Ablazione a radiofrequenza nella fibrillazione atriale persistente: luci ed ombre dello studio CAPLA
di Filippo Brandimarte
17 Gennaio 2023

La fibrillazione atriale è di gran lunga la tachiaritmia più comune la cui prevalenza aumenta con l’età e rappresenta una causa importante di scompenso cardiaco e ictus. L’ablazione transcatetere con la tecnica di isolamento delle vene polmonari, ha ormai ampiamente dimostrato la sua superiorità rispetto alla terapia antiaritmica nel mantenimento del ritmo sinusale, nella fibrillazione atriale parossistica. Tuttavia i risultati ottenuti nella fibrillazione atriale persistente variano tra il 43% e il 67%. (1) I motivi di questo parziale insuccesso derivano fondamentalmente dalla complessa struttura elettro-anatomica atriale dei soggetti affetti da questa aritmia per la quale questa tecnica non è sufficiente per eliminare completamente il substrato aritmico. Tra le tecniche che, in aggiunta all’isolamento delle vene polmonari, sono state messe a punto per aumentare il tasso di successo procedurale un posto d’onore spetta all’isolamento della parete posteriore atriale sinistra. Questa particolare zona dell’atrio è stata considerata un target terapeutico perché embriologicamente legata a quella delle vene polmonari e vi decorre il fascio setto-polmonare considerato una struttura anatomica importante per il mantenimento dell’aritmia. È una zona però che presenta delle difficoltà ablative intrinseche viste le connessioni con l’epicardio e la vicinanza alla parete esofagea. Studi clinici randomizzati con casistica ampia in questo ambito poi sono limitati.

A questo proposito sono stati recentemente pubblicati sull’ultimo numero di  JAMA i risultati dello studio multicentrico randomizzato CAPLA che ha confrontato la tecnica dell’isolamento delle vene polmonari con quella  dell’isolamento delle polmonari e della parete posteriore atriale in 330 soggetti con fibrillazione atriale persistente (da 1 settimana a 3 anni) in cui almeno un antiaritmico aveva fallito nell’effettuare il controllo del ritmo. (2) La coorte di pazienti è stata arruolata in 11 centri dislocati tra Australia, Canada e UK nel periodo tra luglio 2018 e marzo 2021 con un follow-up di almeno 1 anno. Criteri di inclusione sono stati un’età maggiore o uguale a 18 anni, la presenza di fibrillazione atriale persistente sintomatica ed assenza di procedure ablative pregresse. Criteri di esclusione maggiori sono stati la presenza di fibrillazione atriale parossistica o persistente da oltre 3 anni e la cardiomiopatia ipertrofica. L’endpoint primario è stato il tempo libero dall’aritmia (fibrillazione atriale, flutter atriale o tachicardia atriale) di durata di almeno 30 secondi a partire dal terzo mese post ablazione in assenza di terapia antiaritmica e dopo una singola procedura. Endpoint secondari sono stati il tempo libero da aritmie atriali con o senza terapia antiaritmica dopo multiple procedure ablative, complicazioni peri-procedurali, numero di procedure effettuate sul singolo paziente, successo di isolamento della parete posteriore atriale sinistra ed il burden di fibrillazione atriale a 12 mesi. Ai pazienti che assumevano terapia antiaritmica tali farmaci sono stati interrotti almeno 5 emivite prima della procedura ablativa mentre la terapia anticoagulante è stata il più possibile mantenuta almeno per 3 mesi post ablazione. L’uso di antiaritmici è stato consentito solo nei primi 3 mesi successivi alla procedura. Ablazioni ulteriori sono state consentite nei pazienti con recidive aritmiche oltre i 3 mesi. Le recidive aritmiche sono state monitorizzate attraverso l’impianto di loop-recorder (circa 85% dei casi) oppure attraverso l’esecuzione di 2 elettrocardiogrammi al giorno attraverso dispositivo mobile (AliveCor) oppure attraverso holter effettuati a 3, 6, 9 e 12 mesi.

A 12 mesi l’endpoint primario si è verificato in 89 dei 170 soggetti (52.4%) del braccio di trattamento con isolamento delle vene polmonari e della parete posteriore atriale sinistra e in 90 dei 168 pazienti (53.6%) del braccio trattato con solo isolamento delle vene polmonari (p=0.98). L’isolamento della parete posteriore atriale sinistra è stato raggiunto nell’86.5 dei casi. Il tempo dell’intera procedura e quello della ablazione a radiofrequenza, come atteso, è stato significativamente più breve nel gruppo solo isolamento delle vene polmonari rispetto a quello in cui veniva effettuata ablazione anche della parete posteriore atriale sinistra (121 min e 28 minuti vs 140 min e 34 min rispettivamente, p<.001). Per quanto riguarda gli endpoint secondari non si sono osservate differenze fra i due gruppi nei casi di recidive aritmiche con o senza trattamento antiaritmico e dopo multiple ablazioni come anche la durata delle eventuali recidive aritmiche e il numero delle procedure sullo stesso paziente. Per quanto concerne gli eventi avversi si sono verificate 6 complicanze nel gruppo isolamento delle vene polmonari e parete postere atriale (1 ematoma femorale, 1 tamponamento cardiaco, 2 casi di scompenso cardiaco e 1 caso di polmonite) e 4 nel gruppo solo isolamento delle vene polmonari (1 pericardite, 1 lesione del nervo frenico e 2 casi di scompenso cardiaco).

Il trial dimostra in maniera abbastanza convincente che l’ampliamento della procedura ablativa attraverso il coinvolgimento della parete postere atriale sinistra non migliora l’efficacia della tecnica in termini di tempo libero dalle recidive tachiaritmiche rispetto al classico isolamento delle vene polmonari in assenza di terapia antiaritmica e dopo una singola procedura di ablazione. Questo dato, certamente deludente, è probabilmente legato alle difficoltà di ablazione della parete posteriore atriale sinistra e per la sua vicinanza alla parete esofagea che limita l’erogazione dell’energia a radiofrequenza se non si vuole aumentarne pericolosamente la temperatura. Inoltre, è bene ricordarlo, è importante riconoscere che la fibrillazione atriale persistente è definita unicamente dalla durata dell’episodio aritmico (almeno 7 giorni) e non dall’anatomia atriale: è noto, infatti, come anomalie delle dimensioni e la quota della componente fibrotica (che può essere studiata alla risonanza magnetica) impattino significativamente sul successo della ablazione. Non da ultimo è noto che lo spessore della parete posteriore dell’atrio nel punto del suo tetto e il fatto che sia circondato da tessuto lipoideo siano condizioni tali da limitare l’abilità di raggiungere lesioni transmurali efficaci.

Il tempo procedurale e il tempo di ablazione sono significativamente inferiori nella procedura di solo isolamento delle vene polmonari rispetto alla procedura che include anche la parete posteriore dell’atrio senza però incorrere in un maggior numero di eventi avversi. I risultati di questo studio sono in linea con quelli ottenuti da precedenti trial randomizzati di più piccole dimensioni come il POBI-AF (3) ma decisamente diversi dai dati dello studio AATAC (in cui il successo della procedura ablativa allargata è stato del 79% rispetto ad un 36 della procedura di solo isolamento delle vene polmonari). (4) Nello studio CONVERGE infine, in cui si è confrontato un approccio ibrido chirurgico epicardico e transcatetere endocardico per le due tecniche ablative è emerso, invece, un netto vantaggio della procedura che includeva la parete posteriore atriale ma con un tasso di gravi complicanze nel 7.8% dei casi che hanno reso tale approccio obbiettivamente rischioso. (5) E’ chiaro che la fibrillazione atriale persistente è un’aritmia diversa dalla sua corrispondente parossistica perché ha con ogni probabilità un substrato elettro-anatomico assai più complesso che merita un trattamento differente. Nuovi studi con nuove tecniche ablative o nuove fonti energetiche (ad esempio è in studio l’ablazione a campo pulsato o la crioterapia con temperature ultra basse) si spera possano arrivare a raggiungere gli ottimi risultati ottenuti nelle aritmie parossistiche.

Bibliografia

  1. Kistler PM, Chieng D. Persistent atrial fibrillation in the setting of pulmonary vein isolation—where to next? J Cardiovasc Electrophysiol. 2020;31(7):1857-1860
  2. Kistler PM, Chieng D. et al. Effect of catheter ablation using pulmonary vein isolation with vs without posterior left atrial wall isolation on atrial arrhythmia recurrence in patients with persistent atrial fibrillation. The CAPLA randomized clinical trial. JAMA 2023;329(2):127-135
  3. Lee JM, Shim J, Park J, et al; POBI-AF Investigators. The electrical isolation of the left atrial posterior wall in catheter ablation of persistent atrial fibrillation. JACC Clin Electrophysiol. 2019;5(11):1253-1261
  4. Di Biase L, Mohanty P, Mohanty S, et al. Ablation versus amiodarone for treatment of persistent atrial fibrillation in patients with congestive heart failure and an implanted device: results from the AATAC multicenter randomized trial. Circulation. 2016;133(17):1637-1644
  5. De Lurgio DB, Crossen KJ, Gill J, et al. Hybrid convergent procedure for the treatment of persistent and long-standing persistent atrial fibrillation. Circ Arrhythm Electrophysiol. 2020;13(12):e009288