A rischio di fibrillazione atriale? Ci pensa la Semaglutide
di Flavio Giuseppe Biccirè
13 Maggio 2025

La fibrillazione atriale è tutt’oggi tra le aritmie più comuni riscontrate nella pratica clinica, specialmente nelle popolazioni anziane e nei pazienti con comorbidità metaboliche. Condizioni cliniche frequenti come ipertensione, diabete mellito di tipo 2, obesità, sindrome metabolica, apnee ostruttive del sonno e insufficienza cardiaca aumentano significativamente il rischio di fibrillazione atriale, sia attraverso la loro azione diretta sul tessuto cardiaco sia mediante l’attivazione di vie pro-infiammatorie e pro-fibrotiche. Con una prevalenza in continuo aumento, la fibrillazione atriale rappresenta una delle principali cause di ictus ischemico, scompenso cardiaco e mortalità cardiovascolare. Dunque, prevenire la sua insorgenza è sempre stato un argomento della massima importanza. Tuttavia, i meccanismi patogenetici alla base della fibrillazione atriale sono multifattoriali, includendo alterazioni strutturali, elettriche e infiammatori, rendendo così la sua prevenzione molto complessa.

In questo contesto, sta emergendo un crescente interesse verso farmaci in grado di modulare il rischio aritmico agendo sui meccanismi sottostanti. Uno dei candidati più promettenti è la semaglutide, un agonista del recettore del GLP-1 (glucagon-like peptide-1), già noto per i suoi benefici nel controllo glicemico e nella perdita di peso. Studi recenti suggeriscono che i suoi effetti potrebbero estendersi anche alla riduzione del rischio di nuova insorgenza di fibrillazione atriale, probabilmente grazie a un’azione integrata su infiammazione, metabolismo e struttura cardiaca.

Tuttavia, l’effetto specifico della semaglutide sulla prevenzione dell’insorgenza di fibrillazione atriale è stato finora poco chiaro, con diversi studi che hanno riportato risultati contrastanti. Un nuovo lavoro appena pubblicato su European Journal of Preventive Cardiology ha fatto chiarezza sull’argomento, fornendo nuovi dati a riguardo grazie a una revisione sistematica con metanalisi dele evidenze disponibili. In particolare, gli autori hanno valutato se il trattamento con semaglutide riduce il rischio di insorgenza di nuova fibrillazione atriale rispetto a placebo o ad altri farmaci antidiabetici.

Nel lavoro, sono stati inclusi 26 trials e 48.583 partecipanti (25.879 trattati con semaglutide). In questi trials, la fibrillazione atriale di nuova insorgenza era un endpoint secondario o evento avverso. L’analisi ha seguito la rigorosità metodologica delle linee guida PRISMA e ha incluso meta-regressioni per valutare l’influenza di fattori concomitanti come età, BMI, HbA1c, uso concomitante di inibitori SGLT2 e via di somministrazione del farmaco.

All’analisi di tutti gli studi, la semaglutide ha ridotto in  modo significativo il rischio di nuova fibrillazione atriale del 17% rispetto ai controlli (OR 0.83; p=0.03). L’effetto è stato più marcato con la formulazione orale, la quale ha riportato una riduzione del 52% del rischio di fibrillazione atriale (p=0.04). Nel confronto con farmaci attivi (non placebo), la riduzione è stata del 59% (p=0.01), mentre nei trials senza uso concomitante di SGLT2i, la riduzione di fibrillazione atriale è stata perfino dell’80% (p=0.04). È importante sottolineare come nessuna altra variabile (età, BMI, HbA1c, ecc.) abbia modificato significativamente l’effetto.

Il beneficio del semaglutide nel ridurre la fibrillazione atriale è legato a molteplici meccanismi: perdita di peso e miglior controllo glicemico riducono l’infiammazione sistemica e lo stress ossidativo. Inoltre, studi osservazionali hanno riportato in passato come il farmaco sia in grado di migliorare il rimodellamento atriale, anche indipendentemente dal calo ponderale. Anche se la semaglutide ha mostrato un effetto benefico sul ridurre l’incidenza di fibrillazione atriale indipendentemente da età, sesso, peso corporeo e metabolismo glicemico, è importante sottolineare come gli effetti sembrano più evidenti in soggetti obesi o diabetici, in particolare se non trattati contemporaneamente con SGLT2i, che a loro volta hanno effetti antiaritmici.

Questi risultati positivi vanno ovviamente interpretati con i limiti dell’approccio meta-analitico, che rimane un’analisi indiretta di effetto, e che in questo caso ha valutato l’incidenza di un endpoint (la fibrillazione atriale) che era solo secondario nei trials inclusi. Inoltre, considerando gli studi inclusi nell’analisi, i risultati non sono possono essere automaticamente applicati ai pazienti non diabetici o non obesi.

Nonostante i limiti, questa metanalisi aggiornata mostra come la semaglutide possa ridurre significativamente l’insorgenza di nuova fibrillazione atriale, soprattutto nella formulazione orale e nei soggetti ad alto rischio metabolico, aprendo nuovi scenari nella prevenzione cardiovascolare. Questi risultati suggeriscono il disegno di nuovi trials ad hoc che abbiano come endpoint primario l’incidenza di fibrillazione atriale, testando direttamente l’efficacia della semaglutide rispetto a placebo nel ridurla.

Bibliografia

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