NUOVO E VECCHIO NEL RAPPORTO DI COPPIA DOPO L’INFARTO
di Eligio Piccolo
12 Marzo 2018

Discorso difficile, già affrontato da molti cardiologi nei suoi vari aspetti su come comportarsi nel fare sesso dopo un incidente coronarico, sull’uso di farmaci che possono interferirvi sia nell’aiutarlo che nell’ostacolarlo e delle molte reazioni psicologiche, giustificate o meno.
Un discorso difficile, dicevo, perché andrebbe fatto come nel confessionale fra paziente e medico curante, con grande empatia, competenza e tatto, secondo i differenti casi. Poiché ogni studio statistico pubblicato in proposito riferisce che solamente il 12% delle donne e il 19% degli uomini ha usufruito di questo dialogo. Che risulta quasi sempre introdotto dal paziente stesso, nell’imbarazzo di entrambi. Contro l’89% delle donne e il 94% degli uomini che lo riterrebbero assolutamente necessario, se si potesse realizzare senza inibizioni una qualche iniziativa e consuetudine.

Sono dati statistici che emergono da uno studio recente nordamericano e spagnolo, che ha per acronimo VIRGO, sperando non sia un “nomen omen”. Ed è anche il motivo sul quale poggia questa rivisitazione del problema. In esso sono stati coinvolti 127 ospedali statunitensi e spagnoli per un totale di 3.500 fra uomini e donne, di età fra i 18 e i 55 anni (media 48), quindi non ancora in quella dei ricordi più arditi, tutti colpiti da infarto cardiaco. Un’indagine da cui emergono alcune interessanti e nuove considerazioni.

La prima è l’inadeguatezza del medico interpellato, non tutti si capisce, il quale mancava di specifica preparazione, come risulta dai consigli piuttosto peregrini da lui proposti: limitare l’attività sessuale, nel 35% dei casi; tenere una frequenza cardiaca bassa, nel 23%; assumere un ruolo passivo, nel 26%.
Incredibile, lasciatemelo dire, poiché stiamo parlando di una funzione fisiologica che è per definizione attiva e gioiosa. Inadeguatezza peraltro anche dalla parte del paziente, assolutamente privo di nozioni fisiologiche e mediche in questo così come in altri campi medici, nonché schivo nel confessare e nel chiedere.

La seconda è la dimostrazione che nei 12 mesi precedenti l’infarto la donna aveva notato un calo dell’interesse sessuale nel 36%, di secchezza vaginale nel 22% e di difficoltà respiratoria nel 19%; mentre il partner, dal canto suo, aveva notato eiaculazione precoce nel 22%, scarsa erezione nel 20% e difficoltà di respiro nel 19 per cento. Insomma, entrambi gli attori di quello che gli inglesi chiamano “intercourse” avevano avuto con una certa frequenza  un’avvisaglia “preinfartuale” che, data l’età ancora relativamente giovane, ha fatto pensare agli stessi ricercatori che quei disturbi dovrebbero ora essere ritenuti un vero e proprio fattore di rischio, alla pari del diabete o del fumo, e da indagare nelle visite.

La terza considerazione è che il non aver valutato adeguatamente da parte del medico e del paziente tutte le possibili ripercussioni della malattia coronarica, anche psicologiche, sul rapporto di coppia, ciò rischia di far compromettere nel tempo questo stesso rapporto.

Altri studi recenti, che hanno preso in considerazione soggetti più giovani, addirittura a cavallo dell’adolescenza, con i loro rapporti spesso frettolosi e impacciati, hanno richiamato l’attenzione del medico e dello psicologo sull’uso di sostanze stimolanti o di vere droghe, che si inseriscono come un ulteriore problema nel rapporto tra cardiologo e paziente, una tematica ancora poco trattata.

Il cardiologo Sabino Scardi di Trieste, che ha pubblicato nel Giornale Italiano di Cardiologia del 2016 una rassegna completa su questo difficile argomento, ha rilevato anche lui la frequente assenza di dialogo fra medico e malato su tali problemi, mentre racconta che un suo paziente, dopo la visita e i consigli terapeutici, gli ha detto, nel gergo e con la liberalità di quell’antica gente di mare: “cossa la disi dotòr, ma mi no son solo cuor, son anca altro”, io non sono solo cuore ma anche anche una persona con altre necessità. Un’osservazione  di grande spessore e di maturazione culturale se la compariamo con l’esperienza di quel medico condotto della campagna veneta che negli anni settanta, stimolato dalle istanze in quel periodo di rinascita educativa, organizzò un corso di educazione sessuale ai suoi paesani. Alla fine del quale il medico, per valutarne i risultati, chiese a un giovane da quale organo provenisse lo sperma, “dal midollo” rispose, ricordando che quando uno esagera nelle prestazioni amatorie nella credenza locale si diceva che la partner gli aveva prosciugato il midollo spinale. Il medico allora, sconfortato ma curioso di conoscere fino a dove aveva fallito, richiese a cosa servissero i testicoli, “per il gusto” fu la risposta.

Oggi siamo certamente più vicini a un dialogo come quello del paziente triestino che alla disarmante ignoranza del sottosviluppato di cinquant’anni fa, ma, considerando certe reazioni di coppie giovani e anziane, che vanno dall’indifferenza all’aggressione, riferite dai media di tutti i giorni con un’insistenza che sa più di gossip che di informazione utile, abbiamo ancora un lungo cammino davanti a noi e un dialogo tra medico e paziente molto imbrigliato dalle reticenze e dalla scadente conoscenza scientifica.

Eligio Piccolo
Cardiologo