L’ablazione trans-catetere della fibrillazione atriale è una procedura che viene raccomandata soprattutto nei pazienti con fibrillazione atriale sintomatici e con scompenso cardiaco con ridotta frazione d’eiezione [1-2]. Tale procedura si è dimostrata efficace nel ridurre le recidive aritmiche, tuttavia rimane oggetto di dibattito se sia associata anche ad una riduzione degli eventi tromboembolici. Documenti di consenso e linee guida raccomandano la prosecuzione della terapia anticoagulante per almeno due mesi dopo la procedura di ablazione [3-4], anche se in generale la scelta in merito alla durata della prosecuzione si dovrebbe fondare sul rischio ischemico del paziente. In letteratura non ci sono studi clinici randomizzati che abbiano affrontato questa tematica, tuttavia precedenti studi osservazionali hanno dimostrato che la prosecuzione della terapia anticoagulante nei pazienti con storia di pregresso ictus riduce la ricorrenza degli eventi tromboembolici [5].
Su uno degli ultimi numeri della rivista European Heart Journal, sono stati pubblicati i risultati di un grande registro retrospettivo condotto proprio con lo scopo di valutare la sicurezza e l’efficacia della prosecuzione della terapia anticoagulante orale nei pazienti sottoposti ad ablazione della fibrillazione atriale in accordo con il loro rischio tromboembolico [6].
Kanaoka e coll. hanno impiegato i dati di un database nazionale giapponese collezionati tra il 2013 ed il 2021, includendo tutti i pazienti con età superiore ai 20 anni e sottoposti ad efficace procedura di ablazione della fibrillazione atriale. Sono stati esclusi i soggetti che non sono stati trattati con terapia anticoagulante prima e durante l’ospedalizzazione per la procedura di ablazione, i soggetti con recidiva di fibrillazione atriale, sottoposti a chiusura dell’auricola o persi al follow-up. La durata del trattamento con anticoagulante orale è stata calcolata in base all’ultimo giorno di prescrizione. I pazienti sono stati suddivisi in due gruppi in funzione della prosecuzione o dell’interruzione della terapia anticoagulante orale a sei mesi ed in tutti è stato calcolato il rischio tromboembolico sulla base del CHADS2 score, distinguendo tre sottogruppi (pazienti con CHADS2 ≤1, =2 o ≥ 3).
L’endpoint primario dello studio sono stati gli eventi tromboembolici ed i sanguinamenti maggiori durante il periodo di osservazione. Gli eventi tromboembolici hanno incluso gli ictus ischemici, le embolie sistemiche e l’infarto miocardico acuto. Tra i sanguinamenti maggiori sono stati considerati quelli intracranici e quelli gastro-intestinali. Come endpoint secondari sono stati presi in considerazione quelli inclusi nell’endpoint primario, qualsiasi evento tromboembolico, le ospedalizzazioni che abbiano richiesto una trasfusione e la mortalità per tutte le cause.
Il registro ha incluso un totale di 231.374 pazienti, di cui il 20.8% con età compresa tra 65 e 69 anni ed il 20.4% con età compresa tra 70 e 74 anni, con circa il 30% di soggetti di sesso femminile ed oltre il 75% dei pazienti sottoposti a procedura di ablazione con radiofrequenza. Per quanto riguarda la stratificazione in base al CHADS2 score: il 69.7% ha presentato uno score ≤1, il 21.6% uno score =2 e l’8.7% uno score ≥ 3. Circa il 90% della popolazione assumeva anticoagulanti di nuova generazione. A sei mesi e ad un anno di follow-up rispettivamente il 71% ed il 53% dei pazienti arruolati nel registro hanno proseguito la terapia anticoagulante orale e la percentuale di prosecuzione è stata superiore nel sottogruppo con CHADS2 ≥ 3 rispetto a quelli con CHADS2 ≤ 2 (89% vs 69%). Per quanto riguarda le caratteristiche dei singoli sottogruppi, i pazienti che hanno continuato la terapia anticoagulante orale indipendentemente dal CHADS2 score, si presentavano in genere più anziani, più frequentemente erano di sesso femminile, riferivano una storia di fibrillazione atriale persistente o di maggior durata ed erano stati sottoposti ad una procedura di ablazione con radiofrequenza. Nei pazienti con CHADS2 score ≥ 3 una storia di tromboembolismo era prevalente in coloro che continuavano la terapia anticoagulante orale, al contrario una storia di sanguinamento maggiore, di anemia, di malattia renale cronica, di uso di anticoagulanti tradizionali e di terapia antiaggregante era prevalente in coloro che interrompevano il trattamento anticoagulante.
La durata media del follow-up è stata di 1101 giorni. Dopo un periodo di osservazione di 6 mesi, 2451 pazienti sono andati incontro ad un evento tromboembolico, mentre 2367 pazienti hanno mostrato un sanguinamento maggiore. Per quanto riguarda gli eventi tromboembolici sono stati individuati 1902 ictus ischemici e 570 embolie sistemiche; in merito ai sanguinamenti sono stati registrati 1542 sanguinamenti gastro-intestinali ed 850 sanguinamenti intracranici. Considerando tutta la popolazione, quindi, la prosecuzione della terapia anticoagulante orale si è associata ad un HR di 0.93 (CI: 0.83-1.05, P=0.26) per il tromboembolismo e ad un HR di 1.53 (CI: 1.34-1.76, P<0.001) per i sanguinamenti maggiori.
Se invece si stratifica la popolazione in base al CHADS2 score, sicuramente i pazienti con CHADS score ≥ 3 hanno presentato una maggiore incidenza di eventi tromboembolici (1 ogni 100 persone/anno) e di sanguinamenti maggiori (1.27 ogni 100 persone/anno) rispetto a quelli con CHADS score ≤ 1 (0.39 ogni 100 persone/anno per entrambi gli endpoint). Nel sottogruppo con CHADS2 score ≤ 1, coloro che hanno proseguito la terapia anticoagulante orale hanno mostrato un rischio di sanguinamento maggiore significativamente più elevato rispetto a coloro che l’hanno interrotta (HR 1.51; CI: 1.27-1.80, P<0.001), senza nessun beneficio in termini di protezione dagli eventi tromboembolici. Nel sottogruppo di pazienti con CHADS2 score = 2 la prosecuzione della terapia anticoagulante orale si è associata ad un HR di 0.98 per il rischio tromboembolico e ad un HR di 1.35 per i sanguinamenti maggiori. Al contrario nel sottogruppo di soggetti con CHADS2 score ≥ 3 la prosecuzione della terapia anticoagulante orale si è dimostrata significativamente efficace nella riduzione degli eventi tromboembolici (HR 0.61; CI 0.46-0.82, P= 0.001), senza aumentare i sanguinamenti maggiori (HR 1.05; CI 0.71-1.56, P= 0.81)
Gli autori dello studio hanno quindi concluso sottolineando come i risultati di questo registro dimostrino come:
- Nel mondo reale una grande percentuale di pazienti prosegua la terapia anticoagulante orale a sei mesi e ad un anno post ablazione
- La prosecuzione oltre i sei mesi della terapia anticoagulante orale si associa ad un elevato rischio di sanguinamento maggiore nei pazienti con CHADS2 score ≤ 2
- Nei pazienti con CHADS2 score > 3 la prosecuzione della terapia anticoagulante orale si associa ad rischio più basso di ricorrenze di eventi tromboembolici.
Lo studio presenta sicuramente alcuni limiti, in primis la natura retrospettiva considerato il fatto che si tratta di un registro e poi il dato che si limita alla popolazione giapponese. Tuttavia, bisogna considerare che rappresenta l’esperienza più numerosa che abbia affrontato questo tipo di tematica e le conclusioni rafforzano le raccomandazioni delle linee guida che suggeriscono che dopo una procedura di ablazione la prosecuzione della terapia anticoagulante orale debba essere decisa in base al rischio tromboembolico del paziente.
Bibliografia di riferimento:
- Parameswaran R, Al-Kaisey AM, Kalman JM. Catheter ablation for atrial fibrillation: current indications and evolving technologies. Nat Rev Cardiol 2021;18:210–25.
- Chen S, Pürerfellner H, Meyer C, Acou WJ, Schratter A, Ling Z, et al. Rhythm control for patients with atrial fibrillation complicated with heart failure in the contemporary era of catheter ablation: a stratified pooled analysis of randomized data. Eur Heart J 2020;41: 2863–73.
- Calkins H, Hindricks G, Cappato R, Kim YH, Saad EB, Aguinaga L, et al. HRS/EHRA/ ECAS/APHRS/SOLAECE expert consensus statement on catheter and surgical ablation of atrial fibrillation. Heart Rhythm 2017;17:e275–444.
- Hindricks G, Potpara T, Dagres N, Arbelo E, Bax JJ, Blomström-Lundqvist C, et al. 2020 ESC guidelines for the diagnosis and management of atrial fibrillation developed in collaboration with the European Association for Cardio-Thoracic Surgery (EACTS): the Task Force for the diagnosis and management of atrial fibrillation of the European Society of Cardiology (ESC) developed with the special contribution of the European Heart Rhythm Association (EHRA) of the ESC. Eur Heart J 2021;42:373–498.
- Karasoy D, Gislason GH, Hansen J, Johannessen A, Køber L, Hvidtfeldt M, et al. Oral anticoagulation therapy after radiofrequency ablation of atrial fibrillation and the risk of thromboembolism and serious bleeding: long-term follow-up in nationwide cohort of Denmark. Eur Heart J 2015;36:307–15.
- Kanaoka K, Nishida T, Iwanaga Y, Nakai M, Tonegawa-Kuji R, Nishioka Y, Myojin T, Okada K, Noda T, Kusano K, Miyamoto Y, Saito Y, Imamura T. Oral anticoagulation after atrial fibrillation catheter ablation: benefits and risks. Eur Heart J. 2023 Dec 20:ehad798. doi: 10.1093/eurheartj/ehad798.