“THE LANCET” RIDIMENSIONA L’ALCOL
di Eligio Piccolo
09 Luglio 2019

La notizia è arrivata proprio nel mezzo della scorsa vendemmia del Prosecco (2018), il vino frizzante che sta superando lo Champagne, nonché in quelle dell’Amarone, del Chianti, del Nebiolo, del Frascati e di tanti altri prestigiosi vitigni che contribuiscono al nostro povero PIL.
All’indomani degli innumerevoli studi epidemiologici, e anche metabolici, realizzati in molti paesi per dimostrare quali dosi di alcol etilico sono tuttora ben tollerate dal nostro organismo e quali addirittura benefiche. Sono ricerche iniziate oltre mezzo secolo fa e che sono giunte alla conclusione, così come per altri fenomeni biologici, di essere inquadrabili nella famosa curva a U o a J. Secondo la quale l’astinenza o la saltuarietà del bere piccole dosi d’alcol erano penalizzate quanto l’abuso, mentre non facevano danni e addirittura apparivano benefiche per la salute e per la sopravvivenza le dosi moderate, al di sotto del mezzo litro di vino nelle 24 ore. Data la pervicace intenzionalità di quei ricercatori, tali analisi epidemiologiche sembravano quasi le conclusioni di un’animata assemblea politica, dove l’oggetto, benché un tantino vizioso ma così importante per il benessere del cittadino, e di più   per l’economia nazionale, doveva accontentare le esigenze di entrambi. Il solito compromesso, diceva il malizioso, che lasciava tutti soddisfatti. Tanto più che a leggere le statistiche recenti dei quotidiani si notava un lento incremento dei bevitori, quelli moderati si capisce, quasi si fosse recepito lo svantaggio di appartenere alla quota degli astemi, che in quelle statistiche rischiavano quanto gli ubriaconi.

 

La mia esperienza non ha la pretesa di fare testo, ma quando giovane assistente capitai in una clinica universitaria dove si studiavano soprattutto le malattie del fegato rimasi impressionato della numerosità dei cirrotici. I malati, che a causa soprattutto dell’alcol, riducevano il fegato a una specie di pietra, incapace di mantenere le proprie funzioni vitali. Ben diverso, pensai facendo un confronto dissacrante, da quello tenero di vitella con il quale i veneziani, sposandolo alla cipolla, avevano inventato un loro piatto famoso. Naturalmente a quei tempi centrava forse di più la gente veneta, abituata da secoli ai cicchetti e ai sabato sera dedicati a Bacco. In seguito, feci anche esperienza con gli anziani e qualche giovane nei quali le cellule nervose erano le più condizionate dall’alcol e causavano dipendenze inesorabili; spesso zimbello dei vicini, che richiamava il proverbio veneto secondo cui “ai imbriaghi tuti ghe dà da bever” (agli ubriachi tutti si divertono a offrire da bere). Da cardiologo poi mi toccò di vedere anche qualche caso raro di cardiomiopatia alcolica, dove il muscolo del cuore diventa una specie di pappa molla. Ma più spesso nei moderati bevitori, quelli che alzano il gomito solo negli accostamenti a mensa, la comparsa delle aritmie che i nordamericani collegavano con il week end (holiday heart syndrome), ossia le fibrillazioni atriali. Insomma perfino le piccole-moderate dosi di alcol non erano poi così innocue o benefiche come le statistiche volevano farci credere.

Ed è qui che interviene oggi lo studio pubblicato in agosto 2018 su The Lancet, a conclusione di una ricerca durata 26 anni, dal 1990 al 2016, costituita dalla revisione di oltre 600 studi di 195 paesi. Una faticaccia da far apparire Sisifo un principiante. Il dato riassuntivo fondamentale è che l’alcol è uno dei principali fattori di rischio di morte e di invalidità, al settimo posto dopo fumo, obesità e gli altri. Con un’incidenza globale del 8.8% negli uomini e del 2.2% nelle donne durante tutta la loro vita; ma tra i 15 e i 49 anni, l’età più impegnata nell’apprezzamento dei derivati di Bacco, queste cifre aumentano al 12.2% e 3.8% rispettivamente.
Le tre cause principali di morte in quest’ultima fascia di età sono risultate la tubercolosi, gli incidenti stradali e l’autolesionismo (suicidi e altro). Mentre dopo i 50 anni la causa più frequente di exitus nei bevitori fu il cancro (18.9% nei maschi e 27.1% nelle femmine), e tanto più quanto maggiori le quantità di alcol ingerite. Forse la tbc ha destato qualche perplessità in chi legge, ma va ricordato che erano inclusi nello studio globale paesi di ogni continente e con differenti patologie locali. Il dato conclusivo però, quello che ha disarmato anche i più critici, è che la quantità di alcol consumato nel proposito di produrre il minimo danno e dare il maggior beneficio era zero.

A questo punto, dopo aver scritto su queste pagine la gioiosa sintesi oraziana del “nunc est bibendum”, la sacralità del vino nella Bibbia e nel Vangelo, i suoi effetti sul colesterolo buono e i risultati delle numerose ricerche attuate per sminuire i danni dell’alcol etilico in genere, pur mantenendo ferma la barra contro le dipendenze e gli effetti aritmici anche a piccole dosi; dopo questa inesorabile sentenza di Lancet ci resta solo la filosofia e la poesia. Non quella epicurea del godiamoci la vita perché di qualcosa dobbiamo pur morire, ma quella della moderazione che ci avvicina a quello zero, della gioiosità che stimola i nostri ormoni più belli, della prudenza che toglie la quota importante degli incidenti e la quota dell’esaltazione delle peggiori reazioni caratteriali, dell’attenta valutazione della nostra risposta personale all’alcol (anche il profano sa che alcuni lo tengono altri meno) e, infine, farci dire dagli esami e  dal medico se possiamo confidare in quella specie di adattamento che Mitridate, re del Ponto, aveva sperimentato con altri veleni.

Eligio Piccolo
Cardiologo