LA PRESSIONE ARTERIOSA AD ALTA QUOTA
di Antonella Labellarte
19 Giugno 2015

E’ tempo di villeggiatura, come da Goldoniana memoria, e molti scelgono il fresco della montagna, le passeggiate, gli spuntini nei rifugi.
Ma cosa accede alla pressione arteriosa quando si va in  montagna? E di conseguenza cosa succede alla cospicua popolazione di ipertesi in trattamento che si spingono ad alta quota?
Gli studi del progetto HIGHCARE (HIGH altitude CArdiovascular REsearch) offrono lo spunto per parlare degli adattamenti del sistema cardiovascolare e delle variazioni dei valori della pressione sanguigna a quote elevate.

Come già si era spiegato nelle newsletter “Il cuore che vola” che si occupavano degli effetti dei viaggi aerei sul sistema cardiovascolare (vedi news in archivio), occorre ricordare che l’aria è costituita da una miscela di gas in definite proporzioni e che man mano che si sale a quote più elevate scende la pressione esercitata  dall’atmosfera e di conseguenza la pressione parziale di ossigeno. Il risultato è che sopra i 2500 metri il sistema cardiovascolare deve adattarsi a condizioni di ipossia e, quindi, di ipossiemia. Le cabine aeree sono infatti pressurizzate ai valori presenti a 2438 metri ed il risultato è che la saturazione in ossigeno del sangue arterioso scende sì, ma a valori accettabili intorno circa al 93% (v.n. 95-99%).
Il “problema montagna” non è di poco conto perché ogni anno tanti sono i turisti che visitano o gli sportivi che compiono ascensioni sulle Alpi o i viaggiatori che raggiungono nel mondo località ad alta quota, basti pensare agli splendidi paesaggi dell’ America Latina.

I meccanismi di risposta alla ridotta disponibilità di ossigeno sono molteplici e spesso con effetti contrapposti come accade nei sistemi regolatori complessi del nostro organismo. L’ipossiemia a livello polmonare promuove una vasocostrizione mentre in periferia causa una vasodilatazione che potrebbe far scendere i valori della pressione arteriosa sistemica. Questo effetto è però bilanciato dall’attivazione di chemocettori  che provocano l’attivazione del sistema simpatico e di conseguenza vasocostrizione riflessa e tachicardia.
Che cosa succede quindi in montagna ai valori della pressione arteriosa nelle 24 ore e cosa agli effetti della terapia antiipertensiva?

Nell’ambito del progetto HIGHCARE sono stati realizzati diversi studi. Quelli condotti sulle Alpi (tra il 2003 e il 2010) sul Monte Rosa ai 4.559 metri della Capanna Margherita hanno rilevato un incremento dei valori della pressione arteriosa durante tutte le 24 ore e una riduzione della caduta notturna. A questi ha fatto seguito uno studio condotto sull’Everest nel 2008 in cui la maggiore altitudine comportava una maggiore spinta ipossica. Lo studio condotto su volontari sani che assumevano un placebo o un sartano ha valutato l’attivazione del sistema renina angiotensina ad alta quota. Il monitoraggio delle 24 ore della pressione è stato ripetuto al livello del mare, a 3.400 metri (Namche Bazaar) e a 5.400 metri (Mount Everest South Base Camp) e infine al ritorno al livello del mare. Lo studio ha confermato ancora una volta l’aumento dei valori della pressione arteriosa sistolica e diastolica e della frequenza cardiaca proporzionali all’incremento dell’altitudine almeno nel breve periodo. L’assunzione del sartano ha consentito una riduzione dei valori della pressione arteriosa fino a 3.400 metri, mentre tale effetto non si è osservato a 5.400 metri, livello al quale il sistema renina angiotensina non è più attivato.

Infine è stato effettuato lo studio HIGHCARE Andes condotto a differenza degli altri su una popolazione di ipertesi. Sono stati valutati pazienti ipertesi che vivono abitualmente al livello del mare (lowlanders) e un gruppo di pazienti ipertesi che vivono abitualmente in alta quota (highlanders). Le rilevazioni sono state effettuate al livello del mare (Lima), a Huancayo 3.300 metri e a Cerro de Pasco 4.335 metri di altitudine. Al sartano nello studio è stata aggiunta la nifedipina GITS utile nel combattere l’ipertensione polmonare.
Senza entrare nei dettagli di uno studio molto articolato, a quote elevate il gruppo in trattamento placebo ha presentato un incremento dei valori di pressione efficacemente controllati invece dalla terapia farmacologica. La tachicardia è stata rilevata sovrapponibile nei due gruppi.

E’ utile sottolineare che l’effetto protettivo dei farmaci è persistito anche durante esercizio fisico (valutazione con test da sforzo cardiopolmonare) con minor riduzione della saturazione in ossigeno al termine dello sforzo.
La sezione dello studio dedicata agli highlanders ha valutato la prevalenza dell’ipertensione nelle persone che vivono costantemente in zone di elevata altitudine, una parte delle quali soffre della malattia di Monge o mal di montagna cronico. La prevalenza dell’ipertensione è risultata inferiore a quella presente ad altitudini minori.
Si tratta di studi che fornisono interessantissime valutazioni di fisiopatologia e che ci sentiamo di consigliare a coloro i quali vogliono approfondire l’argomento.

Fonti:
Bilo G, Faini A, Liu X et al. Accuracy of different types of blood pressure measuring device at high altitude. Data from Highcare-Alps study. J Hypertens. 2015 Jun;33 Suppl 1:e7-8

Parati G, Bilo G, Faini A et al.   Changes in 24 h ambulatory blood pressure and effects of angiotensin II receptor blockade during acute and prolonged high-altitude exposure: a randomized clinical trial. Eur Heart J. 2014 Nov 21;35(44):3113-22.

Bilo G, Villafuerte FC, Faini A et al. Ambulatory blood pressure in untreated and treated hypertensive patients at high altitude: the high altitude cardiovascular research-Andes study. Hypertension. 2015 Jun;65(6):1266-72

Parati G. Highcare: the Highcare altitude CArdiovascular REsearch study: a scientific expedition on Mount Everest to measure the effects of altitude on blood pressure. Eur Heart J. 2015 Feb 1;36(5):260-1

Antonella Labellarte
Cardiologa
Ospedale S. Eugenio, Roma