Intolleranza alle statine: l’entità del problema
di Filippo Brandimarte
27 Settembre 2022

È oramai un fatto consolidato che la terapia con statine conferisce importanti benefici in termini di mortalità e morbidità per le malattie cardiovascolari sia in prevenzione primaria che secondaria. (1) L’importanza di mantenere un profilo lipidico normale è stata ulteriormente sottolineata dalle ultime linee guida europee sulle dislipidemie dove sono stati significativamente ridotti i livelli ritenuti ottimali di LDL colesterolo nelle varie classi di rischio. (1) Se raggiungere questi target in prevenzione primaria utilizzando uno stile di vita sano, alimentazione corretta ed eventualmente l’utilizzo di una categoria di farmaci ipolipemizzanti risulta nella pratica clinica abbastanza agevole e  semplice, è invece più complesso  andare a target con il colesterolo LDL in prevenzione secondaria. In questo setting, infatti, è praticamente obbligatorio iniziare con la combinazione statine ad alta potenza ed ezetimibe e, se non sufficiente a raggiungere i 55 mg/dl,  aggiungere i potenti inibitori PCSK9 per via sottocutanea. In questo scenario è evidente come l’aderenza alla terapia con statine sia fondamentale per abbattere il rischio cardiovascolare specie in prevenzione secondaria.

Ma quale è la reale prevalenza dell’intolleranza alle statine (IS)? Per rispondere a questa domanda è apparsa sull’ultimo numero dell’European Heart Journal probabilmente la più grande metanalisi sull’argomento. (2) Analizzando i dati di 176 studi, di cui 112 trial randomizzati (n=195.000) e 54 studi di coorte (n=3.9 milioni) e un totale complessivo di oltre 4 milioni di pazienti con un follow-up medio di 19 mesi, lo studio ha permesso di stimare la prevalenza dell’IS nell’intera popolazione (endpoint primario, utilizzando come criteri diagnostici quelli previsti dalla National Lipid Association, dell’international Lipid Exptert Panel e dell’European Atherosclerosis Society). Criteri di inclusione sono stati: la presenza negli studi del valore di prevalenza dell’IS in prevenzione primaria o secondaria, studi con almeno 100 soggetti, specifica dei criteri utilizzati per porre diagnosi di IS. Criteri di esclusione sono stati: la mancanza di una chiara metodologia per la stima dell’IS, studi effettuati su statine rimosse dal mercato, studi ancora non conclusi, trial che studiavano solo l’interruzione della terapia statinica senza specificare l’intolleranza ed infine studi con un follow-up inferiore a 1.5 mesi.

L’età media della popolazione è stata di circa 60 anni con il 41% di soggetti di sesso femminile. La prevalenza dell’IS nell’intera coorte è stata circa del 9% e il dato non differiva significativamente quando venivano usate le 3 definizioni simili ma non uguali fornite dalle 3 principali società scientifiche. Inoltre, la prevalenza dell’IS è risultata significativamente più bassa nei trial randomizzati rispetto agli studi di coorte (4.9% vs 17%, p<0.001) e più alta negli studi che includevano l’analisi sia in prevenzione primaria che secondaria  piuttosto che in quelli che analizzavano solo una delle due condizioni (18% vs 8.2% vs 9.1% rispettivamente). Nell’analisi di meta-regressione l’età 65 anni, il sesso femminile e la razza asiatica ed afro-americana sono tutte risultate variabili associate ad un aumento del rischio di IS (rispettivamente OR 1.31 con p=0.04, 1.47 con p=0.007 e 1.47 con p<0.05). Per quanto riguarda i dati relativi a differenti patologie di base in prevenzione primaria, la prevalenza dell’IS è risultata essere del 9% nella ipercolesterolemia familiare, 12% nell’ipercolesterolemia, 13% nelle dislipidemie e del 6% nel diabete tipo 2. In prevenzione secondaria la prevalenza è risultata essere dell’8% nella coronaropatia stabile, 13% nelle sindromi coronariche acute, 13% nell’infarto miocardico e del 5.4% nell’ictus/attacco ischemico transitorio. Da notare che non è emersa alcuna differenza di prevalenza nei pazienti che assumevano statine lipofiliche (atorvastatina, sinvastatina tra quelle di uso più comune) rispetto a quelle idrofiliche (rosuvastatina, pravastatina). In aggiunta, patologie come l’obesità, il diabete, l’ipotiroidismo, le epatopatie croniche e l’insufficienza renale cronica sono state tutte associate ad un aumentato rischio di sviluppare IS (OR 1.30, 1.26, 1.37, 1.24 e 1.25 rispettivamente con p statistica tra 0.01 e 0.03). Infine, l’uso di alcool, calcioantagonisti, farmaci antiaritmici e le alte dosi di statina sono tutte interazioni farmacologiche associate ad un aumentato rischio di IS (OR 1.04-1.37 con p tra 0.01 e 0.03).

Il dato che emerge prepotentemente da questa amplissima metanalisi è che la prevalenza generale dell’IS è sostanzialmente bassa (9% appunto) sia in prevenzione primaria che secondaria e questo deve rassicurare i nostri pazienti sulla tollerabilità delle statine e incoraggiarne l’uso soprattutto in prevenzione secondaria dove mantenere un profilo lipidico ottimale è indispensabile per abbattere le recidive di eventi cardiovascolari. La miopatia, infatti, che poi è la causa più frequente di interruzione o proprio di mancato inizio della terapia con statine, deve essere documentata rigorosamente con il dosaggio del CPK, escludendo le altre cause di danno muscolare non statino-correlate e magari effettuando una prova di sospensione per 1 mese e poi ripristinando della terapia per verificarne l’effettiva correlazione causa-effetto. In ogni caso, (è bene ricordarlo) il danno muscolare indotto da statine è nella quasi totalità dei casi reversibile dopo la sospensione del farmaco. L’altro dato che questa metanalisi ci suggerisce è che, almeno in parte, è possibile in una qual misura predire in quali soggetti sarà più probabile che si verifichi una IS: queste categorie sono l’età avanzata, il sesso femminile, le razze asiatica e afro-americana, i soggetti obesi, diabetici, ipotiroidei, i soggetti con epatopatia cronica e insufficienza renale cronica. Inoltre, l’assunzione di alcol, farmaci antiaritmici, calcioantagonisti e comunque alte dosi di statine sono tutte associate ad un rischio maggiore di sviluppare una IS. Pur con i limiti intrinseci delle metanalisi (eterogeneità degli studi) di fatto questa metanalisi costituisce un importante conferma, se ancora ce ne fosse bisogno, dei benefici delle statine e della loro tollerabilità nella popolazione generale.

Bibliografia

  1. Mach F, Baigent C, Catapano AL, Koskinas KC, Casula M, Badimon L, et al. 2019 ESC/ EAS Guidelines for the management of dyslipidaemias: lipid modification to reduce cardiovascular risk: the Task Force for the management of dyslipidaemias of the European Society of Cardiology (ESC) and European Atherosclerosis Society (EAS). Eur Heart J 2019;41:111–188.
  2. Bytyci I, Penson PE Mikhailidis Dp et al. Prevalence of statin intolerance: a meta-amalysis. Eur Heart J 2022;43:3213-3223.