OPTIMA-AF: la duplice terapia si può davvero accorciare a un mese?
di Alessandro Battagliese
13 Novembre 2025

Ridurre al minimo la terapia antitrombotica dopo PCI è da anni uno degli obiettivi più inseguiti in cardiologia interventistica. I pazienti con fibrillazione atriale rappresentano il terreno più complesso: da un lato hanno bisogno dell’anticoagulante per prevenire l’ictus cardioembolico; dall’altro, dopo l’impianto di uno stent, servirebbe un antiaggregante per evitare la trombosi. Per decenni li abbiamo trattati con la temuta “triplice terapia”, pagando però un prezzo in termini di sanguinamenti. Negli ultimi anni i trial PIONEER-AF, RE-DUAL PCI e AUGUSTUS hanno riscritto la storia, mostrando che l’aspirina si può abbandonare molto presto e che una duplice terapia DOAC + P2Y12 per 6–12 mesi è spesso sufficiente.

Ma questa evoluzione non si è fermata. Un interrogativo è rimasto sul tavolo: se la tecnologia degli stent è migliorata così tanto, e se le procedure sono sempre più ottimizzate, possiamo spingerci oltre? È davvero necessario mantenere per mesi la duplice terapia?
Il trial OPTIMA-AF, presentato all’AHA 2025, ha provato a rispondere.

OPTIMA-AF è stato condotto in Giappone, in 60 centri, con 1.079 pazienti con FA non-valvolare sottoposti a PCI per coronaropatia stabile o per NSTE-ACS. Un primo dettaglio importante: sono stati esclusi dallo studio gli infarti miocardici acuti, quindi niente STEMI e niente NSTEMI. La popolazione studiata è, di fatto, una popolazione a rischio ischemico relativamente basso.

Un secondo dettaglio cruciale è la procedura. Tutte le angioplastiche sono state eseguite esclusivamente con stent Xience (everolimus-eluting) guidate obbligatoriamente da IVUS o OCT. Nessuna angioplastica è stata “solo angiografica”: ogni stent era ottimizzato nel diametro, nel sizing e nel posizionamento. L’aspirina veniva sospesa subito dopo la procedura e i pazienti venivano randomizzati a:

  • 1 mese di DOAC + P2Y12, poi solo DOAC
  • 12 mesi di DOAC + P2Y12, poi solo DOAC

In altre parole: de-escalation aggressiva.

Il risultato, a prima vista, è incoraggiante. Dal punto di vista degli eventi ischemici (morte, infarto, trombosi di stent, ictus o embolia sistemica), la strategia “ultra-breve” è risultata non-inferiore alla terapia standard: 6,5% contro 7,8%. Le differenze nei singoli endpoint erano minime, e la trombosi di stent è rimasta rara: 0,2% contro 0,6%.

Sul fronte della sicurezza, la strategia breve ha vinto nettamente: 5,9% di sanguinamenti contro il 10,6% del braccio a 12 mesi. Tuttavia, entrando nei dettagli, la riduzione ha riguardato soprattutto i sanguinamenti clinicamente rilevanti non maggiori. I sanguinamenti ISTH maggiori non erano significativamente diversi. È una sfumatura importante: la riduzione degli eventi più temuti, come emorragie maggiori o fatali, non era statisticamente robusta.

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L’OPTIMA-AF ha arruolato una popolazione selezionatissima: pazienti stabili, senza infarti acuti, trattati con DES di ultima generazione e con la migliore ottimizzazione possibile della procedura. Non sorprende, quindi, che la trombosi di stent sia stata rarissima e che i tassi di eventi ischemici siano risultati così bassi.

C’è poi la questione della generalizzabilità. Tutti i pazienti erano giapponesi. La letteratura da anni ci ricorda il cosiddetto “East Asian paradox”: rispetto ai pazienti occidentali, gli individui asiatici tendono ad avere un rischio emorragico maggiore e, in alcuni casi, un rischio trombotico più basso. Questo significa che un vantaggio in uno studio giapponese non è automaticamente esportabile in Europa o negli Stati Uniti.

Va anche sottolineato un altro dettaglio discusso al congresso: si è osservato un trend numerico (non significativo) verso una mortalità totale leggermente più alta nel braccio con terapia breve. Non basta per rovesciare le conclusioni, ma suggerisce che la prudenza sia ancora d’obbligo.

Cosa ci insegna davvero OPTIMA-AF?

Il messaggio non è che un mese di duplice terapia sia sufficiente per tutti. Il vero messaggio è questo:

se la PCI è perfettamente ottimizzata (IVUS/OCT), se il paziente non ha un infarto miocardico acuto e se il rischio emorragico è molto elevato, allora ridurre la duplice terapia a solo un mese è realistico.

È un messaggio che si allinea alla tendenza generale verso la semplificazione delle terapie antitrombotiche, ma che non sostituisce le raccomandazioni per situazioni più complesse. In una pratica reale, fuori dai centri ad altissima specializzazione e senza imaging intravascolare sistematico, i risultati potrebbero essere profondamente diversi.

Il quadro che rimane

  • In contesti selezionati, un mese di DOAC + P2Y12 funziona
  • La sicurezza migliora, ma soprattutto per i sanguinamenti minori
  • Non riguarda i pazienti con ACS ad alto rischio
  • Non si può generalizzare alle PCI guidate dalla sola angiografia
  • La popolazione esclusivamente giapponese limita l’applicabilità internazionale

Conclusioni

OPTIMA-AF si presenta come uno studio elegante, tecnicamente impeccabile, che mostra quanto la cardiologia interventistica moderna possa essere “pulita” quando ogni dettaglio viene curato. In questo scenario ideale, la duplice terapia (anticoagulante + singolo antiaggregante) può essere ridotta a un mese, e forse in futuro potrà essere ridotta ancora di più.
Ma la cardiologia, nella vita reale, non è sempre uno scenario ideale.

Al momento, l’interpretazione pratica è semplice: la de-escalation estrema è possibile, ma non per tutti. Nei pazienti stabili, a basso rischio ischemico, con materiali di ultima generazione e procedura guidata da imaging, può essere una strada sensata. Negli altri, 3–6–12 mesi restano più sicuri.

OPTIMA-AF non riscrive le linee guida, ma aggiunge un tassello importante nella direzione giusta: trattare di meno quando trattare di più non serve.

Bibliografia consigliata:

·  Cannon CP, Bhatt DL, Oldgren J, et al. Dual antithrombotic therapy with dabigatran after PCI in atrial fibrillation. N Engl J Med. 2017;377:1513-1524. (RE-DUAL PCI)

·  Gibson CM, Mehran R, Bode C, et al. Prevention of bleeding in patients with atrial fibrillation undergoing PCI: the PIONEER AF-PCI trial. Lancet. 2017;389:2115-2124. (PIONEER-AF)

·  Lopes RD, Heizer G, Aronson R, et al. Antithrombotic therapy after acute coronary syndrome or PCI in atrial fibrillation. N Engl J Med. 2019;380:1509-1524. (AUGUSTUS)

·  Ando K, et al. One-month dual antithrombotic therapy after PCI in atrial fibrillation: findings from the OPTIMA-AF randomized trial. Circulation. 2025; in press.

·  Levine GN, McEvoy JW, et al. 2023 ACC/AHA Guideline for the management of patients with chronic coronary disease. J Am Coll Cardiol. 2023;82:e97-e228. (sezione su gestione antitrombotica DOAC + P2Y12, riduzione durata APT)