L’abbassamento dei valori pressori con farmaci antipertensivi si correla significativamente ad una riduzione dei disturbi neurocognitivi. Questo dato è stato confermato da una grossa metanalisi pubblicata in questi giorni da Hughes e colleghi su JAMA1. L’analisi ha dimostrato come i pazienti con stretto controllo dei valori pressori abbiano una riduzione del 7% dell’incidenza di demenza e decadimento cognitivo.
Sebbene sia stato dimostrato che l’ipertensione arteriosa è un fattore di rischio per la demenza, 2 fino ad ora, i trial clinici disegnati per valutare l’effetto della riduzione dei valori pressori sul rischio di sviluppare demenza e disturbi cognitivi, hanno dato risultati contrastanti. Negli ultimi anni sono stati pubblicati due importanti studi randomizzati sull’argomento, il primo SPRINT MIND trial 3 ha riportato una diminuzione dei disturbi cognitivi nel braccio di pazienti con controllo pressorio ottimale (14.6 vs 18.3 casi per 1000 person-years; HR, 0.81; 95% CI, 0.69-0.95). In un altro studio HOPE3 non è stata dimostrata invece una significativa riduzione del rischio di disturbi neurocognitivi o demenza nel gruppo trattato con antipertensivo vs placebo 4.
Hughes e colleghi1 1 hanno pubblicato recentemente su JAMA una revisione sistemica della letteratura, includendo nella metananalisi 14 trial randomizzati controllati (RCT) per un totale di 96158 partecipanti; la popolazione aveva un’età media di 69 anni ed era costituita per il 42% da donne. I valori di pressione arteriosa (PA) media a livello basale erano 154/83.3 mmHg. Il follow up è durato 4 anni. Il gruppo di controllo prevedeva nella maggior parte dei casi l’impiego del placebo. L’outcome primario era rappresentato dalla demenza e disturbo cognitivo, gli end-point secondari erano il declino cognitivo ed il cambiamento di performance nei test cognitivi.
L’abbassamento dei valori di PA con farmaci antipertensivi, rispetto al gruppo di controllo, è risultato essere associato ad una significativa riduzione del rischio di sviluppare demenza o disturbo cognitivo (7.0% vs 7.5%) OR 0.93 (95% CI, 0.88-0.98); con una riduzione del rischio assoluto di 0.39% (95% CI, 0.09%-0.68%). Per quanto riguarda invece il cambiamento di punteggio nei test cognitivi non sono state evidenziate differenze significative.
Dai risultati è emerso che un corretto screening e management dell’ipertensione arteriosa può essere utile nel prevenire l’insorgenza di decadimento cognitivo e demenza, che rappresentano un continuum della stessa patologia.
Limiti dello studio:
Un primo limite riguarda la breve durata del follow up, che nella meta-analisi è di 4,1 anni. Questa tipologia di studi infatti necessita di lunghi tempi di osservazione (in media 10 anni perché si verifichi un outcome neurocognitivo). Questo aspetto potrebbe aver comportato una sottostima dell’incidenza di demenza.
Trattandosi di una metanalisi, uno dei principali limiti è rappresentato dall’eterogeneità della popolazione studiata e dalle diverse definizioni attribuite agli outcome (demenza, declino cognitivo e disturbo cognitivo).
Inoltre non è stato possibile identificare un range ottimale di valori di PA che prevenga l’insorgenza di disturbi neurocognitivi.
Considerazioni:
Questa metanalisi riveste una grande importanza in termini di salute globale, considerata l’elevata prevalenza della demenza nella popolazione (10 milioni di casi diagnosticati ogni anno), soprattutto nei paesi a basso reddito. Considerando inoltre il progressivo invecchiamento della popolazione comprendiamo ancora di più l’importanza di intervenire precocemente sull’insorgere dei disturbi neurocognitivi.
In linea con questi risultati la World Health Organization (WHO) nel piano di controllo dei disturbi neurocognitivi raccomanda la terapia dell’ipertensione arteriosa nelle fasce di età intermedia per prevenire la demenza 5.
Prof. Desideri abbiamo un motivo in più per sensibilizzare la popolazione sul controllo dei valori pressori? Possiamo adesso informare i pazienti che una pressione controllata protegge dall’insorgenza di disturbi cognitivi, oltre che dall’ictus e dal rischio di infarto?
L’ipertensione è attualmente il più importante fattore di rischio modificabile per lo sviluppo di declino cognitivo e demenza, in ragione della sua elevata diffusione e del suo profondo coinvolgimento nei meccanismi fisiopatologici sia della demenza vascolare che della malattia di Alzheimer. I risultati degli studi di intervento, pur non conclusivi per la loro breve durata, forniscono l’incoraggiante prospettiva di poter mantenere sufficientemente integre le funzioni cognitive nel corso della senescenza attraverso una precoce ottimizzazione del controllo pressorio. L’interessante metanalisi di Hughes e collaboratori, pur risentendo inevitabilmente delle limitazioni temporali degli studi da cui è stata derivata, rappresenta un ulteriore convincente incoraggiamento a perseguire un ottimale controllo pressorio nella popolazione, in un’ottica non solo di prevenzione delle patologie cardiovascolari e renali ma anche di preservazione delle funzioni cognitive. Questa raccomandazione assume rilevanza ancora maggiore in relazione alla sostanziale inefficacia dei trattamenti attualmente disponibili nel rallentare l’iter evolutivo della demenza.
Prof. Desideri possiamo dire chi trae maggior beneficio in termini di riduzione dei disturbi neurocognitivi siano i pazienti di mezza età (50-60 anni)?
Il percorso fisiopatologico che porta allo sviluppo di demenza dura generalmente decenni. L’esordio dei disturbi cognitivi, infatti, rappresenta nella generalità dei casi il prodotto della cronica esposizione nel corso della vita ad insulti lesivi che, con meccanismi ora prevalentemente vascolari, ora prevalentemente neurodegenerativi, finiscono per impoverire progressivamente la rete delle connessioni neuronali dal cui perfetto funzionamento dipende una normale cognitività. Studi condotti con una tecnica avanzata di risonanza magnetica attraverso la quale è possibile ricostruire i fasci di sostanza bianca per ogni soggetto e studiare la loro integrità microstrutturale, dimostrano che il danno di queste strutture comincia a delinearsi nel paziente iperteso sin dall’età adulta, quando ancora non è identificabile un deficit cognitivo. E’ importante, quindi, raggiungere un controllo ottimale della pressione arteriosa sin dal suo esordio al fine di evitare che la persistente esposizione del cervello ad aumentati livelli pressori induca danni irreversibili. Del resto è ben noto come il danno d’organo cardiaco o vascolare o renale nel paziente iperteso, una volta che si è instaurato, difficilmente regredisca e finisca per condizionare una variabile quota del “rischio residuo” del paziente. Traslando questi concetti alla cognitività, potremmo definire il declino cognitivo una forma di danno d’organo cerebrale nel paziente iperteso e la successiva evoluzione verso la demenza una sorta di rischio residuo che può esitare ad un trattamento tardivo dell’ipertensione. In naturale corollario di questo assunto è che l’adagio “the earlier the better” trova la sua sublimazione applicativa proprio nella prevenzione della demenza.
Prof. Desideri altre osservazioni mettono in rilievo una relazione tra ipotensione e demenza. Anche l’ipotensione rappresenta un pericolo per lo sviluppo di disturbi neurocognitivi?
Nell’anziano i valori troppo bassi dei parametri biologici, soprattutto se indotti farmacologicamente, finiscono spesso per essere più lesivi di quanto non lo siano i valori aumentati dei corrispettivi parametri. La pericolosità delle ipoglicemie in corso di trattamento ipoglicemizzante è una chiara esemplificazione di ciò. Analogamente, l’impatto degli elevati valori pressori sulla progressione del declino cognitivo tende a farsi progressivamente meno rilevante nel corso della senescenza mentre diventano sempre più importanti le potenzialità lesive dei bassi valori pressori. Le cause di questa associazione tra ipotensione e declino cognitivo vanno principalmente ricercate nella riduzione del flusso ematico cerebrale in un letto vascolare che, in ragione dell’età avanzata e/o della cronica esposizione nel corso della vita ai diversi fattori di rischio cardiovascolare, ha perso molto della sua capacità di autoregolazione. Non sorprendono, quindi, le evidenze di un più rapido declino cognitivo nei pazienti anziani con bassi valori pressori indotti dal trattamento farmacologico ma non in quelli spontaneamente ipotesi. E’ evidente, quindi, l’importanza di evitare nel soggetto anziano valori pressori eccessivamente bassi e di ricercare routinariamente l’ipotensione ortostatica in quando questa condizione, molto spesso iatrogena, si associa ad un aumentato rischio di declino cognitivo e demenza.
Bibliografia
- Hughes D, Judge C, Murphy R, et al. Association of Blood Pressure Lowering With Incident Dementia or Cognitive Impairment A Systematic Review and Meta-analysis. 2020;7(19):1934-1944.
- Whitmer, RA; Sidney, S; Selby J. Midlife cardiovascular risk factors and risk of dementia in late life. Neurology. 2005;64(2):277-281.
- Williamson JD, Pajewski NM, Auchus AP, et al. Effect of Intensive vs Standard Blood Pressure Control on Probable Dementia: A Randomized Clinical Trial. JAMA – J Am Med Assoc. 2019;321(6):553-561.
- Bosch J, O’donnell M, Swaminathan B, et al. Effects of blood pressure and lipid lowering on cognition: Results from the HOPE-3 study. Neurology. 2019;92(13):E1435-E1446.
- WHO global plan on dementia. Alzheimer’s Disease International website. Accessed May 26, 2019. https://www.alz.co.uk/dementia-plans/ global-plan).