Simposio inaugurale CCC2023: “Morte Improvvisa nella Cardiopatia Ischemica”
di Laura Gatto
16 Marzo 2023

Con un interessante simposio concentrato sulla “Morte Improvvisa nella cardiopatia Ischemica” sono ufficialmente iniziati i lavori di Conoscere e Curare il Cuore. Il simposio è stato moderato dalla Professoressa Eloisa Arbustini di Pavia e dal Dott. Domenico Gabrielli Direttore della Cardiologia dell’Ospedale San Camillo di Roma.  

La prima relazione è stata affidata alla Professoressa Cristina Basso, dell’Università di Padova, che ha affrontato il tema delle Cause di Morte Improvvisa (MI) che viene definita come “morte naturale improvvisa che si presume sia di causa cardiaca se si verifica entro 1 ora dall’insorgenza dei sintomi nei casi assistiti ed entro 24 ore dall’ultima volta in cui è stato visto vivo il soggetto quando non è testimoniata”. L’incidenza di MI cardiaca aumenta notevolmente con l’età, principalmente a causa dell’aterosclerosi coronarica (CAD) ma anche delle malattie degenerative, come le valvulopatie. L’incidenza è molto bassa durante l’infanzia e la fanciullezza (1 per 100.000 anni-persona), è di circa 50 per 100.000 anni-persona negli individui tra la quinta e la sesta decade di vita; nell’ottava decade di vita, raggiunge un’incidenza annuale di almeno 200 per 100.000 anni-persona. A qualsiasi età, i maschi hanno tassi di MI cardiaca più elevati rispetto alle femmine. Nel mondo occidentale, l’epidemiologia della MI cardiaca è strettamente correlata alla CAD, che è responsabile fino al 75-80% dei casi.

La MI cardiaca dal punto di vista fisiopatologico può essere meccanica o elettrica. Nel primo caso, le cause più frequenti sono la tromboembolia polmonare o il tamponamento cardiaco da rottura intrapericardica (dissezione aortica, rottura di cuore). Le malattie cardiache associate alla MI variano a seconda dell’età dell’individuo. Nei giovani prevalgono le malattie elettriche primarie (“canalopatie”) e le cardiomiopatie, così come miocarditi e anomalie coronariche. Nelle popolazioni più anziane, predominano le malattie strutturali croniche (CAD e cardiopatie valvolari). L’aterosclerosi coronarica è la causa principale di MI nei soggetti di età superiore ai 35 anni. La lesione colpevole mostra tipicamente le caratteristiche classiche della placca aterosclerotica vulnerabile (core necrotico ricoperto da un sottile cappuccio fibroso, ricca infiltrazione macrofagica, frequenti calcificazioni) ed è frequentemente localizzata nel tratto prossimale dell’arteria discendente anteriore. Le malattie coronariche non aterosclerotiche possono pure essere causa di ischemia e MI specialmente nel giovane dove rappresentano un terzo dei casi di malattia coronarica fatale. Esse includono malattie congenite ed acquisite, quali le anomalie coronariche, l’embolia, le arteriti e le dissezioni spontanee (patologia quasi esclusiva del sesso femminile)

Quando invece si parla di cardiomiopatie a rischio di MI, ci si riferisce principalmente a quella ipertrofica (HCM) ed all’aritmogena (AC). La HCM è la cardiomiopatia primitiva più frequente, essendo riportata nello 0,2% -0,5% della popolazione generale. I substrati morfologici della instabilità elettrica della HCM sono stati variabilmente indicati nella presenza di ostruzione subaortica, ipertrofia severa, ponti coronarici e malattia dei piccoli vasi intramiocardici, esteso “disarray” delle miofibre, fibrosi sostitutiva ed interstiziale. La AC è invece una cardiomiopatia più rara, con una penetranza del fenotipo correlata all’età e al genere, con la MI che si verifica tipicamente durante l’adolescenza o l’età giovane-adulta. I substrati morfologici della instabilità elettrica della AC sono identificabili nella sostituzione fibroadiposa con alterata conduzione dello stimolo elettrico nella parete ventricolare e nelle “poussees” evolutive con necrosi dei cardiomiociti e reazione infiammatoria simil-miocarditica. La miocardite, di qualsiasi eziopatogenesi è pure annoverata tra le cause di instabilità elettrica e MI, e deve essere esclusa in caso di MI a coronarie indenni, specialmente in età pediatrica e giovanile.

Anche la MI che si verifica nei soggetti affetti da prolasso della valvola mitrale è aritmica, raramente meccanica da rottura di corde con edema polmonare acuto. Si tratta di un prolasso valvolare mitralico con grossolana deformazione dei lembi, che appaiono ispessiti per degenerazione mixoide, in assenza di insufficienza mitralica rilevante. Di solito è coinvolto il lembo posteriore, ma anche il lembo anteriore può essere interessato. Sono state avanzate diverse ipotesi per spiegare l’instabilità elettrica a rischio di MI, quali la frizione endocardica delle corde tendinee, cardiomiopatia del ventricolo destro associata o anomalie del sistema di conduzione specializzato.

A seguire il Prof. Francesco Prati, Direttore del Dipartimento di Scienze Cardiovascolari dell’Ospedale di Roma ha affrontato il tema del duplice meccanismo della MI nella cardiopatia ischemica, in quanto è opinione diffusa che la causa delle aritmie sia rappresentata da una instabilizzazione della placca aterosclerotica, tuttavia studi recenti hanno posto l’accento su altre cause da individuare nel muscolo cardiaco e. Burke e coll. hanno contribuito a far emergere e rafforzare questa ipotesi in due studi molto importanti. Il primo ha coinvolto 113 soggetti di sesso maschile con malattia aterosclerotica coronarica a breve distanza dalla MI, in cui una trombosi coronarica acuta è stata individuata in 59 casi (52%), mentre il restante 48% presentava restringimenti coronarici di grado importante, ma in assenza di trombosi, ad indicare una placca stabile. Inoltre nei casi con trombosi acuta il 36% dei soggetti presentava una rottura di placca aterosclerotica con caratteri di vulnerabilità mentre nel 16% il meccanismo causante la trombosi era di tipo erosivo. A distanza di due anni, lo stesso gruppo indagava sul ruolo dello sforzo nella instabilizzazione della placca aterosclerotica nei soggetti deceduti per MI. La rottura di placca era il meccanismo più spesso responsabile di trombosi coronarica in presenza di uno sforzo intenso (68%) mentre si osservava più raramente nei casi di morte improvvisa a riposo (23%) (p< 0,001).

Il dato interessante che emerge da questi studi è che in circa il 50% dei casi di MI non viene riscontrata alcuna trombosi coronarica, sono presenti unicamente placche aterosclerotiche stabili, pertanto il meccanismo dell’aritmia fatale deve essere necessariamente cercato in un meccanismo alternativo. A conferma di questa osservazione, studi successivi come il COACT e il TOMAHAWK hanno dimostrato, nel setting dell’arresto cardiaco extraospedaliero, un’assenza di benefico nell’attuazione di una strategia aggressiva con effettuazione di coronarografia immediata, in quanto una stenosi instabile era individuata rispettivamente solo nel 15% e nel 40% dei casi.

Se tali evidenze fanno comprendere che l’infarto miocardico causato dalla instabilizzazione di placche aterosclerotiche non è l’unico meccanismo fisiopatologico alla base della MI nei soggetti con cardiopatia ischemica, rimane da chiedersi quali siano le altre cause. Il recente studio di Holmstrom et al ha contribuito a chiarire questi aspetti. Lo studio è stato condotto in una popolazione che comprendeva 600 soggetti deceduti per MI in presenza di malattia coronarica e prevedeva l’analisi istologica delle coronarie e del tessuto miocardico. Si osservavano segni di pregresso infarto miocardico nel 58% dei casi mentre l’infarto miocardico acuto era rilevabile nel 56% dei casi. Il 78% dei soggetti aveva un cuore con peso aumentato rispetto ai valori normali ed il 93% presentava segni di fibrosi. La fibrosi era di grado importante (substantial) nel 13% dei casi e di grado moderato (patchy) nel 68% dei casi. Nel sottogruppo di pazienti con placche aterosclerotiche stabili, la fibrosi veniva riscontrata nel 92% dei casi ed era di grado importante nel 11.8% e di tipo moderato (patchy) nel 66,2%. Anche l’ipertrofia giocava un ruolo importante: era raramente isolata ma si osservava in associazione con la fibrosi nella quasi totalità dei casi. Altri studi condotti con risonanza magnetica nucleare (RMN) hanno correlato l’estensione della fibrosi alle aritmie ventricolari o al rischio di MI e ci sono sempre più evidenze che l’estensione della fibrosi si associa alla MI in modo più stretto di quanto si osservi per la frazione d’eiezione ridotta. Il Prof. Prati ha quindi ribadito la necessità di misure preventive che agiscano su entrambi i meccanismi di MI nei soggetti affetti da cardiopatia ischemica. Oltre stabilizzazione dell’aterosclerosi coronarica, sembra avere un ruolo importante il trattamento dei pazienti con fibrosi miocardica estesa mediante l’impianto di defibrillatore (ICD) in prevenzione primaria.

Tuttavia, le comuni indicazioni ad impianto di ICD non riescono a proteggere in modo soddisfacente la popolazione con malattia coronarica, in quanto il fenomeno della MI si verifica nel 70% dei casi in persone che non rientrano nelle linee guida. Pertanto la ricerca di nuovi predittori potrebbe migliorare la stratificazione del rischio in questa categoria di pazienti. Il Professor Alessandro Boccanelli, presidente della Società’ Italiana di Cardiologia Geriatrica, ha affrontato questo argomento concentrandosi sul concetto di rischio poligenico, definito come una modalità di ereditare la condizione di rischio in cui non si riscontrano mutazioni, ma un aumento di alleli di variazioni comuni chiamati polimorfismi. I polimorfismi sono delle variazioni che non causano un’alterazione del gene, ma ognuna comporta un piccolo effetto sul rischio: quando queste variazioni si sommano conferiscono un significativo aumento del rischio genetico di sviluppare un determinato fenotipo.

In questo contesto si inserisce lo studio coorte PRE-DETERMINE, che ha arruolato pazienti con storia di malattia coronarica e precedente infarto miocardico o disfunzione ventricolare sinistra da lieve a moderata (FE 35-50%), con l’obiettivo di determinare se marcatori biologici ed ECG possano essere utilizzati per identificare soggetti a maggior rischio di MI. Inizialmente, nuovi predittori di rischio di MI sono stati identificati: Silverman e Coll. hanno verificato che microRNA plasmatici possono regolare processi di rimodellamento ed essere utilizzati per identificare pazienti con sindrome coronarica cronica più esposti al rischio di morte improvvisa e aritmica. Lee e Coll hanno dimostrato che in pazienti con pregresso infarto un semplice score elettrocardiografico riesce a stimare l’estensione della zona infartuata in misura sovrapponibile a quella della RMN. Chatterjee e Coll hanno verificato come semplici parametri elettrocardiografici siano in grado di migliorare significativamente la stratificazione del rischio relativo e assoluto di MI a confronto con fattori di rischio standard come la FE.

Infine Sandhu e Coll hanno dimostrato che nella coorte di pazienti arruolati nello studio PRE-DETERMINE  uno score di rischio poligenico validato su tutto il genoma è stato in grado di predire un rischio assoluto clinicamente significativo di morte aritmica improvvisa. Nello studio è stata indagata l’utilità del genome-wide polygenic score for coronary artery disease (GPSCAD), uno score che comprende >6 milioni di varianti comuni e che precedentemente si è dimostrato capace di prevedere la comparsa di malattia coronarica acuta. Sono stati arruolati nello studio 4698 pazienti seguiti per 8 anni, suddivisi in due gruppi: il decile più alto di GPSCAD e il resto della popolazione, posti a confronto relativamente al tasso di morte improvvisa e non improvvisa. I pazienti appartenenti al decile più alto di GPSCAD erano a maggior rischio assoluto (8.0% vs 4.8%; P < 0.005) e relativo (29% vs 16%; P < 0.0003) di MI rispetto al resto della coorte. Il potere predittivo di MI del GPSCAD nel decile più alto aumentava nel gruppo di pazienti classificati a maggior rischio secondo criteri clinici ed elettrocardiografici.

Inoltre le tecnologie bioinformatiche hanno fatto crescere la possibilità di praticare test genetici a costi contenuti e studi di Genome-wide association hanno evidenziato che variazioni genetiche del polimorfismo di singoli nucleotidi possono produrre o modificare il fenotipo nella Sindrome di Brugada, nella Sindrome del QT lungo, nella cardiomiopatia ipertrofica e nella cardiomiopatia dilatativa. I “Polygenic risk scores”, misure derivate dagli effetti cumulativi di questi singoli polimorfismi dei nucleotidi, potrebbero quindi giocare un ruolo importante in futuro per la diagnosi e la prognosi di queste condizioni. Tuttavia le recenti linee guida ESC relative alla prevenzione della MI, raccomandano di praticare test genetici in quelle condizioni in cui esiste una base genetica probabile per lo sviluppo di aritmie potenzialmente fatali. Nel momento in cui sia identificata una variante potenzialmente patogena, se ne raccomanda la validazione in un contesto scientifico internazionalmente accettato e che il counseling con le sue potenziali conseguenze venda affidato ad un team esperto multidisciplinare. Il professor Boccanelli ha quindi concluso che allo stato attuale delle conoscenze, la predizione genetica della MI nei pazienti con cardiopatia ischemica può essere considerata una dimostrazione in fase avanzata di acquisizione. Sicuramente potrà essere utilizzata in futuro, insieme ad altri marcatori elettrocardiografici e clinici, per una maggiore attenzione alle categorie definite a maggior rischio. I dati a nostra disposizione, tuttavia, ancora non consentono di allargare le indicazioni ad impianto di defibrillatore in prevenzione primaria.

L’ultima relazione è stata affidata al Prof. Carlo Pappone, Responsabile dell’Unità Operativa di Aritmologia Clinica e del Laboratorio di Elettrofisiologia del Policlinico San Donato e Professore ordinario di Cardiologia all’Università Vita e Salute San Raffaele, che ci ha illustrato il potenziale aritmogeno del tessuto epicardico. Infatti i più recenti sviluppi nelle tecniche di mapping e di ablazione hanno dimostrato che la regione epicardica può svolgere un ruolo chiave nell’insorgenza degli eventi aritmici ventricolari in diverse patologie. 

La regione epicardica contiene tessuto connettivo, vasi coronarici, cellule mesenchimali, cellule infiammatorie, fibroblasti, nervi e tessuto adiposo epicardico (EAT). L’EAT è strettamente associato al miocardio sub-epicardico: scambia con esso fattori paracrini e può secernere citochine e adipochine che possono modulare le proprietà elettriche cardiache. La cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro può essere considerata l’archetipo delle malattie con un substrato anatomico epicardico, in quanto il miocardio viene progressivamente sostituito da infiltrati fibro-adiposi derivati ​​dall’EAT. Infiltrandosi negli strati subepicardici del miocardio, gli adipociti e la fibrosi interrompono l’accoppiamento miocita-miocita portando ad aree di cicatrice e blocco della conduzione elettrica, provocando così la formazione di circuiti di rientro che rappresentano il substrato per le tachicardie ventricolari in questi pazienti.

Oltre alla cardiomiopatia aritmogena, studi recenti hanno dimostrato una elevata incidenza di aree cardiomiopatiche microstrutturali epicardiche in pazienti con malattie cardiache ereditarie e sintomatici per aritmie ventricolari sostenute o arresto cardiaco abortito. Queste alterazioni subcliniche possono essere identificate mediante mapping endo-epicardico invasivo ad alta densità. Ad esempio nei soggetti con Sindrome di Brugada tale sistema di mappaggio ha permesso di localizzare il substrato aritmico esclusivamente nell’area epicardica del tratto di efflusso e della parete libera anteriore del ventricolo destro (riflettendo l’aspetto correlato alla posizione del pattern ECG) e la somministrazione di ajmalina è in grado di delinearne l’estensione per definire correttamente la regione da sottoporre ad ablazione. In effetti, la completa eliminazione del substrato mediante ablazione con radiofrequenza, confermato dalla nuova mappatura dai test di provocazione post-ablazione, ha comportato la scomparsa del tipico pattern ECG di Brugada e l’assenza di inducibilità delle aritmie ventricolari in tali pazienti.

Se esistono chiare evidenze della presenza di un substrato strutturale nell’epicardio del ventricolo destro nei pazienti con Sindrome di Brugada, nei pazienti con Sindrome da ripolarizzazione precoce tali evidenze sono meno robuste. Tuttavia il prof Pappone ha presentato la propria esperienza: nei pazienti con ripolarizzazione precoce sintomatici per episodi ricorrenti di fibrillazione ventricolare, l’estesa mappatura endo-epicardica ha mostrato la presenza di aree di miocardio a lenta conduzione esclusivamente negli strati epicardici dei due ventricoli. L’ablazione di tali substrati ha liberato tutti i pazienti dagli eventi aritmici ventricolari e ha ridotto o addirittura abolito la presenza di J-waves all’elettrocardiogramma.

Infine Il Prof Pappone ha anche presentato i propri dati relativi anche ai pazienti con sindrome del QT lungo (LQTS). In questo studio undici pazienti con LQTS sintomatico per aritmie maligne spontanee sono stati sottoposti ad un’estesa procedura di mappatura di entrambi i ventricoli. Tutti i soggetti hanno mostrato una chiara evidenza di anomalie elettro-anatomiche locali, caratterizzate da segnali ritardati di bassa ampiezza con molteplici componenti frammentate, localizzate esclusivamente nell’epicardio del ventricolo destro. L’ablazione del substrato anatomico può rappresentare, in questi casi, un approccio terapeutico molto innovativo. Infatti l’ablazione ha abolito la recidiva di FV in tutti i soggetti che hanno riportato anche un accorciamento stabile del QT. Questi risultati suggeriscono che le anomalie strutturali epicardiche potrebbero rappresentare il target dell’ablazione in un sottogruppo significativo di pazienti con LQTS ad alto rischio.

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