Fra le tante droghe venute dall’America nel ‘600 c’è la china, destinata a diventare il primo antiaritmico della storia della cardiologia. Secondo la versione accolta da Lenneo, a farla conoscere in Europa fu la contessa di Cinchon, Anna da Osorio, consorte del vicerè del Peru, la quale guarì da un attacco malarico bevendo il decotto della corteccia di una rubiacea come facevano gli indigeni. In suo onore la china venne chiamata “polvere della contessa” e Linneo nel 1743 classificò la pianta che la produce cinchona officinalis. Sembra però che Anna da Osarlo non sia mai andata in Peru e che la storia sia stata inventata a scopo promozionale. Evidentemente le belle donne funzionavano già allora. Un’altra versione dice che a scoprire e ad importare la corteccia della china sia stato un gesuita spagnolo che era riuscito a carpire il segreto gelosamente custodito dagli indigeni. E’ certo che a Roma la china era conosciuta nel 1625 come “polvere dei gesuiti” e che la farmacia dell’ospedale S.Spirito per decisione del cardinale Giovanni de Lugo, la distribuiva ai malarici, col nome di “polvere del cardinale”. Nello Stato Pontificio venne chiamata, secondo la zona, “polvere del papa e del vescovo” per diventare, dopo l’unità d’Italia, chinino di stato. In Francia, per le guarigioni che portò, ebbe addirittura un comitato d’onore di cui fecero parte l’immancabile Madame de Sévigné, il gran Condé, Colbert, Boileau, Luigi XIV e La Fontane che le dedicò addirittura un poema. Fu il rimedio per tutte le febbri, di qualsiasi origine per la sua azione antipiretica dovuta al rallentamento dei processi ossidativi e alla conseguente ridotta produzione di calore, ma la sua qualità principale fu quella antimalarica dovuta all’azione diretta dell’alcaloide sul parassita. Già durante il XIX secolo venne segnalato che la chinina, isomero della china, oltre all’attacco malarico faceva scomparire le “palpitazioni ribelli”, ma l’effetto non destò interesse terapeutico. Nel 1912 Wenckeback, uno dei maggiori cardiologi del tempo, si sentì chiedere da un mercante olandese venuto a farsi visitare da lui al ritorno dall’Oriente attratto dalla sua grande fama, se poteva usare tranquillamente la chinina per le crisi di tachiaritmia di cui soffriva da anni. Bastavano poche nevole (?), assicurò, perché il ritmo si regolarizzasse. Wenckeback si mostrò piuttosto incredulo e il mercante assai deluso per la sua incompetenza in proposito. Andandosene disse che sarebbe tornato il giorno dopo per dimostrargli che quanto affermava era vero. Così fu: all’indomani il cuore del mercante olandese batteva con perfetta regolarità. Wenckeback ripeté la terapia in molti dei suoi ammalati e costatò che uno-due grammi al giorno di polvere antimalarica regolarizzavano il polso della maggioranza dei pazienti con aritmie. Dopo settant’anni, nonostante la scoperta di numerosi farmaci capaci di regolarizzare il ritmo cardiaco, viene ancora largamente impiegato l’antiaritmico, originariamente antimalarico, suggerito al grande Wenckeback da un mercante olandese di cui nessuno ricorda il nome. La chinina, capostipite degli antiaritmici della prima classe, secondo la classificazione di Vaughan-Williams, vale a dire dei farmaci cardiodepressivi dotati della capacità di ridurre l’eccitabilità del miocardio inibendo la produzione di stimoli da parte dei foci ectopici, di prolungare il periodo refrattario e di deprimere la funzione del tessuto di conduzione sia atrioventricolare che intraventricolare, possiede anche attività anticolinergica e alfa-bloccante con diminuzione delle resistenze periferiche. I suoi effetti collaterali a livello gastroenterico e degli organi di senso, detti cinconismo, ricordano la contessa che, forse, non portò la droga dall’america latina
La “polvere della contessa”