
159 dopo Cristo. Nelle sue “Notti attiche”, Aulo Gellio scrive che dalla punta dell’anulare sinistro parte un nervo che, attraverso il braccio sinistro, arriva fino al cuore. È per questo che l’anello di fidanzamento o di matrimonio, nella nostra cultura latina, si porta all’anulare sinistro. Il cuore era considerato, allora, il centro dell’emotività e del sentimento. L’anello, simbolo di captazione, posto all’anulare, stava a significare – dunque – l’impegno dell’affetto. Oggi sappiamo che non è vero, che è il cervello la centrale operativa delle emozioni e dei sentimenti. Il cuore, però, resta – nella vulgata popolare – un potentissimo simbolo corporeo del sentimento e delle emozioni. È per questo motivo che spesso si dimentica che è un muscolo striato. Un tessuto muscolare molto particolare e specializzato, ma pur sempre un muscolo. Sarebbe bene ricordare, invece, che, per mantenerlo tonico e funzionale andrebbe costantemente allenato e non trascurato.
L’infartuato, dunque, vive un profondo trauma poiché associa al cuore una fortissima valenza di vita e di affettività. Naturalmente, molto dipende dalla severità della situazione cardiaca. Il più delle volte, però, se l’infarto viene preso in tempo e con le dovute cure, il muscolo ne risulta poco danneggiato e il cuore torna a compiere più che egregiamente il suo dovere di prima pompa ematica del corpo (la seconda l’abbiamo sotto la pianta dei nostri piedi, perciò camminare è il diktat medico per il recupero post infarto).

Le reazioni ad un incidente cardiaco sono da mettere in relazione con la struttura e con la situazione psichica di chi subisce l’infarto. Isolamento sociale e relazionale, problemi economici, problemi famigliari, difficoltà sul posto di lavoro, sono tutte condizioni che possono predisporre il soggetto a reazioni depressive o ansiose o, addirittura, di negazione dell’evento. Anche la rabbia è una reazione tipica dell’infartuato e, se integrata ed espressa in maniera giusta, può diventare un vero motore che spinge a riappropriarsi della vita, piuttosto che essere distruttiva se si tende ad esprimerla sulle persone che si hanno intorno.
Dopo le classiche fasi di annichilimento (subito dopo l’incidente cardiaco) e di euforia (a qualche giorno dal recupero dello stato di salute), la depressione reattiva è una tipica risposta all’evento-infarto, in particolare quando il paziente torna nel suo ambito sociale abituale ed allenta il suo contatto con i medici e i sanitari che lo seguono.
Sentirsi improvvisamente inadeguati, non più abili e da “rottamare” è il vissuto caratteristico di chi vede la propria integrità passare dallo stato di piena efficienza a quello di calo dell’efficienza. Qui, la famiglia, con un comportamento giusto che non colpevolizzi il paziente, ma lo sostenga e lo sospinga ad affrontare con intelligenza, moderazione e senza fretta di nuovo i suoi impegni, può svolgere un “lavoro” determinante ai fini del miglior recupero da parte dell’infartuato.

I tempi per elaborare l’incidente vanno rispettati, orbene, sia dal soggetto, sia dai suoi famigliari, sia dagli operatori sanitari. Una volta recuperato lo stato fisico migliore, però, si deve portare il paziente a pensare a questo suo incidente non tanto come ad una fine di numerose cose (abitudini, ritmi di vita, convinzioni etc.) quanto, piuttosto, come ad un inizio carico di novità positive che apre alla scoperta di nuovi modi di intendere la vita e le sue sempre eccitanti possibilità.
Carl Gustav Jung, il famoso psichiatra svizzero, subì un infarto all’età di quarantatre anni, morì alla veneranda età di ottantasei, dopo una vita intellettiva e di partecipazione a dir poco straordinaria.
Ivan Battista
Psicologo, psicoterapeuta, docente presso la Scuola Medica Ospedaliera,
Ospedale Santo Spirito, Roma