Screening del rischio di morte improvvisa nei giovani atleti competitivi: The Italians do it better!!! 
di Vittoria Rizzello
18 Aprile 2023

Sin dai primi anni 80, in Italia si è adottato un programma, unico nel panorama internazionale, per lo screening della morte improvvisa cardiaca (MIC) nei giovani atleti competitivi. Tale programma prevede una prima valutazione cardiologica all’inizio dell’attività agonistica (anche in fase pre-adolescenziale per alcuni sport) e una rivalutazione annuale, con l’interdizione dell’attività agonistica conseguente al riscontro di patologie cardiovascolari a rischio di MIC (1).

La dimostrazione che questo protocollo “performi” meglio rispetto ad altri modelli internazionali è riportata in un recente lavoro pubblicato su European Heart Journal da un gruppo di ricercatori italiani, leader nell’ambito della MIC, coordinato dal prof. Corrado (2).

Lo studio ha incluso 22.324 giovani atleti competitivi, di età compresa tra i 7 e i 18 anni, sottoposti, tra il 2009 e il 2019, a screening cardiovascolare all’inizio dell’attività agonistica e quindi annualmente, presso il Centro di Medicina dello Sport di Treviso. Questo istituto è il centro di riferimento per la Medicina dello Sport della regione Veneto e rappresenta un valido osservatorio a livello regionale del programma nazionale di prevenzione della MIC in questa fascia di popolazione.

In accordo al protocollo italiano di valutazione cardiovascolare, i giovani atleti sono stati sottoposti, di base e annualmente, ad: anamnesi personale e familiare per malattie cardiovascolari, esame obiettivo, ECG a 12 derivazioni e test da sforzo (all’85% della frequenza cardiaca massimale). In caso di elementi suggestivi di cardiopatia, sono stati effettuati  gli ulteriori accertamenti necessari.

L’età media degli atleti è stata di 12 anni (IQR, 10-14) e il 62% erano maschi, prevalentemente di razza caucasica (89%). Accertamenti aggiuntivi dopo la prima valutazione sono stati richiesti nel 9% dei casi e hanno incluso l’ecocardiogramma (8,4%), l’Holter ECG (8,1%), il test ergomentrico massimale (4%) e la risonanza magnetica cardiaca (0,2%). Test invasivi come  il test elettrofisiologico invasivo o la coronarografia sono stati necessari molto raramente (0,02%).

Le valutazioni seriate hanno permesso di diagnosticare una malattia cardiovascolare in 403 atleti (1.8%); in  69 casi la patologia diagnosticata era associata a rischio di MIC e comprendeva: cardiopatie congenite in 17 atleti (di cui 11 con origine anomala delle coronarie), channellopatie in 14 atleti, cardiomiopatie in 15 atleti, aritmie cardiache associate a scar non ischemica a livello del ventricolo sinistro in 18 atleti e altre condizioni a rischio in 5 atleti. La diagnosi di patologia associata a rischio di MIC era effettuata alla prima valutazione solo nel 36% dei casi, mentre nel 64% dei casi la diagnosi era effettuata nelle valutazioni successive. Nel  9% dei casi la diagnosi è stata effettuata in atleti  sotto i 12 anni, mentre nel restante 91%  la diagnosi è stata posta dai 12 anni in su. Nel 52% dei casi di cardiopatia potenzialmente aritmogena, il test da sforzo è risultato patologico (induzione di aritmie durante l’esercizio)

L’analisi dei costi ha dimostrato che il costo medio per una diagnosi di cardiopatia associata a rischio di MIC è stato di 73.312 €, con un costo più elevato nella fascia di età 7-11 anni (140.041€) rispetto alla fascia 12-18 anni (66.957€).

Durante il follow-up (7,5±3,7 anni) solo 1 atleta (runner, considerato idoneo alla valutazione effettuata 11 mesi prima), ha presentato un episodio di arresto cardiaco in fibrillazione ventricolare durante un allenamento, prontamente risuscitato con l’uso di un defibrillatore automatico esterno, presente sul posto. Le indagini effettuate per chiarire l’origine dell’aritmia sono risultate negative e non è stato possibile individuare le cause dell’aritmia. Nessuno degli atleti ritenuti non idonei ha manifestato eventi aritmici nel follow-up , nel corso del quale era consentita all’interno di un programma dedicato e monitorato, l’attività fisica non competitiva.

Considerazioni:

Il lavoro del gruppo di Corrado appare molto interessante e rilevante per diversi aspetti.

Innanzitutto, conferma che l’evento MIC  nei giovani atleti agonisti è un evento molto raro (0.6%/100000/anno); tuttavia, data la rilevanza sociale e mediatica di tali eventi, ogni sforzo deve essere attuato per evitare tali morti.

Il modello italiano, attraverso una valutazione cardiovascolare seriata che inizia molto precocemente e viene ripetuta annualmente, consente di diagnosticare diverse cardiopatie associate a rischio di MIC e salvare vite (in questo studio ben 69).  

La maggior parte di queste diagnosi viene effettuata grazie alle rivalutazioni eseguite nei diversi anni (2/3)  e in un’età inferiore a 16 anni (75%).  Questi  dati assumono particolare rilievo se interpretati alla luce di altri protocolli di screening, come quello inglese, che prevede un’unica valutazione cardiovascolare all’età di 16 anni (3), che pertanto espone una percentuale, non trascurabile di giovani atleti a rischio di MIC.

L’utilità di una valutazione precoce  è sottolineata dal fatto che il 9% delle diagnosi di cardiopatia associata a rischio di MIC è stata posta in atleti di età <11 anni. D’altro canto, è noto che l’espressione fenotipica di molte cardiopatie genetiche o acquisite può essere dilazionata nel tempo e pertanto solo una rivalutazione periodica può cogliere lo sviluppo della cardiopatia.  In effetti, in un precedente studio inglese (3) è stata riportata un’incidenza di MIC di 6.8/100.000 atleti/anno, con la presenza in 5 di 8 vittime di MIC di una cardiomiopatia non diagnosticata nell’unica valutazione cardiovascolare eseguita circa 7 anni prima della morte.

Altro dato che caratterizza il modello italiano di screening rispetto a quelli stranieri è l’utilizzo del test da sforzo che in circa la metà dei casi patologici ha consentito la diagnosi.

Da un punto di vista di costi, la strategia italiana ha presentato, nell’analisi dedicata dello studio, una sostenibilità economica paragonabile alla strategia inglese e quindi appare economicamente accettabile, anche perché finalizzata a salvare giovani vite.

Infine, è importante sottolineare, che per quanto un protocollo di screening per la MIC possa essere ben strutturato e funzionale,  è impossibile prevenire tutti i casi di MIC e pertanto appare fondamentale garantire una disponibilità più capillare dei defibrillatori automatici esterni in particolare nei luoghi in cui si svolgono attività sportive di allenamento e competitive al fine di consentire un rapido intervento di defibrillazione.

References:

  1. Vessella T, Zorzi A, Merlo L, Pegoraro C, Giorgiano F, Trevisanato M, Viel M, Formentini P, Corrado D, Sarto P. The Italian preparticipation evaluation programme: diagnostic yield, rate of disqualification and cost analysis. Br J Sports Med. 2020;54:231-237.
  2. Sarto P, Zorzi A, Merlo L, Vessella T, Pegoraro C, Giorgiano F, Graziano F, Basso C, Drezner JA, Corrado D. Value of screening for the risk of sudden cardiac death in young competitive athletes. Eur Heart J. 2023;44:1084-1092.
  3. Malhotra A, Dhutia H, Finocchiaro G, Gati S, Beasley I, Clift P, Cowie C, Kenny A, Mayet J, Oxborough D, Patel K, Pieles G, Rakhit D, Ramsdale D, Shapiro L, Somauroo J, Stuart G, Varnava A, Walsh J, Yousef Z, Tome M, Papadakis M, Sharma S. Outcomes of Cardiac Screening in Adolescent Soccer Players. N Engl J Med. 2018;379:524-534.