La fibrillazione atriale (FA) rappresenta l’aritmia più frequente, con una prevalenza dell’1-2% nella popolazione generale, del 7% nella popolazione con età > 65 anni ed addirittura del 20% negli ottantenni. Quest’aritmia, oltre alle problematiche del controllo del ritmo e della frequenza cardiaca, è associata ad un elevato rischio trombo embolico ed è ormai noto che gli ictus legati alla FA, rispetto a quelli ad origine non cardioembolica, sono generalmente più estesi e quindi associati ad una maggiore disabilità e mortalità (1). La terapia anticoagulante è la migliore arma che abbiamo a disposizione per contrastare il rischio cardio-embolico legato alla FA, ma nonostante l’impiego dei nuovi anticoagulanti orali, sicuramente più maneggevoli e sicuri rispetto ai tradizionali antagonisti della vitamina K, il rischio di eventi emorragici rimane elevato, soprattutto nei soggetti più fragili. La chiusura percutanea dell’auricola sinistra (LAAC) si è affermata negli ultimi anni coma un’ alternativa valida nei pazienti che presentano controindicazioni al trattamento con anticoagulanti orali (2). Tuttavia in letteratura non ci sono molti dati di confronto sull’efficacia e la sicurezza del trattamento percutaneo rispetto alla terapia medica nella gestione del rischio embolico nei pazienti con FA. Nell’ultimo numero di Eurointervention, Steffen Gloekler e coll. hanno pubblicato i risultati dell’APPLY STUDY che ha testato l’outcome a lungo termine delle procedure di chiusura percutanea dell’auricola sinistra mediante dispositivo di chiusura AMPLATZER rispetto alla terapia medica (3).
Lo studio ha coinvolto 500 pazienti consecutivi sottoposti a procedura di LAAC con dispositivo AMPLATZER tra il 2009 ed il 2015 presso i due ospedali Universitari di Berna e di Ginevra che sono stati messi a confronto con un gruppo di 500 pazienti trattati con terapia medica e confrontati mediante matching con propensity score. Nella maggior parte dei soggetti (81%) è stato impiantato l’ AMPLATZER Cardio Plug, mentre in 97 pazienti (19%) si è ricorsi all’Amulet, un device di seconda generazione. Dopo la procedura tutti i pazienti hanno ricevuto una doppia terapia antiaggregante per un periodo di tempo variabile tra 1 e 6 mesi. Successivamente alcuni pazienti hanno sospeso la terapia antipiastrinica, altri hanno impiegato un solo farmaco antiaggregante, in base al rischio emorragico individuale.
Per quanto riguarda il gruppo controllo, soltanto il 78.8% dei pazienti assumeva terapia anticoagulante, rappresentata soprattutto da antagonisti della vitamina K (53.6%) ed in misura minore dai nuovi anticoagulanti orali (25.2%). La misurazione dell’INR è stata disponibile soltanto per 125 pazienti e 95 di questi hanno presentato durante il follow-up una o più misurazioni con INR non a target (<2 e > 3.5). Inoltre, molti soggetti assumevano contemporaneamente all’anticoagulante anche terapia antiaggregante per una concomitante diagnosi di malattia coronarica.
L’endpoint primario di efficacia dello studio è stato un composito di ictus, embolismo sistemico e morte cardiovascolare o non spiegata. L’endpoint primario di sicurezza ha invece considerato gli eventi avversi maggiori peri-procedurali ed i sanguinamenti maggiori. Tutti questi endpoint sono stati successivamente valutati complessivamente per la definizione del “beneficio clinico netto”.
Dopo un follow-up medio di 2.7±1.5 anni, gli eventi contemplati nell’endpoint primario di efficacia sono occorsi nel 5.6% del gruppo LAAC versus il 7.8% del gruppo controllo (hazard ratio [HR] 0.70, 95% confidence interval [CI]: 0.53-0.95, p=0.026). Non ci sono state invece differenze significative nell’endpoint primario di sicurezza, che si è verificato nel 3.6% del gruppo LAAC e nel 4.6% del gruppo controllo (HR 0.80, 95% CI: 0.55-1.18, p=0.21). Il beneficio clinico netto è stato dell’8.1% nel gruppo LAC versus il 10.9% nel gruppo controllo (HR 0.76, 95% CI: 0.60-0.97, p=0.018). I pazienti sottoposti a chiusura percutanea dell’auricola sinistra hanno inoltre dimostrato, rispetto ai pazienti trattati farmacologicamente, un più basso tasso di mortalità per tutte le cause (8.3% vs 11.6%; HR 0.72, 95% CI: 0.56-0.92, p=0.005), risultato dovuto soprattutto ad una riduzione della mortalità per cause cardiovascolari (4.0% vs 6.5% HR 0.64, 95% CI: 0.46-0.89, p=0.007), mentre non ci sono state differenze nelle mortalità non cardiaca.
Gli autori dello studio concludono che la procedura di chiusura percutanea dell’auricola sinistra mediante dispositivo AMPLATZER mostra un beneficio clinico netto rispetto alla terapia medica, dovuto ad una superiorità negli endpoint di efficacia, ad una simile sicurezza e ad una riduzione nella mortalità.
Sicuramente i risultati di Gloekler e coll confermano che la procedura di chiusura percutanea dell’auricola sinistra rappresenta una strategia sicura ed efficacia e quindi può essere considerata una valida alternativa nei pazienti con controindicazioni alla terapia anticoagulante orale, tuttavia è necessario fare alcune riflessioni. Innanzitutto l’APPLY study non è un randomizzato, ma è un registro retrospettivo in cui il gruppo controllo è stato selezionato con lo “”stratagemma statistico” del propensity score. Bisogna inoltre sottolineare come il gruppo interventistico abbia ricevuto due tipologie di dispostivi di chiusura differenti e quindi i risultati ottenuti possono essere applicati soprattutto all’AMPLATZER di prima generazione che è stato impiegato in oltre l’80% della popolazione. Dall’altra parte i limiti maggiori, a mio avviso, si ritrovano nel gruppo terapia medica: innanzitutto una percentuale pari al 21.8% della popolazione non assumeva terapia anticoagulante; in secondo luogo la maggior parte dei pazienti era in trattamento con antagonisti della vitamina K con valori di INR o non disponibili o non nel range terapeutico. Inoltre se si considera la bassa percentuale di impiego nuovi farmaci anticoagulanti orali, la popolazione selezionata può essere considerata “anacronistica”, un concetto rafforzato anche dal concomitante uso di farmaci antiaggreganti, associazione che attualmente è fortemente sconsigliata dalle ultime linee guida rilasciate dalla Società Europea di Cardiologia. Infine da uno studio di confronto con questo disegno era lecito aspettarsi una superiorità del trattamento percutaneo in termini di sicurezza. Tuttavia gli eventi avversi sono stati simili; mentre nel gruppo terapia medica si sono verificati 60 sanguinamenti maggiori, nel gruppo LAAC si sono registrate 25 complicanze periprocedurali e 23 sanguinamenti maggiori durante il follow-up. Questi risultati provano come la chiusura percutanea dell’auricola non sia un procedura del tutto priva di complicanze e dimostrano che occorre una standardizzazione riguardo al regime antitrombotico da impiegare nel post-procedura. Tale trattamento non era ben definito nello studio, ma presentava durata ed modalità variabili in relazione al rischio emorragico del paziente.
I dati sull’impiego dell’Amplatzer sono certo incoraggianti. Tuttavia, a mio modo di vedere, per giungere a conclusioni definitive riguardo questo argomento si rendono necessari studi randomizzati, che possano contemplare la monoterapia con i nuovi anticoagulanti orali. In attesa di queste evidenze le procedure di LAAC sono da riservare ai pazienti con controindicazioni alla terapia anticoagulante.
Bibliografia:
- Freeman WD, and Aguilar MI. Stroke prevention in atrial fibrillation and other major cardiac sources of embolism. Neurol Clin; 2008;26:1129-60.
- Glikson M, Wolff R, Hindricks G, Mandrola J, Camm AJ, Lip GYH, Fauchier L, Betts TR, Lewalter T, Saw J, Tzikas A, Sternik L, Nietlispach F, Berti S, Sievert H, Bertog S, and Meier B. EHRA/EAPCI expert consensus statement on catheter-based left atrial appendage occlusion – an update. EuroIntervention; 2020;15:1133-1180.
- GloeklerS, Fürholz M, De Marchi S, Kleinecke C, Streit SR, Buffle E, Fankhauser M, Dominik Häner JD, Nietlispach F, Galea R, Windecker S, Meier Left atrial appendage closure versus medical therapy in patients with atrial fibrillation: the APPLY study. EuroIntervention 2020;16:e767-774.