In questi anni, i cardiologi hanno dovuto imparare quanto sia importante valutare l’uricemia al fine di affinare la valutazione del rischio cardiovascolare individuale e, all’occorrenza, ridurlo anche attraverso la riduzione di un livello di uricemia eguale o superiore a 6 mg/dL. In sintesi, quindi, come internisti e nefrologi da tempo sapevano, anche i cardiologi hanno “scoperto” che acido urico non è solo gotta.
Al di la di questo, a mordere le articolazioni ed anche il cuore non è soltanto il deposito di urato. Nel gennaio del 2017, infatti, uscirà l’aggiornamento dell’European League Against Rheumatism (EULAR) task-force sulle malattie cardiovascolari nel paziente con malattie flogistiche croniche coinvolgenti le articolazioni.
L’aggiornamento è di estrema importanza per la cardiologia, ricordando come sia fondamentale non tener conto dell’approccio usuale nel calcolo del rischio cardiovascolare di un paziente affetto, ad esempio, da artrite reumatoide. Tale paziente, infatti, avrà un rischio cardiovascolare che – anche indipendentemente dalla terapia – risulterà aggravato dalla malattia di base in quanto tale.
Oltre ciò, lo stesso aggiornamento torna su un tema ormai rilevante per il cardiologo: quello della terapia con antinfiammatori steroidei e non-steroidei. Giustamente, infatti, l’EULAR ricorda come i FANS possano sia causare per se un incremento del rischio cardiovascolare (anche, se non soprattutto, aumentando il rischio di manifestare segni e sintomi di scompenso cardiaco oppure inducendo il deterioramento rapido di uno scompenso precedentemente ben controllato dalla terapia), sia ridurre il potenziale protettivo dei farmaci attivi sul RAAS e dei diuretici. In aggiunta, EULAR ricorda come la terapia steroidea, non sempre indispensabile, ripercorra la stessa triste strada dei FANS, con l’ulteriore elemento negativo dovuto agli effetti iperglicemizzanti e dislipidemizzanti. L’assunzione – magari per autoprescrizione – di steroidi e di non-steroidi deve sempre essere tenuta in mente dal cardiologo, che dovrebbe anche ricordare come essa possa indurre problemi cardiorenali anche per una singola dose.
Pertanto, l’aggiornamento EULAR ricorda al cardiologo quanto alla tecnica debba sempre essere unita la teoria e quanto ogni paziente sia diverso da un altro. Un paziente con patologie articolari (ma non soltanto articolari e persino, come nel caso del lupus e della psoriasi, in assenza di coinvolgimento articolare) cosiddette “immunomediate”, nel dettaglio, ha un rischio cardiovascolare e necessita di una gestione totalmente diversa rispetto ad un paziente che non soffra di tali patologie.
Il cardiologo del terzo millennio, pertanto, deve anche conoscere almeno i rudimenti dell’immunologia e della cura delle malattie immunomediate.
Fonti:
Ann Rheum Dis. 2017 Jan;76(1):17-28. doi:10.1136/annrheumdis-2016-209775
Prof. Claudio Ferri
Direttore della Scuola di Medicina Interna
Università degli Studi L’Aquila