Più potassio, più salute?
di Filippo Stazi
01 Settembre 2025

Aumentati livelli plasmatici di potassio riducono il rischio di aritmie maligne, di ospedalizzazione per insufficienza cardiaca o aritmia, o di morte in pazienti ad alto rischio di aritmie ventricolari portatori di ICD. Questo, almeno, è quanto emerge dai risultati dello studio POTCAST (1), appena presentato al Congresso annuale della Società Europea di Cardiologia in svolgimento a Madrid.

Partendo da precedenti osservazioni (2) che nei pazienti cardiovascolari la mortalità è più elevata in presenza di livelli di potassio plasmatico compresi tra 3,5 e 4,0 mmol per litro (intervallo normale da 3,5 a 5,0) ed inferiore in caso di livelli kaliemici nella parte alta del range di normalità (4,5-5 mmol/l), lo studio POTCAST è stato progettato per valutare efficacia e sicurezza di livelli plasmatici di potassio normali-alti in pazienti considerati ad alto rischio aritmico, come quelli portatori di ICD. Lo studio, randomizzato, aperto, è stato condotto, dal marzo 2019 al settembre 2024, in 3 centri della Danimarca ed ha incluso 1200 partecipanti, seguiti per un follow-up mediano di 39,6 mesi. L’età media dei partecipanti era di 62,7±12,0 anni e il 19,8% erano donne. L’impianto di ICD era stato eseguito per prevenzione primaria nel 43,3% dei partecipanti. La maggior parte dei partecipanti (64,6%) aveva una storia di insufficienza cardiaca e metà dei partecipanti aveva una storia di cardiopatia ischemica, l’altra metà presentava invece cardiomiopatie o disturbi aritmici primari. 600 soggetti hanno ricevuto un trattamento per aumentare i livelli di potassio plasmatico in aggiunta alle cure standard (gruppo con livelli di potassio normali-alti) mentre gli altri 600 sono stati trattati solo con la cura standard (gruppo con cure standard). I partecipanti al gruppo con potassio alto-normale hanno ricevuto una dieta ricca di potassio e hanno iniziato la terapia farmacologica con integratori di potassio, compresse da 750 mg di cloruro di potassio, un antagonista del recettore dei mineralcorticoidi o entrambi, con l’obiettivo di raggiungere un livello plasmatico di potassio compreso tra 4,5 e 5,0 mmol/l. Le dosi massime giornaliere di antagonisti del recettore dei mineralcorticoidi erano 100 mg per lo spironolattone e 50 mg per l’eplerenone mentre quella di cloruro di potassio era di 4,5 g. Se era possibile, nel gruppo con potassio alto-normale, le dosi di tiazidici e diuretici dell’ansa venivano ridotte o interrotte. Per essere inclusi nello studio i pazienti dovevano essere portatori, per qualsiasi motivo, di ICD e presentare livelli basali di potassio plasmatico pari a 4,3 mmol/l. Una disfunzione renale (eGFR < 30 ml/m) era invece causa di esclusione. Endpoint primario dello studio era la combinazione di: a) tachicardia ventricolare sostenuta (TVS), b) qualsiasi terapia appropriata erogata dall’ICD, c) ricovero ospedaliero non pianificato per aritmia o insufficienza cardiaca, d) decesso per qualsiasi causa. Gli endpoint secondari includevano decesso per qualsiasi causa, ricovero ospedaliero per insufficienza cardiaca, aritmie cardiache, insufficienza renale o disturbi elettrolitici, e qualsiasi terapia, appropriata o meno, erogata dell’ICD.

I livelli plasmatici di potassio, partendo da un valore basale di 4,01±0,24 mmol/l, sono, nel corso dello studio, aumentati a 4,36±0,36 mmol/l nel gruppo con livelli di potassio normali-alti ed a 4,05±0,33 mmol/l nel gruppo con terapia standard. L’endpoint primario si è verificato in 136 partecipanti (22,7%; 7,3 eventi ogni 100 anni-persona) nel gruppo con potassio alto-normale ed in 175 pazienti (29,2%; 9,6 eventi ogni 100 anni-persona) nel gruppo di cure standard (HR, 0,76; intervallo di confidenza [CI] al 95%, da 0,61 a 0,95; P=0,01). Il numero necessario da trattare per prevenire un evento era di 12,3 persone (95% CI, 2,0 a 14,0). L’effetto è risultato coerente in tutti i sottogruppi prespecificati e, aspetto importante, senza differire tra coloro che ricevevano antagonisti del recettore dei mineralcorticoidi ((HR, 0,75) e quelli che invece non li assumevano (HR 0,77). Non si sono inoltre rilevate differenze di effetto tra coloro che hanno raggiunto i livelli target di potassio (HR, 0,84) e quelli che li hanno invece mancati (HR 0,70) né tra i soggetti affetti da insufficienza cardiaca e quelli che ne erano esenti. Nello specifico terapie ICD appropriate o TVS si sono verificate in 92 partecipanti (15,3%) nel gruppo con potassio alto-normale e in 122 (20,3%) nel gruppo con cure standard (HR, 0,75; IC al 95%, da 0,57 a 0,98). La morte per qualsiasi causa è occorsa in 34 pazienti (5,7%) nel gruppo con livelli di potassio elevati nella norma e in 41 (6,8%) nel gruppo con cure standard (HR, 0,85; IC al 95%, da 0,54 a 1,34). Ricoveri per aritmie sono stati registrati in 40 soggetti (6,7%) nel gruppo con potassio alto-normale e in 64 (10,7%) nel gruppo con cure standard (HR, 0,63; IC al 95%, da 0,42 a 0,93), mentre, infine, i ricoveri per insufficienza cardiaca sono stati, rispettivamente, 21 (3,5%) e 33 (5,5%) (HR, 0,64; IC al 95%, da 0,37 a 1,11).

I risultati dello studio POTCAST mostrato quindi che, in soggetti ad alto rischio di aritmie ventricolari (e per questo portatori di ICD), un aumento medio dei livelli plasmatici di potassio di circa 0,3 mmol/l, indotto dalla dieta e dal trattamento, si associa a un rischio significativamente inferiore di TVS, terapie appropriate dell’ICD, ospedalizzazioni per insufficienza cardiaca o aritmia, e morte. Numerosi studi con antagonisti dei recettori dei mineralcorticoidi in pazienti con insufficienza cardiaca (RALES, EPHESUS, EMPHASIS-HF, FINEARTS-HF) hanno in passato mostrato una riduzione della mortalità, un minore rischio di morte cardiaca improvvisa e un rallentamento del peggioramento dell’insufficienza cardiaca. I risultati del POTCAST fanno ipotizzare che almeno una parte di questi effetti positivi possa essere correlato proprio all’aumento dei livelli plasmatici di potassio. I risultati dello studio, apparentemente indipendenti dall’effettivo raggiungimento dei livelli target di potassio, potrebbero indicare che il beneficio apportato dall’aumento dei livelli di potassio plasmatico sia in realtà correlato principalmente alla prevenzione di episodi di livelli di potassio plasmatico normale-basso o di franca ipokaliemia. Ciò è in linea con l’esito di una recente metanalisi (3) che ha coinvolto 10.709 partecipanti sani e che ha dimostrato che un apporto maggiore di sodio e minore di potassio era associato, in modo dose-dipendente, a un rischio cardiovascolare più elevato. E’ infine degno di nota ricordare che le diete dei nostri remoti progenitori erano ricche di potassio e povere di sodio, con un rapporto fino a 10:1, rapporto che è poi cambiato notevolmente nel corso del tempo fino a raggiungere, nelle diete occidentali moderne, un valore inferiore a 1:2.

Pur tenendo conto delle limitazioni dello studio (pazienti etnicamente omogenei, tutti portatori di ICD, esenti da disfunzione renale, studio non in cieco), il messaggio fondamentale del POTCAST è che sia la popolazione generale che i pazienti con malattie cardiovascolari, potrebbero potenzialmente trarre beneficio da un apporto maggiore di potassio, peraltro ottenibile con un trattamento (guida dietetica, integrazione di potassio, antagonisti dei recettori dei mineralcorticoidi e, se possibile, riduzione dei diuretici che causano perdita di potassio) poco costoso e disponibile nella maggior parte delle strutture sanitarie.

Bibliografia:

  1. Christian JØns C, Zheng C, WinslØw UCG et al. Increasing the Potassium Level in Patients at High Risk for Ventricular Arrhythmias. DOI: 10.1056/NEJMoa2509542 
  2. Ferreira JP, Butler J, Rossignol P, et al. Abnormalities of potassium in heart failure: JACC state-of-the-art review. J Am Coll Cardiol 2020; 75: 2836-50.
  3. Ma Y, He FJ, Sun Q, et al. 24-Hour urinary sodium and potassium excretion and cardiovascular risk. N Engl J Med 2022; 386: 252-63.