“A chi batte forte si aprono le porte: occasioni mancate?”
di Maria Grazia De Gregorio
26 Ottobre 2021

Il protagonista del caso clinico è un uomo di 68 anni, fumatore, affetto da  ipertensione arteriosa e diabete mellito tipo II in terapia con ramipril/amlodipina, bisoprololo ed ipoglicemizzanti orali che ad inizio di ottobre 2020 fa accesso al DEA del nostro ospedale per la presenza di un dolore urente subcontinuo epigastrico associato a difficoltosa digestione con anche episodi di dolore trafittivo, ben localizzati, esacerbati dai movimenti e della durata di pochi secondi.

Alla valutazione del collega urgentista il paziente appare emodinamicamente stabile con esame obiettivo nella norma, PA 170/90 mmHg, all’ECG ritmo sinusale 90 bpm, alterazioni aspecifiche della ripolarizzazione. Agli esami ematici evidenza di leucocitosi neutrofila (Gb 16290), Hb normale, piastrine ai limiti inferiori di norma, TnI HS 10 pg/mL (nei limiti), PCR lievemente aumentata (1.11 mg/dL), restanti valori nella norma. All’eco fast condotto dall’urgentista non versamento pleurico, radice aortica non dilatata, dilatazione dell’ascendente (45 mm) senza flap intimali né rigurgito valvolare aortico. All’eco addome cisti parapieliche renali, aorta addominale di normali dimensioni, non falde fluide endoaddominali. La radiografia del torace risulta negativa per addensamenti. Vengono pertanto somministrati antiacidi ed inibitori di pompa protonica e dopo 5 ore di osservazione clinica il paziente viene dimesso con diagnosi di reflusso gastroesofageo; programmato percorso diagnostico gastroenterelogico e terapia con antiacidi.

Tre giorni dopo il paziente viene risvegliato dal sonno da un intenso cardiopalmo per cui  esegue visita cardiologica in mattinata con riscontro all’ECG di flutter atriale a 150 bpm con conduzione 2:1. Il cardiologo privato perciò lo invia di nuovo in DEA.

All’ingresso in ospedale il paziente non è sudato, l’emodinamica è stabile, all’ECG si conferma la presenza di flutter atriale a 150 bpm, PA 110/60 mmHg. Agli esami ematici leucocitosi in calo rispetto al precedente accesso, creatinina ed emoglobina nella norma, TnI 58 pg/mL, restanti valori nella norma. Viene quindi eseguita una cardioversione elettrica (CVE) efficace dall’urgentista con ripristino di ritmo sinusale. Per incremento dei valori di troponina (92.7 pg/mL) dopo la cardioversione, viene richiesta una consulenza cardiologica: il cardiologo di guardia concludeva per “minimo screzio della TnI post CVE in assenza di ulteriori elementi riconducibili a SCA in paziente sempre asintomatico per angor, senza necessità di ulteriori accertamenti cardiologici. Veniva inoltre raccomandato di continuare con la terapia anticoagulante orale per almeno 4 settimane e di effettuare successiva rivalutazione con il cardiologo di fiducia per stabilire la durata della terapia in base al rischio cardioembolico individuale. In caso di recidive aritmiche, indicata nuova rivalutazione ospedaliera nell’eventualità di procedere direttamente con SEF e terapia ablativa” Non era stato però eseguito un ecocardiogramma, né dall’urgentista prima di cardiovertire il paziente né dal cardiologo durante la sua valutazione.

Sulla base delle suddette indicazioni cardiologiche, il paziente viene quindi dimesso dal DEA con programma di rivalutazione ambulatoriale cardiologica.

Alla nostra valutazione dopo circa 14 giorni, il paziente lamentava intensa astenia comparsa dalla dimissione, non dispnea, non dolore toracico, non deficit neurologici focali. ECG nella norma. All’esame obiettivo soffio olodiastolico su Erb. PA 120/85 mmHG a sinistra ma 80/50 mmHG a destra!


Figura 1: l’ecocardiogramma ha mostrato la presenza di valvola aortica tricuspide con cuspidi ispessite e jet eccentrico da insufficienza di grave entità (v.c 0,7 cm, PHT 320 msec) e l’ectasia della radice aortica (45 mm) a livello dei seni di Valsalva e dell’aorta ascendente (47 mm) e veniva visualizzato un flap intimale a livello della giunzione sinotubulare, per tutta l’aorta ascendente ed anche a livello della carotide destra con interruzione del doppio lume poco prima della biforcazione carotidea.
 

All’ecocardiogramma venivano riscontrate la presenza di valvola aortica tricuspide con cuspidi ispessite e jet eccentrico da insufficienza di grave entità (v.c 0,7 cm, PHT 320 msec) e l’ectasia della radice aortica (45 mm) a livello dei seni di Valsalva e dell’aorta ascendente (47 mm) e veniva visualizzato un flap intimale a livello della giunzione sinotubulare, per tutta l’aorta ascendente ed anche a livello della carotide destra con interruzione del doppio lume poco prima della biforcazione carotidea (Figura 1). A livello della carotide sinistra segnalato flusso rallentato. Il ventricolo sinistro era di normali dimensioni cavitarie con spessori parietali aumentati ed ipocinesia laterale e posteriore con contrattilità globale conservata (FE 55%); sclerosi valvolare mitralica con lieve insufficienza; atrio sinistro nella norma. Sezioni destre di normali dimensioni e funzione; pressioni polmonari nella norma (PAPs=25 mmHg); scollamento della giunzione epipericardica anteriore (4 mm) in assenza di segni di compromissione emodinamica.

Dopo l’iniziale “stupore” del cardiologo ambulatoriale, veniva posta la diagnosi di dissezione aortica verosimilmente a partenza dalla giunzione sinotubulare, di tipo subacuto (in relazione alla tempistica della sintomatologia accusata dal paziente) in corso di terapia anticoagulante orale!!!

In letteratura non esistono grossi volumi di studi sull’argomento, però un recente studio retrospettivo cardochirurgico norvegese condotto da Bjørnstad JL, et al.  (Open Heart 2020;7:e001278) ha riportato un’aumentata mortalità operatoria nei pazienti sottoposti ad interventi di urgenza sull’aorta prossimale per sindromi aortiche acute in corso di terapia con DOAC. In tali pazienti la mortalità era correlata a complicanze emorragiche; lo stesso trend però non si verificava nei pazienti in terapia con warfarin. Gli autori spiegavano questo risultato come conseguenza della mancanza di un antidoto rapido in grado di revertire l’anticoagulazione in urgenza. Lo studio possiede tuttavia grosse limitazioni, tra cui rientra sicuramente il basso numero di pazienti inclusi (135), di cui solo 6 erano in DOAC e 8 in warfarin.

Sono stati subito presi accordi con la Cardiochirugia per il trasferimento in urgenza; il paziente è stato inviato prima in DEA per esecuzione di angiotac dell’aorta toracica ed addominale che ha dimostrato la presenza di esteso flap intimale che dall’aorta ascendente, in prossimità del piano valvolare, si estendeva fino al carrefour ed ai vasi iliaci di destra (Figura 2).


Figura 2: l’angiotac dell’aorta toracica ed addominale ha dimostrato la presenza di esteso flap intimale che dall’aorta ascendente, in prossimità del piano valvolare, si estendeva fino al carrefour ed ai vasi iliaci di destra.

Il giorno successivo il paziente è stato sottoposto ad intervento di sostituzione dell’aorta ascendente e della valvola aortica con protesi vascolare retta n.30 e protesi biologica CE MAGNA n.25 con reimpianto degli osti coronarici (intervento di Bentall) in arresto di circolo e protezione cerebrale anterograda. In sala operatoria evidenza di bulbo aortico dissecato con interessamento del seno coronarico destro e non coronarico.

Il decorso post-operatorio è stato complicato dalla presenza di raccolta periprotesica ematica di massimo 2.5 cm con limitato endoleak periprotesico localizzato prossimalmente e al di sotto dell’origine della coronaria destra e da falda di PNX apico-basale a sinistra dello spessore massimo di 4 cm, entrambe in riduzione nei successivi controlli. Segnalati alcuni episodi di FAP durante la degenza. Alla dimissione FE 55%, valvola normofunzionante.

Il paziente è stato poi trasferito in riabilitazione dopo circa 14 giorni in discrete condizioni cliniche.

Ad oggi sono diverse le domande aperte rimaste senza risposta, tra cui:

1) Quando è cominciata la dissecazione aortica? Al primo accesso in DEA? Al secondo? O subito dopo?

2)Sarebbe bastato un ecocardiogramma eseguito da un cardiologo durante i due accessi in DEA per arrivare ad una diagnosi precoce?

3) Quanto ha contribuito la terapia anticoagulante alla raccolta periprotesica ematica post-operatoria?