L’arresto cardiaco. Migliorare la sopravvivenza
di Antonella Labellarte
25 Febbraio 2014

Il primo giorno delle sessioni scientifiche del recente congresso dell’ American Heart Association tenutosi a Dallas è stato dedicato alla “resuscitazione”. Non si tratta di una brutta traduzione di un termine anglosassone ma di una parola che ha in sé l’essenza del significato della rianimazione cardiopolmonare: la vita e il nulla separate da pochi minuti.

Morte improvvisa: la stima in America è di 300.000 eventi per anno, in Europa 400.000, in Italia oltre 60.000 persone l’anno sono colpite da arresto cardiaco. Ebbene meno di una su 10 persone sopravvive ad un arresto cardiaco che si verifica fuori da un ospedale. E’ un problema di conoscenza: la sopravvivenza può essere facilmente migliorata se si preparano i cittadini alla gestione di un arresto cardiaco di cui possono essere occasionali testimoni.
Tra gli studi presentati al simposio, due meritano particolare attenzione.

Può un video di un minuto salvare delle vite?

Lo studio è stato condotto in un centro commerciale. Il Dr. Panchal (Ohio State University Medical Center Columbus) e colleghi hanno voluto verificare se un video ultra breve sulle sole compressioni toraciche della rianimazione cardiopolmonare fosse uno strumento efficace di insegnamento.
Studio semplice ed elegante : due gruppi di clienti del centro commerciale, uno costituito da 47 volontari ai quali è stato mostrato il video di un minuto e un altro di 48 che non ha ricevuto alcuna informazione. Ai due gruppi è stato chiesto di recarsi in un’area dove veniva simulato uno scenario di arresto cardiaco e di “fare del proprio meglio”. I risultati sono stati schiaccianti: il gruppo “istruito” ha effettuato una rianimazione di qualità più elevata secondo tutti gli standard: ha chiamato velocemente e più frequentemente il numero dell’emergenza, ha iniziato più precocemente le compressioni toraciche che sono risultate più efficaci (vedi anche la news letter di febbraio 2013 in archivio “Il massaggio cardiaco. Forse non tutti sanno che …” ).

38 Minuti di rianimazione cardiopolmonare?

Un gruppo di ricercatori giapponesi ha utilizzato i dati raccolti tra il 2005 e il 2011 in un ampio registro sull’arresto cardiaco extraospedaliero per valutare la relazione esistente tra il successo delle manovre rianimatorie e l’intervallo di tempo tra l’arresto e il ripristino della circolazione. Di 284.814 pazienti con un arresto “testimoniato”, in 31.845 (11%) è stato ottenuto un ripristino del circolo e tra questi solo 8714 non hanno riportato compromissione neurologica. La probabilità di recupero delle funzioni neurologiche diminuiva del 5% per ogni minuto di incremento dell’intervallo di tempo tra arresto e ripristino del circolo. Secondo questo ampio studio gli sforzi rianimatori debbono proseguire 38 minuti, soglia di tempo entro la quale si può ancora ottenere un esito neurologico favorevole.
Questi gli studi recenti presentati al congresso americano.
Uno studio francese pubblicato nel 2013 sullo European Heart Journal ha documentato delle differenze nelle percentuali di sopravvivenza (da 1 a 10 volte!) da arresto cardiaco verificatosi durante attività sportiva in diverse regioni della Francia. Ebbene “la regione Cote d’Or e quella del Nord che hanno presentato le percentuali di sopravvivenza più elevate sono state le più attive in termini di educazione pubblica, con la diffusione dei defibrillatori automatici esterni (DAE) in luoghi pubblici e i primi corsi di formazione e di istruzione all’utilizzo degli stessi iniziati nel 1993 , ben 14 anni prima che vi fosse in Francia la registrazione dei DAE pubblici”.

In Italia dal 14 al 20 ottobre 2013 è stata indetta la “Settimana di sensibilizzazione dedicata all’arresto cardiaco”, con l’obiettivo di migliorare la conoscenza e la formazione dei cittadini e degli operatori sanitari per la gestione dell’arresto cardiaco.
Il Centro per La Lotta Contro L’Infarto sposa la campagna di diffusione dell’uso dei defibrillatori.

Non occorrono altre parole per sottolineare quanto sia importante l’educazione dei cittadini a migliorare la propria reazione di fronte ad un arresto cardiaco di cui si è testimoni. Come già suggerito nel simposio americano questa formazione culturale dovrebbe essere tacitamente inclusa nel “contratto sociale” così come ci si vaccina, non si guida senza patente …

Antonella Labellarte
Cardiologa
Ospedale S. Eugenio, Roma