Prevenzione della morte improvvisa nei pazienti con scompenso cardiaco di nuova diagnosi: è tempo per un uso estensivo del defibrillatore indossabile?
La prevenzione della morte improvvisa (MI) rappresenta un obiettivo primario nella gestione del paziente con Scompenso Cardiaco a ridotta frazione di eiezione (SCrFE). Le linee guida internazionali raccomandano l’impianto del defibrillatore intracardiaco (ICD) in caso di persistenza di una FE<35% dopo 3 mesi di terapia ottimizzata, sia nei pazienti con cardiomiopatia dilatativa (CMD) post-ischemica (classe I) che nei pazienti con CMD non ischemica (Classe IIa)1-2. Tuttavia, il periodo di implementazione terapeutica può esporre i pazienti ad un rischio di MI non trascurabile che potrebbe essere meglio quantificato e trattato con l’utilizzo di un defibrillatore indossabile (DI).
Recentemente sono stati pubblicati su European Heart Journal i risultati dello studio SCD-PROTECT che fornisce nuove evidenze circa il beneficio di una strategia di prevenzione della MI basata sull’uso del DI nei pazienti con SCrFE di nuova diagnosi3.
Lo studio SCD-PROTECT è un registro retrospettivo-prospettico, multicentrico, condotto in Germania, che ha incluso pazienti con una nuova diagnosi di SCrFE ad eziologica non-ischemica o ischemica (in cui però la presenza di coronaropatia non aveva richiesto una rivascolarizzazione percutanea o chirurgica). In tutti i pazienti è stato utilizzato un DI, sulla base delle decisioni prese dai medici che avevano in cura i pazienti, durante l’intervallo di tempo necessario per implementare le terapie raccomandante dalle linee-guida internazionali. L’obbiettivo principale dello studio è stato quello di valutare l’incidenza reale di arresto cardiaco a genesi aritmica (tachiaritmie ventricolari sostenute/fibrillazione ventricolare) durante il periodo di ottimizzazione della terapia medica.
Tra dicembre 2021 e maggio 2023, sono stati inclusi 19.598 pazienti consecutivi, 11.449 con CMD non-ischemica (età media 59 anni) e 8.149 con CMD ischemica (età media 64 anni). La funzione sistolica era severamente compromessa in entrambi i gruppi, con una FE media iniziale di circa 27%. Le terapie evidence-based per la gestione dello SCrFE erano ampiamente implementate nella popolazione di studio ( ARNI>70%, MRA>80%, Beta-bloccanti >94%, SGLT2-inibitori >80%).
Il DI è stato indossato mediamente per circa due mesi (durata mediana 62 giorni), con una aderenza molto elevata. In media i pazienti lo hanno indossato per più di 23 ore al giorno, evidenziando una buona tollerabilità e un corretto utilizzo del dispositivo.
Nel periodo di osservazione (mediana 62 giorni), circa 1,3% dei pazienti ha presentato un evento aritmico che ha richiesto l’intervento del DI. L’incidenza del primo trattamento appropriato è stata di 6,1 eventi per 100 pazienti-anno nei pazienti con CMD non-ischemica e di 8,4 eventi per 100 pazienti-anno nei pazienti con CMD-ischemica. Considerando anche gli episodi successivi al primo, l’incidenza complessiva è risultata di 8,53 eventi per 100 pazienti-anno nei pazienti con CMD non-ischemica e di 14,98 eventi per 100 pazienti-anno nei pazienti con CMD-ischemica.
La quasi totalità degli eventi si è verificata nei primi 200 giorni dall’inizio dell’utilizzo, con una concentrazione particolarmente elevata nelle prime quattro settimane.
La mortalità complessiva osservata durante l’impiego del WCD è risultata molto bassa (<1%), nonostante la gravità della disfunzione sistolica. Gli shock inappropriati sono stati rari, confermando l’elevata sicurezza del sistema.
Inoltre, durante il periodo di osservazione, più della metà dei pazienti ha recuperato la FE ventricolare sinistra (a 66+44 giorni), superando la soglia del 35% che ha consentito ai pazienti di uscire dai criteri di eleggibilità ad impianto o di ICD. Nel 36% dei pazienti al termine del periodo di osservazione, è stato indicato l’impianto di un ICD.
Considerazioni:
Lo studio SCD-PROTECT appare particolarmente interessante e clinicamente rilevante perché fornisce evidenze che rispondono ad un quesito clinico di grande peso per la gestione del paziente con SCrFE, ossia la necessità di proteggere i pazienti dal rischio di eventi aritmici durante la fase di implementazione delle terapie evidence-based.
Lo studio, infatti, ha consentito, grazie alla funzione di monitoraggio del DI, di dimostrare che gli eventi aritmici nel periodo che precede la completa ottimizzazione della terapia medica sono tutt’altro che trascurabili (nello studio 2547 pazienti) e concentrati in particolare nei primi due mesi. La frequenza di tali eventi è risultata paragonabile sia nei pazienti con eziologia ischemica che non ischemica, contraddicendo l’idea secondo cui i pazienti con CMD non-ischemica presenterebbero un rischio trascurabile nel breve termine rispetto ai pazienti ischemici. Questi risultati indicano la necessità di sviluppare delle terapie di prevenzione della morte improvvisa in questa fase vulnerabile della storia naturale dello SC.
Ovviamente l’impianto di un ICD in questa fase non è opportuno perché in molti pazienti (oltre la metà nello studio) si assiste con il tempo ad un recupero della FE, che continua a rappresentare il criterio principale per definire l’eleggibilità del paziente all’impianto del device. Per contro, il DI, potendo fornire una terapia anti-aritmica transitoria, appare uno strumento particolarmente adatto in questo periodo di vulnerabilità aritmica. Infatti, nello studio SCD-PROTECT, l’intervento del DI è stato efficace nella totalità dei casi in cui si sono verificate aritmie maligne, consentendo di salvare vite umane, mentre gli interventi inappropriati sono stati marginali.
L’utilizzo del DI è altresì utile perché, l’assenza di aritmie nel periodo di osservazione con DI consente una stratificazione del rischio aritmico del paziente aggiuntiva rispetto a quella fornita dalla sola FE e permette di evitare impianti invasivi prematuri e/o inutili.
Un aspetto che risulta controverso è quanto tempo sia necessario utilizzare il DI nel singolo paziente. Le linee guida raccomandano tre mesi di terapia ottimizzata, prima di rivalutare la FE del ventricolo sinistro per decidere sull’eventuale impianto di ICD. Tuttavia, in alcuni pazienti il tempo necessario per il recupero della FE può essere ancora più lungo (in particolare se la terapia non è titolata alle dosi alte). In questi pazienti potrebbe essere giustificato protrarre l’utilizzo del DI anche fino sei mesi prima di ricorrere all’impianto di un device definitivo.
Un ulteriore elemento che rimane oscuro, e che meriterebbe di essere indagato in studi dedicati, è la possibile integrazione dei dati di monitoraggio forniti dal DI con quelli che possono essere forniti dalla risonanza magnetica cardiaca, il cui ruolo nella stratificazione del rischio aritmico è ampiamente riconosciuto, in particolare nei pazienti con CMD non-ischemica.
In sintesi: Lo studio SCD-PROTECT, benché osservazionale, è assolutamente rilevante perché dimostra che nei pazienti con nuova diagnosi di SCrFE la protezione dalla MI nella fase iniziale non è solo opportuna, ma clinicamente rilevante. Il DI emerge come una soluzione capace di offrire protezione aritmica precoce, monitoraggio continuo e potenzialmente una migliore selezione di chi realmente beneficerà di un ICD. Alla luce di questi dati, un utilizzo del DI più estensivo potrebbe essere ragionevole. Studi randomizzati specificatamente disegnati in questa specifica popolazione sono necessari e auspicabili.
References:
- McDonagh T.A., Metra M., Adamo M., et al. 2021 ESC Guidelines for the Diagnosis and Treatment of Acute and Chronic Heart Failure. Eur Heart J. 2021;42:3599-3726.
- Heidenreich P.A., Bozkurt B., Aguilar D., et al. 2022 AHA/ACC/HFSA Guideline for the Management of Heart Failure: A Report of the American College of Cardiology/American Heart Association Joint Committee on Clinical Practice Guidelines. Circulation. 2022;145: e895-e1032.
- Duncker D, Marijon E, Metra M, et al. Sudden cardiac death in newly diagnosed non-ischaemic or ischaemic cardiomyopathy assessed with a wearable cardioverter-defibrillator: the German nationwide SCD-PROTECT study. Eur Heart J. 2025;46:4597-4606
