LA DIFFERENZA FRA LUI E LEI
di Eligio Piccolo
09 Dicembre 2019

Molti anni fa in Francia girava una domanda, che voleva essere spiritosa: “Qual’è la differenza fra l’uomo e la donna?” Cui, dopo l’ovvio imbarazzo dell’interlocutore, arrivava la risposta: “è la differenza”. Che era, con altrettanta ovvietà, una risposta del c…., appunto. La quale però rivelava un dato più serio e interessante, l’ignoranza che la medicina di sessant’anni fa ancora si portava dietro nella differente valutazione della fisiologia e delle patologie nei due sessi, specie in cardiologia. L’angina pectoris in lei era più spesso un disturbo isterico, l’infarto quasi non esisteva, la morte improvvisa poi penalizzava solo il mondo maschilista.

L’occhio di oggi ha dovuto rimettere a fuoco il problema alla luce delle successive conoscenze, che hanno dimostrato come quella distorsione andasse di pari passo con l’arretratezza subita dalla donna quale protagonista nell’attività medica. A lei in quel tempo si demandava l’umile compito dell’infermiera e della levatrice, nobilitato solamente da quello della crocerossina in tempo di guerra. Le medichesse, le laureate in medicina infatti, erano rare e adibite a mansioni che non dovevano interferire con quelle per lei troppo impegnative della sintesi diagnostica e della chirurgia, più adatte ai maschi si sosteneva.
L’avvento della tecnologia, ma di più l’emancipazione dei costumi, segnarono la svolta per la donna medico. Al mio paese di ventimila anime l’arrivo della prima dottoressa pediatra fu accettato solo per il prestigio della famiglia di origine, ma i commenti che serpeggiavano tra i colleghi non facevano certo onore al progresso. Credo che si sia dovuto attendere la coronarografia per poter dare una mano forte alle molte segnalazioni che l’elettrocardiogramma (ECG) andava suggerendo, per dimostrare che anche lei, specie dopo la perdita dei cicli, correva lo stesso rischio di lui nell’ammalare di infarto, e che i dolorini “isterici” erano vere angine, più facili da svilupparsi in chi per natura ha le coronarie più piccole e reattive. Inoltre, queste differenze anatomiche e fisiologiche facilitavano in lei anziana strane contrazioni del ventricolo, che potevano anche arrestare il cuore, la Takotsubo, che solo i giapponesi meno prevenuti se ne sono accorti. Ma si è dovuto anche accettare che le miocarditi e le valvulopatie non risparmiavano lei neanche nelle percentuali; che il prolasso della mitrale, anomalia spesso benigna, in certe donne faceva addirittura rischiare la vita; che solo in lei, naturalmente, si potevano sviluppare in gravidanza quelle alterazioni che vanno sotto il nome di miocardiopatia peripartum. Il latino ce lo misero per giustificare la difficoltà dell’uomo nello scoprirlo.

Poi quando finalmente la ricerca si è messa a sfruculiare un po’ più a fondo, quasi per un complesso di colpa di lui che fino a non molto tempo prima pensava che il contributo genetico della donna nella procreazione fosse zero, si sono scoperte altre singolarità. Quali la minore riduzione in lei rispetto a lui durante gli ultimi decenni della patologia coronarica dopo la prevenzione; il sospetto che ciò sia ancora uno strascico della minore attenzione medica; l’osservazione che i segni ECG di ingrandimento del cuore sono in lei più che in lui premonitori di infarto; che una temporanea sospensione dei battiti da ipertono vagale, correggibile con l’impianto di un pacemaker, è più frequente nelle donne anziane che nei loro coetanei. Così come per la sorpresa della miocardiopatia da Takotsubo che non succede solo nel Sol levante.
Anche nella rivalutazione dei fattori di rischio che favoriscono le malattie cardiovascolari, dall’ipertensione al colesterolo LDL, il “cattivo”, dal fumo al diabete, si è dovuto innestare la retromarcia e riconoscere che pure in lei essi sono di cattivo auspicio. In lei ce n’è anche uno singolare, emerso dalle mammografie: la presenza di segni di arteriosclerosi nelle arterie delle mammelle, periodicamente esplorate nella prevenzione del cancro, che ha un certo rapporto con ciò che può succedere nelle coronarie. Come ho detto a proposito della prevenzione e delle terapie che hanno calato di molto le coronaropatie nell’uomo, ciò non è stato così eclatante nella donna. Per cui sorge il sospetto che lei, oltre alla minore attività fisica e al più frequente sovrappeso e diabete rispetto a lui, continui ad essere danneggiata da una minore attenzione medica. Specie dopo l’osservazione recente che le signore relativamente giovani, fra i 35 e i 54 anni, sono penalizzate da una maggiore incidenza di infarto a quell’età e da un suo minore calo dopo le recenti prevenzioni, rispetto ai maschi.
E’ giunto quindi il momento, dice un autorevole commentatore americano, di modificare con più attenzione le linee-guida nella diagnosi delle malattie cardiovascolari nella donna, secondo i risultati delle numerose ricerche che si vanno continuamente realizzando da oltre 50 anni.

Eligio Piccolo
Cardiologo