UN CUORE DA CAMPIONE
di Antonella Labellarte
03 Luglio 2010

Numero di Journal of American College of Cardiology, del 7 aprile 2010, editoriale interessante per chi di sport è appassionato, spettatore o praticante che sia, e per chi si occupa di sport dal punto di vista della salute: il cuore dei grandi atleti, quali modificazioni subisce e, se ve ne sono, quali le conseguenze?


Cosa, infatti, consente prestazioni olimpiche ad atleti che si sottopongono ad estenuanti allenamenti di resistenza e per periodi decisamente lunghi quali quelli di preparazione alle Olimpiadi?
Il primo adattamento cardiovascolare degli atleti con una straordinaria potenza aerobica – perfetto paradigma di efficienza del sistema cardiocircolatorio, in grado di assicurare all’organismo il trasporto di grandissime quantità di ossigeno – il primo adattamento, si diceva, è una grande gittata sistolica (la quantità di sangue che il cuore pompa ad ogni battito) di un “grande” cuore, che facilmente si riempie ed altrettanto facilmente e rapidamente si rilassa.

Se queste modificazioni sono estremamente vantaggiose in risposta ad una aumentata richiesta metabolica da parte dell’organismo, da molto tempo si dibatte sui potenziali rischi a lungo termine, essendo stati riconosciuti e ben descritti fenomeni quali “l’affaticamento post-esercizio” (transitoria riduzione della performance cardiaca dopo esercizio estremo), il rilascio nel sangue di marcatori specifici di danno miocardico quali la troponina I e T in seguito a sforzo estremo (quali quelli che si ritrovano in circolo dopo un’ischemia miocardica, a testimonianza del danno verificatosi a carico del muscolo cardiaco) e le modificazioni dilatazione /ispessimento che si osservano nel cuore degli atleti.

Studi fino a qui condotti, volti a stabilire se le modificazioni cui questi cuori vanno incontro rappresentino soltanto una forma estrema di rimodellamento “benigno” o, piuttosto una condizione pre-clinica di patologia lasciano spazio a qualche area di incertezza.
Il lavoro cui l’editoriale è dedicato è merito di un gruppo italiano (Pelliccia A et al. Long-term clinical consequences of intense, uninterrupted endurance training in Olympic athletes. Journal of American College of Cardiology 2010;55:1619-25) ed offre oggettive evidenze che un allenamento prolungato di livello ed intensità elevati e la partecipazione a ripetute competizioni olimpiche, non da luogo a significative modificazioni del fenotipo cardiaco e della performance del cuore.

Gli atleti (canottieri e canoisti) sono stati studiati per un periodo di follow up medio di nove anni ed hanno gareggiato in almeno due competizioni olimpiche, sottoposti a valutazioni cliniche, elettrocardiografiche ed ecocardiografiche accurate.
I dati di rilievo presi in considerazione sono:

1) l’assenza di eventi quali sincope, arresto cardiaco e morte improvvisa di origine cardiaca;

2) l’assenza di variazioni progressive nella morfologia del ventricolo sinistro, inclusi il volume alla fine della fase di contrazione (volume tele-sistolico), alla fine della fase di rilassamento (volume tele-diastolico) e lo spessore delle pareti;

3) l’assenza di cambiamenti nella funzione contrattile calcolata con un indice ecocardiografico molto accurato.

Ebbene tutti questi dati, tenuto conto anche di una accurata valutazione anti – doping (che aveva potuto influire sui risultati ottenuti in altri studi su atleti che avevano partecipato al Tour de France), sono stati complessivamente rassicuranti per la comunità scientifica e sportiva in relazione alla natura clinicamente e fisiologicamente benigna di un allenamento estremo e prolungato. Mancano ancora ad oggi studi longitudinali sul potenziale sviluppo a lungo termine di fibrosi del muscolo cardiaco e la conseguente insorgenza di eventi aritmici.
Rimane il buon senso di consigliare a chi svolge attività sportiva amatoriale pur in competizioni estremamente impegnative e molto praticate, come la maratona, ad esempio, di praticare tali attività sotto accurato controllo medico ed evitando di sottoporre il proprio apparato cardiocircolatorio a sforzo estremo. Non siamo tutti degli atleti meritevoli di una competizione olimpica!

Antonella Labellarte
Cardiologa
Ospedale S. Eugenio, Roma