Nuove conferme sull’importanza dell’assetto marziale nello scompenso cardiaco
di Filippo Brandimarte
23 Maggio 2023

La carenza di ferro è comune nei pazienti con scompenso cardiaco indipendentemente dalla frazione di eiezione e varia dal 44% al 75% a seconda delle definizioni applicate. Questa condizione, indipendentemente dalla concomitante presenza o meno di anemia, è notoriamente associata a peggioramento dei sintomi, una peggiore qualità di vita, una riduzione della tolleranza allo sforzo e persino un’aumentata mortalità nei pazienti con scompenso cardiaco. (1) Conseguentemente, le attuali linee guida europee ed americane raccomandano la somministrazione endovenosa di ferro nei pazienti con funzione sistolica ridotta (FE≤45%) ma mentre le prime, pubblicate nel 2021, preferiscono la formulazione con carbossi-maltoso ferrico per ridurre i sintomi, la tolleranza allo sforzo e le reospedalizzazioni per scompenso cardiaco (Classe IIa), le seconde, pubblicate nel 2022, non menzionano una preferenza nelle formulazioni e soprattutto non accennano alla riduzione dei ricoveri. (2,3) Ma quali sono le attuali evidenze scientifiche sull’argomento?

A tal proposito è stata appena pubblicata sull’ultimo numero dell’European Journal of Heart Failure una interessante metanalisi di Graham e colleghi che ha analizzato tutti gli studi randomizzati su questo topic dal 1 gennaio 2000 al 5 novembre 2022. (4) Sono stati esclusi i trial con formulazioni orali di ferro in quanto non sarebbero sufficientemente rapidi nel correggere la carenza marziale (anche per un noto ridotto assorbimento gastrico nei soggetti con scompenso cardiaco) ed avrebbero introdotto ulteriore eterogeneità di dati. Altro criterio di esclusione è stata la presenza di anemia severa (emoglobina <9g/dL) oppure valori emoglobinici > 14 g/dL, condizione, quest’ultima, in cui la carenza di ferro è rara. L’endpoint primario è stato il composito di ricorrenti ricoveri per scompenso cardiaco e mortalità cardiovascolare, mentre endpoint secondari sono stati un composito di ricorrenti ricoveri per scompenso cardiaco o mortalità cardiovascolare al primo evento, ricoveri ricorrenti per scompenso cardiaco, mortalità cardiovascolare e mortalità per tutte le cause. Il follow-up è stato di durata variabile ma non superiore ad un anno. La definizione di carenza di ferro applicata è stata una ferritina sierica <100 µg/L indipendentemente dai valori di saturazione della transferrina oppure un valore di saturazione della transferrina <20% se la ferritinemia risultava tra 100 e 300 µg/L.

Sono stati individuati 10 studi che rispettavano i criteri di inclusione (tra cui i due più importanti trial AFFIRM-AHF e il recentissimo IRONMAN) che hanno fornito dati su una popolazione complessiva di 3373 soggetti (braccio trattato con terapia marziale endovenosa n=1759, braccio terapia standard o placebo, n=1614). (5,6) L’infusione endovenosa di ferro ha ridotto l’endpoint primario (RR 0.75 [0.61–0.93], p<0.01), essendosi verificato in 429 soggetti (24%) del braccio infusione marziale endovenosa e in 503 (31%) del braccio terapia standard o placebo (OR 0.72 [0.53–0.99], p=0.04). Similmente, anche per quanto concerne l’endpoint secondario ricoveri ricorrenti per scompenso cardiaco si è significativamente ridotto nel gruppo infusione marziale endovenosa (RR 0.67 [0.47–0.97], p=0.03). Riguardo l’endpoint mortalità cardiovascolare e per tutte le cause, invece, la terapia marziale non ha avuto benefici statisticamente rilevanti. L’analisi per sottogruppi non ha dimostrato in genere differenze sostanziali sebbene sia presente un trend verso un maggior beneficio della terapia marziale nei soggetti con eziologia ischemica dello scompenso cardiaco e nei soggetti con saturazione della transferrina <20%.

Questa metanalisi suggerisce dunque che la terapia marziale endovenosa riduce il rischio di ricoveri per scompenso cardiaco in maniera sostanziale e stimabile intorno al 25%, nonostante non riduca in maniera statisticamente significativa la mortalità cardiovascolare o per tutte le cause. Da notare che questo risultato è stato raggiunto con una media di 1-2 infusioni endovenose ad alte dosi (risultate ben tollerate) ed indipendentemente dalla concomitante presenza o meno di anemia. È stata inoltre evidenziata una tendenza ad un maggior beneficio nei soggetti con eziologia ischemica e in quelli con una bassa saturazione della transferrina. Il beneficio è più evidente nel primo anno post randomizzazione probabilmente in quanto i dati degli studi più rappresentativi ovvero AFFIRM-AHF e IRONMAN sono stati raccolti durante la pandemia da COVID-19 che ha impedito a molti pazienti di ripetere eventuali infusioni marziali. I dati supportano infine una sostanziale eguaglianza delle due formulazioni di ferro disponibili (ovvero la forma carbossi-maltoso studiata nell’AFFIRM-AHF e quella deriso-maltoso nell’IRONMAN). I dati inconclusivi sulla mortalità, come suggerito dall’editoriale di accompagno, sono probabilmente dovuti alla coorte di pazienti non sufficientemente numerosa (ogni studio infatti ha meno di 1200 pazienti) e ad un follow-up non così ampio (6 dei 10 studi analizzati infatti avevano un follow-up ≤ 24 settimane). Importante limitazione di questa metanalisi riguarda la popolazione di pazienti con scompenso cardiaco a funzione sistolica preservata, nella quale i dati sono ancora scarsi e pertanto scarsamente estensibili (a tal proposito è ongoing lo studio IRONMET-HFpEF che chiarirà l’impatto della terapia marziale in questo subset di pazienti) (7). Infine, l’impatto della terapia marziale su endpoint hard come la mortalità cardiovascolare necessita di studi con follow-up più lunghi e coorti più numerose e in questo senso avranno grande importanza lo studio HEART-FID che ha già arruolato oltre 3000 pazienti (8) e il trial FAIR-HF2 che seguirà i pazienti per almeno 2 anni (9).

Bibliografia

  1. Klip IT, Comin-Colet J, Voors AA et al. Iron deficiency in chronic heart failure: an international pooled analysis. Am Heart J. 2013;165:575–582.e3.
  2. McDonagh TA, Metra M, Adamo M et al.; ESC Scientific Document Group. 2021 ESC Guidelines for the diagnosis and treatment of acute and chronic heart failure: developed by the Task Force for the diagnosis and treatment of acute and chronic heart failure of the European Society of Cardiology (ESC). With the special contribution of the Heart Failure Association (HFA) of the ESC. Eur J Heart Fail. 2022;24:4–131.
  3. Heidenreich PA, Bozkurt B, Aguilar D et al. 2022 AHA/ACC/HFSA Guideline for the management of heart failure: a report of the American College of Cardiology/American Heart Association Joint Committee on Clinical Practice Guidelines. J Am Coll Cardiol. 2022;79:e263–421.
  4. Graham FJ, Pellicori P, Kalra P, et al. Intravenous iron in patients with heart failure and iron deficiency: an updated meta-analysis. Eur J Heart Fail. 2023;25:528–37.
  5. Ponikowski P, Kirwan BA, Anker SD, et al. AFFIRM-AHF Investigators. Ferric carboxymaltose for iron deficiency at discharge after acute heart failure: a multicentre, double-blind, randomised, controlled trial. Lancet 2020;396:1895–904.
  6. Kalra PR, Cleland JGF, Petrie MC et al. IRON- MAN Study Group. Intravenous ferric derisomaltose in patients with heart failure and iron deficiency in the UK (IRONMAN): an investigator-initiated, prospective, randomised, open-label, blinded-endpoint trial. Lancet 2023;400:2199–209.
  7. IRONMET-HFpEF trial (NCT04945707).
  8. Mentz RJ, Ambrosy AP, Ezekowitz JA et al. HEART-FID Trial Investigators. Randomized placebo-controlled trial of ferric carboxymaltose in heart failure with iron deficiency: rationale and design. Circ Heart Fail. 2021;14:e008100.
  9. FAIR-HF2 (NCT03036462).