Ablazione della fibrillazione atriale persistente con infusione di etanolo nella vena di Marshall: un passo avanti per ridurre le recidive?
di Filippo Brandimarte
09 Novembre 2020

La procedura di ablazione transcatetere attraverso il circling delle vene polmonari per il trattamento della fibrillazione atriale (FA) parossistica, specie se resistente ai farmaci antiaritmici, è oramai considerata una tecnica efficace e sicura. Risultati molto meno brillanti, purtroppo, vengono ottenuti nei pazienti affetti da FA persistente o di lungo corso nei quali è noto realizzarsi un remodelling elettrico atriale che rende la procedura ablativa più difficile e comunque con una più alta percentuale di insuccessi. (1)

La vena di Marshall, un residuo embriologico della vena cava superiore sinistra e collocata all’interno dell’istmo mitralico, è implicata nella patogenesi della FA in quanto sede di innervazione simpatica e parasimpatica che può modulare le proprietà elettrofisiologiche del tessuto atriale contribuendo al mantenimento dell’aritmia. Per tali motivi, la vena di Marshall è stata considerata come possibile target di terapia per aumentare il successo della procedura ablativa anche nel caso di FA persistenti. (2-4)

A tale scopo è stato disegnato e condotto il trial multicentrico, randomizzato VENUS, pubblicato recentissimamente sulla prestigiosa rivista JAMA (5), che ha arruolato 343 pazienti provenienti da 12 centri di riferimento negli USA aventi età compresa tra 18 e 85 anni con FA da almeno 7 giorni e refrattaria ad almeno un farmaco antiaritmico. Tali pazienti sono stati randomizzati alla procedura ablativa con radiofrequenza (PA, n=158) o alla procedura combinata di infusione di etanolo nella vena di Marshall e ablazione effettuata in questo ordine (VMPA, n=185). I due gruppi di pazienti sono numericamente diversi in quanto è noto che la procedura di incannulazione della vena di Marshall può comportare qualche difficoltà portando ad un tasso di fallimento pari a circa il 15%. Criteri di esclusione sono stati una pregressa ablazione di FA e un diametro o volume atriale che superava rispettivamente i 65mm o i 200 mL. Durante i primi 3 mesi dopo la randomizzazione la presenza di recidive aritmiche è stata trattata con farmaci antiaritmici o cardioversione elettrica e non è stata considerata un fallimento del trattamento in quanto è noto che nei primi mesi tali eventi siano determinati dalla cicatrice indotta dalla procedura ablativa e non dal focus originariamente responsabile. L’endpoint primario è stato l’assenza di eventi aritmici a 6 e 12 mesi durati più di 30 secondi dopo 3 mesi l’effettuazione di una singola procedura (PA o VMPA) senza l’uso di farmaci antiaritmici. Gli endpoint secondari più importanti sono stati l’assenza di recidive aritmiche dopo più di una procedura o con trattamento antiaritmico. L’endpoint primario si è verificato nel 38% dei pazienti nel braccio PA contro il 49.2% del braccio VMPA (p=0,04). L’assenza di recidive aritmiche dopo multiple procedure si è verificata nel 53.8% dei pazienti nel gruppo PA contro il 65.2% dei pazienti nel gruppo VMPA (p=0.04), mentre l’assenza di recidive aritmiche dopo multiple procedure o trattamento con antiaritmici si è verificata nel 67.8% dei pazienti del braccio PA contro il 75.8% del braccio VMPA (p=0.03).

Lo studio dimostra come nei pazienti con FA persistente l’aggiunta della infusione di etanolo attraverso la vena di Marshall alla procedura di ablazione a radiofrequenza aumenta la probabilità di rimanere liberi da episodi tachiaritmici a 6 e 12 mesi rispetto alla sola terapia ablativa senza aumentare il rischio di complicazioni procedurali. Ovviamente il tasso di successo dell’ablazione è stato comunque relativamente basso in entrambe i gruppi, come prevedibile, in quanto più della metà dei pazienti arruolati aveva una FA di lungo corso che più difficilmente risponde alla procedura.

Utile analizzare le principali limitazioni del trial: prima di tutto i pazienti nei due bracci di trattamento sono stati sottoposti non solo all’isolamento delle vene polmonari ma ad una procedura ablativa estesa anche ad altre aree che potrebbero aver creato dei bias. Inoltre, un tasso di fallimento di incannulazione della vena di Marshall del 15% non è trascurabile e potrebbe limitarne l’uso. Non da ultimo l’aderenza ai sistemi di monitoraggio del ritmo è stata incompleta sebbene in linea con quella di altri studi rendendo la frequenza dell’endpoint primario non sempre accertabile.

Al di là dei numeri, resta ancora da chiarire se la differenza statisticamente significativa tra i 2 gruppi abbia poi una reale valenza clinica che in fondo è l’unica che guida le scelte terapeutiche in una medicina basata sull’evidenza. A tal proposito sono certamente necessari ulteriori studi per chiarire il ruolo effettivo di questa tecnica nel trattamento della FA persistente.

 

Bibliografia

  1. Calkins H, Hindricks G, Cappato R, et al. 2017 HRS/EHRA/ECAS/APHRS/SOLAECE expert consensus statement on catheter and surgical ablation of atrial fibrillation. Heart Rhythm. 2017;14 (10):e275-e444.
  2. Kim DT, Lai AC, Hwang C, et al. The ligament of Marshall: a structural analysis in human hearts with implications for atrial arrhythmias. J Am Coll Cardiol. 2000;36(4):1324-1327.
  3. Báez-Escudero JL, Morales PF, Dave AS, et al. Ethanol infusion in the vein of Marshall facilitates mitral isthmus ablation. Heart Rhythm. 2012;9(8): 1207-1215.
  4. Tilz RR, Rillig A, Thum AM, et al. Catheter ablation of long-standing persistent atrial fibrillation: 5-year outcomes of the Hamburg Sequential Ablation Strategy.J Am Coll Cardiol. 2012;60(19):1921-1929.
  5. Valderrábano M, Peterson LE, Swarup V, Schurmann PA, Makkar A, Doshi RN, DeLurgio D, Athill CA, Ellenbogen KA, Natale A, Koneru J, Dave AS, Giorgberidze I, Afshar H, Guthrie ML, Bunge R, Morillo CA, Kleiman NS.
    Effect of Catheter Ablation With Vein of Marshall Ethanol Infusion vs Catheter Ablation Alone on Persistent Atrial Fibrillation: The VENUS Randomized Clinical Trial. JAMA. 2020 Oct 27;324(16):1620-1628.