Le anomalie di origine delle coronarie rappresentano da sempre una sfida clinica cardiologica affascinante e complessa. Tuttavia, anche se rare e spesso diagnosticate in maniera accidentale, le anomalie coronariche possono essere associate a eventi importanti come ischemia miocardica e morte improvvisa. Tra queste, l’anomalia di origine aortica della coronaria destra con decorso interarteriale e intramurale (R-AAOCA) è quella che si riscontra più frequente. Il problema principale non è tanto identificarla, quanto stabilire se quella particolare configurazione anatomica abbia un reale significato emodinamico.
Tradizionalmente la risposta è stata affidata alla valutazione funzionale invasiva durante coronarografia con stress farmacologico (dobutamina e atropina). Nonostante sia considerato il gold standard, si tratta di un test invasivo, non privo di rischi e soprattutto non facilmente disponibile in tutti i centri. Dunque, la crescente diffusione dell’imaging non invasivo ha inevitabilmente sollevato la domanda se esista un percorso alternativo, capace di ridurre il ricorso a procedure invasive senza perdere in accuratezza diagnostica.
In questo contesto si inseriscono i risultati dello studio condotto presso l’ospedale universitario Inselspital di Berna, Svizzera, recentemente pubblicato su JAMA Cardiology. Lo studio, prospettico e monocentrico, ha arruolato 55 pazienti adulti consecutivi con R-AAOCA a decorso interarteriale e intramurale, privi di stenosi aterosclerotiche significative. Tutti sono stati sottoposti a un protocollo diagnostico sistematico che comprendeva tomografia computerizzata coronarica, imaging nucleare da stress e FFR-dobutamina invasivo, quest’ultimo utilizzato come riferimento per stabilire la rilevanza emodinamica.
Il test funzionale invasivo è risultato positivo in circa un paziente su quattro, con la maggioranza dei casi concentrata in valori borderline tra 0.75 e 0.80. La CCTA ha mostrato di essere particolarmente utile nel processo diagnostico: l’asse minore ostiale, con un cut-off di 1.8 mm, si è rivelato il parametro più predittivo. In presenza di un ostio sufficientemente ampio (>1.8 mm) la metodica ha raggiunto sensibilità e valore predittivo negativo del 100%, permettendo quindi di escludere con sicurezza la rilevanza emodinamica. La specificità, intorno al 57%, non consente invece di confermare il sospetto. Dunque, la conclusione degli investigatori è che la CCTA può essere utilizzata come test “rule-out”, un po’ come il D-dimero nella tromboembolia polmonare. Sul fronte dell’imaging funzionale, i risultati sono più sfumati. Lo stress test nucleare, sia con SPECT che con PET, ha individuato ischemia soltanto in quattro pazienti, tutti confermati dal FFR invasivo. Questo si traduce in una specificità e in un valore predittivo positivo del 100%, ma in una sensibilità estremamente bassa, pari al 27%. In altre parole, il test si è rivelato molto affidabile per confermare i casi realmente patologici, ma poco efficace nell’escludere quelli falsamente negativi. È un limite importante, che ridimensiona l’entusiasmo ma non ne azzera l’utilità: in un percorso stepwise, l’imaging funzionale può trovare posto come strumento intermedio nei casi dubbi, contribuendo a confermare la necessità di un approccio invasivo.
Dunque, la combinazione delle due metodiche avrebbe permesso di ridurre in maniera significativa il numero di pazienti sottoposti a test invasivi. Circa la metà dei soggetti arruolati è stata correttamente classificata con imaging non invasivo, risparmiando loro il ricorso all’FFR-dobutamina. Questo è forse il dato più rilevante dal punto di vista clinico: l’utilizzo di test non invasivi può permettere di riservare la valutazione invasiva soltanto a una minoranza di casi complessi o non chiariti dall’imaging.
Naturalmente lo studio ha dei limiti. È monocentrico, condotto in un centro di altissima specializzazione, e con una numerosità campionaria inevitabilmente limitata dalla rarità della condizione. Inoltre si è focalizzato esclusivamente sulle R-AAOCA, senza includere anomalie dell’arteria coronaria sinistra, che seppur più rare presentano un rischio maggiore. Infine, l’utilizzo della soglia di FFR ≤0.80, mutuata dalla coronaropatia aterosclerotica, solleva interrogativi sulla reale appropriatezza di questo cut-off in un contesto fisiopatologico diverso, dove i meccanismi di ischemia non dipendono dalla placca ma dalla compressione dinamica del vaso.
Ciononostante, i risultati hanno implicazioni concrete per la pratica clinica. Di fronte a un paziente adulto con sospetta R-AAOCA, la CCTA può rappresentare il primo passo, capace di escludere con sicurezza i casi non rilevanti. Se il dubbio persiste, l’imaging funzionale può essere considerato come strumento selettivo per confermare la sospetta rilevanza emodinamica. Soltanto i casi che rimangono indeterminati richiederanno il ricorso al test invasivo. Le linee guida europee e americane già sottolineano la necessità di una valutazione funzionale nelle anomalie coronariche, ma senza proporre un percorso standardizzato. In questo senso, lo studio offre un nuovo algoritmo diagnostico, da validare e possibilmente integrare negli studi futuri.
In conclusione, il lavoro di Bigler e colleghi rappresenta una tappa importante nella gestione di una condizione rara ma clinicamente rilevante. Propone un modello pragmatico, semplice e potenzialmente applicabile anche al di fuori dei centri ultra-specialistici. Non è ancora il momento di archiviare la valutazione invasiva, che rimane indispensabile nei casi complessi, ma è possibile iniziare a ridisegnare il percorso diagnostico delle anomalie coronariche con un approccio più moderno, meno invasivo e più vicino alla realtà clinica quotidiana.
Riferimenti
- Bigler MR, Stark AW, Caobelli F, Rominger A, Kakizaki R, Biccirè FG, Al-Sabri SMA, Shiri I, Siepe M, Windecker S, Räber L, Gräni C. Noninvasive Anatomical and Functional Imaging for Hemodynamic Relevance in Right Coronary Artery Anomalies. JAMA Cardiol. 2025; Published online September 10, 2025. doi:10.1001/jamacardio.2025.2993
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