La neoaterosclerosi è il principale nemico dello stent coronarico, limitandone l’outcome nel medio-lungo termine. Nonostante l’introduzione di nuove tecnologie per migliorare i profili di sicurezza ed efficacia degli stent, i tassi di neoaterosclerosi ad anni dall’impianto di stent di ultima generazione sono scarsi. Il trial randomizzato multicentrico internazionale CONNECT, pubblicato nell’ultimo numero di European Heart Journal, ha riportato per la prima volta un follow-up intravascolare (OCT) a 3 anni dall’impianto di stent, confrontando i tassi di neoaterosclerosi tra stent di ultima generazione.
L’intervento coronarico percutaneo (PCI) con l’impianto di stent a rilascio di farmaco (DES) è il gold standard per il trattamento dell’infarto miocardico acuto con innalzamento del tratto ST (STEMI). Sebbene i DES di nuova generazione presentino un eccellente profilo di efficacia con tassi più bassi di trombosi dello stent e di restenosi in-stent (ISR) rispetto all’angioplastica con palloncino, agli stent di solo metallo e ai DES di vecchia generazione, la restenosi intra-stent ancora si verifica ancora, soprattutto nei pazienti trattati per sindrome coronarica acuta. Dopo un anno dall’impianto, la restenosi significativa intra-stent è dovuta soprattutto dovuta alla formazione de novo di nuova aterosclerosi che occlude di nuovo il lume all’interno dello stent. La neoaterosclerosi è caratterizzata dalla migrazione di macrofagi e linfociti e dall’ingresso di colesterolo ossidato da lipoproteine a bassa densità (LDL) nello strato neointimale, innescato dalla denudazione endoteliale legata all’impianto di stent e dal ritardo del recupero endoteliale. Per migliorare lo stent e ridurre i tassi di neoaterosclerosi, diverse sono state le innovazioni tecniche negli ultimi anni: l’ossatura metallica, il rivestimento polimerico e il farmaco antiproliferativo. Tutti i componenti del DES interagiscono con la parete del vaso arterioso e sono potenzialmente in grado di stimolare o inibire la reazione cellulare con conseguente restenosi. I più recenti DES polimerici durevoli (DP-DES) consentono un rilascio costante del farmaco antiproliferativo nell’arco di 1-3 mesi nella maggior parte dei dispositivi, e la piattaforma dello stent metallico è sigillata dal polimero. I polimeri fluorinati godono di proprietà intrinseche di resistenza ai trombi che possono ridurre il rischio di trombosi precoce dello stent. I resti a lungo termine del polimero durevole, tuttavia, possono innescare un’infiammazione nella parete del vaso, contribuendo potenzialmente allo sviluppo della neoaterosclerosi. Nel caso dei BP-DES (biodegradable polymer-DES), invece, l’idrolisi del polimero porta a una situazione di “stent metallico nudo” dopo 3-15 mesi. Tuttavia, il processo di idrolisi è un’attività biologica che potrebbe innescare una reazione cellulare nella parete del vaso. In uno studio di registro sono stati rilevati tassi più elevati di trombosi precoce dello stent nelle BP-DES rispetto alle DP-DES.
Il trial randomizzato multicentrico (Svizzera-Giappone) CONNECT (1) è stato disegnato ad hoc per indagare questi aspetti e confrontare la frequenza di neoaterosclerosi tra stent di ultima generazione a rilascio di Everolimus (EES) con polimero durevole (DP-DES) e stent di ultima generazione con everolimus ma polimero biodegradabile (BP-DES), valutata mediante OCT intracoronarico a 3 anni dall’intervento coronarico percutaneo primario (pPCI) in pazienti con infarto miocardico.
Pubblicato nell’ultimo numero di European Heart Journal, il CONNECT trial ha mostrato una sostanziale equivalenza dei due stent, con tassi bassi di neoaterosclerosi a 3 anni (BP-DES 11.4% e DP-DES 13.3%; p=0.69). I risultati dell’endpoint primario sono stati confermati da tipi simili di neoaterosclerosi (fibroateroma e accumulo di macrofagi) tra i due stent e dall’entità della neoaterosclerosi (lunghezza e estensione laterale). Il fibroateroma è stata la forma più frequente di neoaterosclerosi, mentre non sono state osservate neo-calcificazioni.
Importante, la frequenza di neoaterosclerosi in questo studio con 3 anni di follow-up era relativamente bassa rispetto a studi precedenti che riportavano numeri di circa il 15-30% di neoaterosclerosi a 3 e 5 anni (2,3). La bassa frequenza di neoaterosclerosi trovata nello studio può essere spiegata da due motivi principali. Prima di tutto, l’uso di routine di una terapia statinica ad alta intensità era nell’80% dei pazienti, con un ottimo colesterolo LDL in trattamento di 65 mg/dl, riportato più basso che in altri studi simili, come ad esempio il TRANSFORM-OCT (4). Tra i pazienti con neoaterosclerosi al follow-up, la metà erano infatti non in terapia con statine ad alta intensità. Essendo il fibroateroma la lesione più frequente nella neoaterosclerosi, l’effetto ipocolesterolemizzante della terapia medica appare dunque importante nel prevenire la progressione dell’aterosclerosi all’interno dello stent così come nei vasi nativi non sottoposti a stent. In secondo luogo, nel trial è stato adottato l’utilizzo sistematico di OCT per guidare l’impianto di stent e verificarne il corretto impianto, una metodica che è stata associata a migliori risultati dello stent a distanza.
In conclusione, gli stent di ultima generazione con everolimus sono sicuri e associati a un basso tasso di neoaterosclerosi al follow-up intravascolare a 3 anni. Per prevenire la neoaterosclerosi, dunque, più che scegliere tra polimeri diversi, appare importante assicurarsi un corretto impianto dello stesso e ridurre in maniera significativa livelli di colesterolo LDL al follow-up.
Bibliografia:
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