Non avevamo fatto i conti con il benessere e la presa in parola da parte dei molti divenuti privilegiati, che potevano ora accogliere l’epicureismo. Oltretutto avevano gli antidoti al colesterolo, alla pressione alta, le vacanze e i week-end per interrompere la sedentarietà, ma anche per godersi la buona tavola. E la statistica, inesorabile, ha presentato loro il conto: i sovrappeso e gli obesi aumentano, così come i diabetici, gli ipertesi, gli infartuati, gli ictus e via menagramando.
Da 20 anni a questa parte, nonostante le malattie da logorio delle arterie e la mortalità cardiovascolare siano in regressione, i censori non hanno dubbi: la sedentarietà, il sedentary aging, si associa a pericolosi cambiamenti della funzione del cuore, soprattutto un suo irrigidimento. Che gli anglosassoni chiamano stiffness, una perdita dell’elasticità del muscolo cardiaco; come se a Ronaldo sostituissero i muscoli delle gambe con quelli del Pelè attuale. Nel quale magari, data l’eccezionalità di vecchio superman, i garretti sono ancora trofici per una partitella con i nipoti, ma non di certo per quei famosi dribbling e per la durata dello sforzo.
Gli esperti paragonano il cuore dei sedentari 50enni al cuore in via di scompenso, che lo diventa più facilmente se una cardiopatia di per sé non grave lo colpisce. In altre parole, la capacità da sforzo in chi ad esempio ha subito un infarto è minore se in precedenza aveva peccato nella sedentarietà. Si è osservato inoltre che proprio nell’età di mezzo tende a svilupparsi quell’irrigidimento del cuore, come se in quella fase della nostra vita intervenissero certi presupposti che riducono la plasticità del miocardio. In parole ancora più pedestri, si profila la vecchiaia, “la vecchiaia bellezza” direbbe Bogart, contro la quale però noi, a differenza della “stampa”, possiamo ancora fare qualcosa per ammansirla.
A questo punto noi latini, di filosofia neo-platonica, ci accontenteremmo di raccomandare a tutti la sobrietà nello stile di vita e in particolare il mantenimento di un’attività fisica, anche se l’automobile e le molte attrazioni tecnologiche ci seducono e in un certo senso ci obbligano alla sedentarietà. Gli altri invece, quelli che hanno accolto e custodito il Galileo condannato, protestanti o calvinisti, non si accontentano, sono i nuovi “San Tommaso” che vogliono di ogni prova la riprova. E infatti nell’Institute for Exercise Medicine di Dallas Erin Howden e il suo gruppo (Circulation, aprile 2018) hanno valutato in una sessantina di cinquantenni cosa succedeva fra chi svolgeva una buona attività fisica continuativa e chi non staccava il sedere dalla sedia o dalla poltrona. Tralascio i numeri e gli indici dei parametri medici valutati in tale ricerca, per andare all’essenziale, alla conclusione: dopo due anni gli attivisti rispetto ai sedentari non solo avevano una migliore ossigenazione del sangue, ma soprattutto una minore rigidità del muscolo del cuore. Come se la marcia, il nuoto, il tennis, il golf e altre distrazioni fisiche in chi si avvia nella parabola discendente del famoso “arco” avessero dilazionato l’inesorabile.
Peccato poi che quei controllori e censori delle nostre insane abitudini le mantengano più di noi mediterranei che a tavola restiamo gioiosamente ancorati alla sana dieta omonima. Perché loro, come si legge in una ricerca della Columbia University di Vancouver (British Medical Journal, 2018), anche quando sono atleti della mezza età, i “master athletes”, continuano ad avere un alto rischio cardiovascolare a causa del mantenimento di altri fattori di rischio, quali appunto e in particolare la dieta, che si porta dietro l’obesità, il colesterolo, il diabete e affini. E che ha fatto concludere alla prima firmataria di questo studio su quasi 800 “master”, Barbara Morrison: “non ci sono prove che spingere l’esercizio fisico al limite faccia vivere più a lungo o renda più forte il cuore, anzi un esercizio portato allo stremo potrebbe fare del male. Non dovremmo mai spingerci così oltre da non poterlo rifare il giorno dopo.”
Saggia conclusione, utile anche per i tanti nostri salutisti che non vogliono piegarsi secondo “l’arco” fisiologico della vita.
Eligio Piccolo
Cardiologo