Intolleranza alle statine: un mito da sfatare?
di Laura Gatto
22 Febbraio 2022

È stato ampiamente dimostrato come il trattamento con statine conferisca un chiaro beneficio in termini di riduzione di mortalità e di morbidità nell’ambito della prevenzione cardiovascolare primaria e secondaria [1]. D’altro canto l’intolleranza a tali famaci e l’interruzione del trattamento rappresentano un importante problema di salute pubblica e si associano ad un aumento del rischio di un primo evento cardiovascolare o di in una sua ricorrenza [2]. La causa più frequente di sospensione di tale terapia sono i sintomi legati all’intolleranza muscolare, altri effetti collaterali includono: disordini neurocognitivi, epatotossicità, ictus emorragico, tossicità renale e nuove diagnosi di diabete [3].

La prevalenza dell’intolleranza alle statine non è ben chiara, sia per difficoltà legate alla identificazione ed alla diagnosi, sia per l’assenza di una definizione univoca, sia per la possibile interazione con diversi fattori (farmaci e condizioni cliniche). Gli studi clinici randomizzati riportano una prevalenza del 5-7%, al contrario degli studi di coorte dove arriverebbe al 30% dei pazienti trattati. Per chiarire alcuni dubbi relativi a questo argomento di grande interesse, Bytyci e coll. hanno pubblicato sull’ultimo numero dell’European Heart Journal, una interessante metanalisi che ha coinvolto 176 studi (112 trial clinici randomizzati e 64 studi di coorte) per un totale di oltre 4 milioni di pazienti con un follow-up medio di circa 30 mesi [4].

L’obiettivo primario della metanalisi è stato quello di stabilire la prevalenza dell’intolleranza alle statine sia in generale sia in accordo a differenti definizioni; l’endpoint secondario è stato invece quello di identificare possibili fattori di rischio legati all’interruzione del trattamento. Sono state prese in considerazioni le definizioni di tale fenomeno impiegate da diverse Società Scientifiche. Secondo la National Lipid Association (NLA) l’intolleranza alle statine è definita come un effetto avverso che peggiora la qualità della vita tale da determinare una riduzione o una interruzione del farmaco [5]. Secondo l’International Lipid Expert Panel (ILEP) l’intolleranza alle statine è definita come l’incapacità a tollerare la dose di statina necessaria per ridurre in modo efficace il proprio rischio cardiovascolare [6]. La definizione dell’European Atherosclerosis Association (EAS) è invece più focalizzata sul problema dell’intolleranza muscolare, definendola come una sindrome clinica caratterizzata da sintomi significativi ed anomalie dei biomarcatori che vengono documentati da un “challenge-dechallange-re-challenge” impiegando almeno due statine differenti [7].

L’età media dei pazienti è stata di 60.5 ± 8.9 anni e nel 40% si è trattato di donne. La prevalenza globale dell’intolleranza alle statine è stata del 9.1%; ancora più bassa ed abbastanza simile utilizzando le tre diverse definizioni: 7.0%, 6.7% e 5.9% rispettivamente secondo i criteri NLA, ILEP ed EAS. La prevalenza è stata significativamente più bassa negli studi randomizzati rispetto agli studi di coorte (4.9 vs 17%, P > 0.001) e più comune negli studi che hanno incluso sia la prevenzione primaria che la secondaria (18%). Negli studi di prevenzione secondaria in relazione a specifici setting clinici la prevalenza di intolleranza statinica è stata dell’8% per la cardiopatia ischemica stabile, del 13% per le sindromi coronariche acute, del 13% per l’infarto miocardico acuto e del 5.4% per l’ischemia cerebrale. Un altro dato molto interessante è stato anche il confronto tra statine lipofiliche (atorvastatina, simvastatina, lovastatina, fluvasatina e pivastatina) e statine idrofiliche (rosuvastatina e pravastatina); la prevalenza è risultata sovrapponibile tra i due gruppi (4.% vs 5%, P= 0.33).

I fattori che all’analisi multivariata si sono dimostrati associati ad un rischio aumentato di intolleranza alle statine sono stati l’età, sia intesa some variabile continua [odds ratio (OR) 1.33, 95% CI 1.25–1.41; P=0.04], sia come età superiore > 65 anni (OR 1.31, 95% CI 1.22–1.45; P=0.04) ed il sesso femminile (OR 1.47, 95% CI 1.38–1.53; P=0.007). Un’associazione positiva è stata inoltre individuata con l’obesità (OR 1.30, P=0.02), il diabete mellito (OR 1.26, P=0.02), l’ipotiroidismo (OR 1.37, P=0.01), le malattie epatiche croniche (OR 1.24, P=0.03) e l’insufficienza renale (OR 1.25, P=0.03), al contrario per la depressione è stata trovata un’associazione negativa (OR 0.88, P=0.04). L’ipertensione arteriosa e l’abitudine tabagica non hanno dimostrato nessun tipo di influenza, mentre il consumo di alcool è stato individuato come un fattore di rischio (OR 1.22, P=0.03). Altri elementi associati ad una maggiore probabilità di sviluppare intolleranza alle statine sono stati: l’esercizio fisico (OR 1.23, P=0.03), l’impiego di farmaci calcio-antagonisti (OR 1.31, P=0.03) e di anti-aritmici (OR 1.35, P=0.03). Inoltre, l’incremento della dose delle statine (OR 1.37, P=0.01) ma non la durata del follow-up (OR 1.06, P=0.48) correla con un aumentato rischio di sospensione del trattamento.

Gli autori hanno quindi concluso che sulla base di questi dati derivati da oltre 4 milioni di soggetti, la prevalenza globale dell’intolleranza alle statine è relativamente bassa, soprattutto quando viene definita impiegando criteri specifici derivati Consensus Internazionali. Questi risultati supportano l’idea che tale fenomeno sia molto spesso sovrastimato e sottolineano la necessità di un’attenta valutazione del paziente che prima di essere etichettato come “intollerante alle statine” dovrebbe essere sottoposto ad esami bioumorali specifici ed almeno ad un secondo tentativo di trattamento con una statina differente.

Bibliografia

  1. Stone NJ, Robinson J, Lichtenstein AH, Bairey Merz CN, Blum CB, Eckel RH, et al. 2013 ACC/AHA guideline on the treatment of blood cholesterol to reduce atherosclerotic cardiovascular risk in adults: a report of the American College of Cardiology/American Heart Association Task Force on Practice Guidelines. J AmColl Cardiol 2014;63:2889–2934.
  2. Serban MC, Colantonio LD, Manthripragada AD, Monda KL, Bittner VA, Banach M, et al. Statin intolerance and risk of coronary heart events and all-cause mortality following myocardial infarction. J Am Coll Cardiol 2017;69:1386–1395.
  3. Toth PP, Patti AM, Giglio RV, Nikolic D, Castellino G, Rizzo M, et al. Management of statin intolerance in 2018: still more questions than answers. Am J Cardiovasc Drugs 2018;18:157–173.
  4. Bytyçi I, Penson PE, Mikhailidis DP, Wong ND, Hernandez AV, Sahebkar A, et al. Prevalence of statin intolerance: a meta-analysis. Eur Heart J. 2022 Feb 16:ehac015. doi: 10.1093/eurheartj/ehac015
  5. Guyton JR, Bays HE, Grundy SM, Jacobson TA, The National Lipid Association Statin Intolerance Panel. An assessment by the Statin Intolerance Panel: 2014 update. J Clin Lipidol 2014;8(3 Suppl):S72–S81.
  6. Banach M, Rizzo M, Toth PP, Farnier M, Davidson MH, Al-Rasadi K, et al. Statin intolerance: an attempt at a unified definition. Position paper from an International Lipid Expert Panel. Arch Med Sci 2015;11:1–23.
  7. Stroes ES, Thompson PD, Corsini A, Vladutiu GD, Raal FJ, Ray KK, et al. Statin-associated muscle symptoms: impact on statin therapy—European Atherosclerosis Society Consensus Panel Statement on Assessment, Aetiology and Management. Eur Heart J 2015;36:1012–1022.