Trombosi post chiusura percutanea dell’auricola: un problema non ancora risolto.
di Filippo Brandimarte
08 Agosto 2021

La chiusura dell’auricola (CA) costituisce una procedura a cui si ricorre sempre più frequentemente per la prevenzione dell’ictus in pazienti selezionati con fibrillazione atriale non candidabili alla terapia anticoagulante a lungo termine (rischio emorragico elevato, patologie onco-ematologiche). (1)

Sebbene l’esperienza e i devices siano in costante sviluppo ed abbiano di fatto ridotto le complicanze procedurali, la trombosi legata al dispositivo di chiusura (TD) rimane ancora un importante evento avverso che gli studi pubblicati sino ad ora attestano intorno 3-4% dei casi e che comporta di conseguenza un elevato rischio di eventi ischemici cerebrali. Il trattamento della TD è reso complesso dalla mancanza di criteri diagnostici e protocolli standardizzati e dal fatto che ad oggi i predittori di TD sono stati poco caratterizzati. (2)

Sull’ultimo numero del Journal of the American College of Cardiology è stato pubblicato uno dei più ampi trial multicentrici condotti su questa particolare popolazione che ha arruolato ben 711 pazienti sottoposti a chiusura percutanea dell’auricola con (n=237) e senza (controlli n=474) TD provenienti da 37 centri con un follow-up medio di 1.7 anni. (3) La diagnosi di TD è stata ottenuta attraverso esame ecocardiografico transesofageo (80% dei casi), tramite tomografia computerizzata o una combinazione delle due metodiche di imaging collezionando dettagli dell’anatomia atriale, del device e della sua profondità di impianto ed infine classificando la presenza e l’entità di eventuali leak peridevice (LD) o migrazioni. E’ stata inoltre valutata la presenza di patologie o fattori trombofilici ed infine il trattamento farmacologico post procedura, post diagnosi di eventuale TD e al termine del follow-up. Gli endpoint dello studio includevano: modalità di trattamento della TD, eventi avversi cardiovascolari nel medio termine (MACE, composito di ictus, embolia sistemica e morte), sanguinamenti (maggiori o minori) ed i predittori di TD precoci o tardivi.

Il timing della diagnosi di TD si è verificata nel 24.9%, 38.8%, 16% e 20.3% dei casi rispettivamente nel periodo tra il giorno 0 e 45, dal giorno 45 al 180, dal 180 al 365 e oltre il giorno 365. La coorte di pazienti con TD aveva diametri atriali lievemente maggiori ed un CHADSVASC score lievemente più alto. Il 74.1% dei pazienti ha ricevuto il device Watchman (prima generazione 67.2% o FLX 6.9%). Il braccio con TD aveva un impianto del device più profondo (12mm vs 8.2 mm, p<0.001) ed un più alto tasso di complicazioni procedurali guidate soprattutto dal versamento pericardico (3.4% vs 0.6%, p= 0.01). Nel follow-up la migrazione del device è stata più frequente nel gruppo TD (2.7% vs 0%, p=0.002) come anche la presenza di uno o più LD (34.6% vs 26.1%, p=0.005). Dei 237 casi di TD il 55.3% dei trombi era localizzato sul disco, il 12.7% sulla vite e l’8.4% era adiacente al device. Fino al momento della diagnosi di TD i pazienti erano principalmente trattati con singola (36.3%) o doppia (26.2%) antiaggregazione. Al termine del follow-up il 25,3% dei pazienti aveva ancora TD nonostante ad una più alta percentuale di essi veniva prescritta terapia anticoagulante (19% vs 4.2%, p<0.001) o singola antiaggregazione in aggiunta alla terapia anticoagulante (15.6% vs 2.7%, p<0.001).

Per quanto concerne gli outcome clinici nel medio termine i MACE sono stati più frequenti nel gruppo TD rispetto a quello di controllo (29.5% vs 14.4%, HR: 2.37; 95% CI: 1.58-3.56; p< 0.001), guidati soprattutto dall’aumento degli stroke ischemici (16.9% vs 3.6%; HR: 3.49; 95% CI: 1.35-9.00; p= 0.01). L’analisi multivariata ha identificato come fattori predittori di MACE la presenza di insufficienza renale, precedenti trasfusioni ematiche e la presenza di TD. L’analisi univariata ha invece determinato come potenziali fattori di rischio per DT la presenza di sindromi trombofiliche, insufficienza renale, una profondità di impianto del device > 10mm, la presenza di FA non parossistica ed infine versamento pericardico suggerendo la possibilità di utilizzare tali parametri per la messa a punto di uno score di rischio.

Lo studio presentato, sebbene abbia delle evidenti limitazioni (studio osservazione caso-controllo con dati non aggiudicati da un laboratorio indipendente, assenza di protocolli di diagnosi e metodiche di imaging standardizzati), conferma che la TD è una complicanza non trascurabile (verificatasi circa nel 3% dei casi) della CA. Come è noto da precedenti trial è inoltre confermata l’associazione tra TD ed eventi ischemici maggiori (guidati principalmente da eventi ictali che si verificano con una frequenza doppia rispetto al gruppo senza TD) e la risoluzione delle formazioni trombotiche con la terapia anticoagulante nel 75% dei casi senza aumentare in maniera statisticamente significativa i sanguinamenti. Il trial identifica però anche 5 nuovi fattori procedurali e specifici del paziente che sono associati allo sviluppo di TD che potrebbero essere di grande aiuto per la stratificazione del rischio trombotico ed eventualmente la selezione dei pazienti candidabili alla procedura di CA che includono le sindromi trombofiliche, l’insufficienza renale, una profondità di impianto del device > 10mm, la presenza di FA non parossistica ed infine la presenza di versamento pericardico. Studi precedenti infatti non avevano la numerosità del campione necessaria per l’estrapolazione di tali dati. (4) Lo studio inoltre offre prospettive per lo sviluppo di nuovi devices con una trombogenicità inferiore limitando la superficie metallica a contatto con l’auricola (Watchman FLX) o introducendo materiali antitrombotici. (5) Alcune domande rimangono irrisolte tra cui il reale effetto della risoluzione della formazione trombotica sul rischio di eventi cardiovascolari o embolici: la fonte dell’embolizzazione cerebrale potrebbe infatti essere localizzata al di fuori della auricola, oppure la possibilità comunque di una TD ricorrente una volta risolto il primo evento od infine le modifiche della terapia in itinere potrebbero avere un impatto sul rischio tromboembolico.

Bibliografia

  • Reddy VY, Gibson DN, Kar S, et al. Postapproval U.S. experience with left atrial appendage closure for stroke prevention in atrial fibrillation. J Am Coll Cardiol 2017;69:253–61.
  • Alkhouli M, Busu T, Shah K, Osman M, Alqahtani F, Raybuck B. Incidence and clinical impact of device-related thrombus following percutaneous left atrial appendage occlusion: a meta-analysis. J Am Coll Cardiol EP 2018;4:1629–37.
  • Simard T, Jung RG, Lehembauer K et al. Predictors of Device-Related Thrombus following percutaneous left atrial appendage occlusion. J Am Coll Cardiol 2021;78:297–313.
  • Freixa X, Cepas-Guillen P, Flores-Umanzor E, et al. Pulmonary ridge coverage and device-related thrombosis after left atrial appendage occlusion. EuroIntervention 2021;16:e1288–94.
  • Cruz-González I, Korsholm K, Trejo-Velasco B, et al. Procedural and short-term results with the New Watchman FLX left atrial appendage occlusion device. J Am Coll Cardiol Intv 2020;13:2732–41.