La CARDIONCOLOGIA: non è solo un problema di frazione di eiezione
di Vittoria Rizzello intervista Irma Bisceglia
02 Ottobre 2020

La cardioncologia è una nuova specialità della cardiologia che deve entrare a far parte del bagaglio culturale di ogni cardiologo, in quanto moltissimi  sono i trattamenti oncologici, vecchi e nuovi, che possono avere effetti cardiovascolari acuti o tardivi.

Dott.ssa Bisceglia, quali sono i pazienti più a rischio di cardiotossicità?

Secondo le linee guida ASCO 2017, i pazienti a più alto rischio sono quelli sottoposti a trattamenti con alte dosi di antracicline e/o di radioterapia, a trattamenti sequenziali di antracicline e trastuzumab o con basse dosi di antracicline o trastuzumab ma associati a 2 o più fattori di rischio cardiovascolare, i pazienti di età ≥ 60 anni, con frazione di eiezione(FE) ai limiti inferiori (50-55%), pregresso infarto del miocardio e/o valvulopatia moderata-severa. Le strategie di cardioprotezione prevedono l’impiego di regimi di infusione di antracicline prolungati, dexrazoxano, antracicline liposomiali meno cardiotossiche, l’utilizzo di una radioterapia ad intensità modulata e tecniche di controllo del respiro.

Quali sono i criteri che definiscono la cardiotossicità di un farmaco anti-tumorale?

La diagnosi di cardiotossicità viene attualmente definita come una riduzione >10% della FE del ventricolo sn e un valore assoluto inferiore al 53% secondo la Società Americana di Ecocardiografia e la Società Europea di Imaging Cardiovascolare, mentre il cut-off è del 50% secondo il Position Paper del 2016 dell’ ESC. Tuttavia, la FE ha una bassa sensibilità diagnostica e un basso valore predittivo nell’identificare la cardiotossicità subclinica. La disfunzione ventricolare subclinica può essere precocemente individuata mediante lo studio del global longitudinal strain (GLS) ed è stato osservato che una riduzione rispetto al valore basale >15%  ha  un elevato valore predittivo di disfunzione ventricolare sintomatica e asintomatica.

Dott.ssa Bisceglia, esiste un ruolo per i biomarkers in Cardioncologia?

La troponina (Tn) ha dimostrato in diversi studi di essere in grado di identificare precocemente la cardiotossicità e consente una buona stratificazione del rischio a breve e lungo termine. In particolare, nei pazienti trattati con antracicline ad alte dosi, la Tn ha dimostrato un elevato valore predittivo negativo. L’impiego della Tn tuttavia non è entrato nelle linee guida, perché mancano dati derivati da studi multicentrici e per l’eterogeneità nei cut-off delle varie troponine, del timing dei prelievi, della durata del follow-up e degli end-point cardiaci utilizzati.

 Esistono strategie terapeutiche efficaci per prevenire o trattare la cardiotossicità?

Le strategie farmacologiche di prevenzione primaria con l’impiego di ace-inibitori, sartani, beta-bloccanti non hanno dimostrato negli studi clinici risultati soddisfacenti per una serie di motivazioni: scarsa numerosità dei pazienti arruolati, selezione di popolazioni a basso rischio, eterogeneità nelle misure di outcome, durata breve dei follow up. Nell’ambito del monitoraggio e’ stato osservato che la cardiotossicità da antracicline si manifesta nel 98% dei casi entro 12 mesi e quindi è necessaria una valutazione ecocardiografica a 6-12 mesi dal termine della CT con antracicline.  Il trattamento precoce con enalapril e beta-bloccanti consente di normalizzare la FE nella maggior parte dei casi.

Dott.ssa Bisceglia, i nuovi farmaci antitumorali hanno modificato il concetto di cardiotossicità?

L’ingresso sul mercato di diverse opzioni di target therapy ha amplificato il concetto di cardiotossicità che viene oggi più correttamente intesa come “tossicità cardiovascolare”. Ad esempio, negli ultimi anni sta emergendo una nuova tossicità: la miocardite indotta dagli inibitori del checkpoint immunitario. La sindrome clinica è estremamente eterogenea e include: aritmie, dolore toracico, insufficienza cardiaca acuta o cronica, pericardite e versamento pericardico. La diagnosi di certezza richiede una biopsia endomiocardica o  criteri diagnostici per miocardite alla risonanza magnetica cardiaca. Il trattamento può richiedere, oltre alla terapia dello scompenso, steroidi ad alte dosi, plasmaferesi, immunoglobuline, infliximab, micofenolato, mofetil, tacrolimus e perfino supporto meccanico in caso di instabilità emodinamica refrattaria. Inoltre gli inibitori delle tirosinchinasi a piccole molecole, sia dirette verso il VEGF (Sorafenib, Sunitinib , Pazopanib, Regorafenib ecc.) che verso la proteina mutata Bcr-ABL (Nilotinib, Dasatinib, Ponatinib), che hanno drammaticamente cambiato la storia naturale di diversi tumori maligni, stanno dimostrando una più ampia tossicità vascolare che si manifesta come ipertensione arteriosa, ipertensione polmonare, infarto miocardico, ictus e ischemia periferica, nonché eventi tromboembolici venosi (TEV). Altre classi di nuove terapie oncologiche come gli immunomodulatori (talidomide e lenalidomide) e gli inibitori del proteasoma (bortezomib e carfilzomib) attualmente impiegati nel trattamento del mieloma sono associati a rischio di tossicità vascolare.

Dr.ssa  Bisceglia, per anni abbiamo trattato in paziente oncologici che necessitavano di terapia anticoagulante con le sole eparine a basso peso molecolare. Esistono evidenze che supportino l’utilizzo dei DOAC nei pazienti oncologici?

Due importanti trial clinici, lo studio AVERT con apixaban (2,5 mg x 2/die) e il CASSINI con rivaroxaban (10 mg /die) hanno mostrato un beneficio significativo dei DOAC nella prevenzione del tromboembolismo venoso (TEV). Nel trattamento del TEV, i risultati dello studio Hokusai VTE cancer (edoxaban versus dalteparina) e dello studio SELECT- D (rivaroxaban versus dalteparina) hanno dimostrato efficacia e sicurezza adeguata dei DOAC. Analogamente, per quanto riguarda la gestione dei pazienti oncologici con fibrillazione atriale, nell’analisi per sottogruppi degli studi di fase III, il trattamento anticoagulante ha dimostrato sicurezza ed efficacia costanti dei DOAC. Nella valutazione iniziale è tuttavia fondamentale escludere i pazienti che presentano un rischio emorragico elevato (tumore intracranico, neoplasie ematologiche con difetti della coagulazione, severa trombocitopenia, grave malattia epatica metastatica). Uno spazio per le eparine a basso peso molecolare rimane nei tumori gastrointestinali o genitourinari e in presenza di interazioni farmacologiche. Nei pazienti ad alto rischio trombotico ed emorragico può essere valutata l’ipotesi di chiusura dell’auricola.