L’introduzione delle terapie di riperfusione nei pazienti con infarto, prima la fibrinolisi e poi l’angioplastica percutanea primaria (PPCI), ha cambiato radicalmente il decorso della patologia. Negli anni 70-80 la degenza del paziente infartuato superava i 40 giorni e la cura risiedeva principalmente nella prevenzione e trattamento delle aritmie.
Si accolse con molto stupore la proposta di Topol che, circa 30 anni fa, consigliava un breve periodo di allettamento, che non doveva superare i tre giorni.
Ora, in un articolo che per i medici più anziani può sembrare provocatorio [1], colleghi scandinavi valutano l’andamento clinico di una gestione che prevede solo due giornate di degenza nel paziente infartuato senza complicazioni.
Yndigegn T e colleghi [1] hanno studiato 8092 soggetti con infarto non complicato dal registro svedese SWEDEHEART. Venivano inclusi nello studio solo pazienti con STEMI a basso rischio ed arruolati dal 1 gennaio 2009 al 1 aprile 2017. Per identificare questi soggetti, venivano applicati criteri leggermente differenti da quanto proposto in passato dallo score PAMI II [2] (FE ≥ 50% invece che ≥ 45% e differenze nella definizione di aritmia).
Gli autori si sono posti in particolare l’obiettivo di analizzare l’outcome ad un anno dopo avere stratificato la coorte sulla base della durata della degenza in ≤ 2 giorni (1449) e > 2 giorni (6643). L’endpoint principale era un composito di morte, reinfarto trattato con PCI, stroke o riospedalizzazione per insufficienza cardiaca ad un anno.
All’analisi di regressione di Cox e quindi dopo aggiustamento per età, sesso, cretininemia, diabete, storia di infarto miocardico, pregressa PCI, pregresso bypass e utilizzo di diuretici durante l’ospedalizzazione, l’incidenza dell’endpoint composito era simile nei due gruppi (4.3% nel gruppo > 2 giorni vs 3.2% nel gruppo ≤ 2 giorni; HR 1.31 [95% IC 0.92-1.87, p=0.14]). Anche l’analisi dei singoli endpoint e l’analisi nei vari sottogruppi (uomini vs donne; età ≥ 60 anni vs < 60 anni; peso ≥ 84 kg vs < 84 kg; presenza di diabete mellito, ipertensione, storia di infarto miocardico e numero di coronarie malate vs assenza di tutti questi fattori) hanno confermato il risultato iniziale
Considerazioni
Il prolungamento della degenza nei pazienti con STEMI sottoposti aPPCI è associato, non soltanto ad un ovvio aumento dei costi, ma anche ad un incremento di morbidità e mortalità [3-5]. Di fronte a pazienti considerati a basso rischio, potrebbe avere un vantaggio, in termini sia economici che prognostici una dimissione precoce? Il quesito posto da Yndigegn T et al è più che pertinente, visto che pochi studi randomizzati e osservazionali hanno affrontato l’argomento in passato [6-11].
Il primo dato interessante è che su un totale di 30677 pazienti, il 26.4% soddisfaceva i criteri di basso rischio; si tratta di circa 1/4 dei pazienti con STEMI. La dimissione precoce in così tanti individui non potrebbe che portare vantaggi ad un SSN in affanno, non tanto in termini di risparmio assoluto quanto per una migliore gestione delle risorse economiche, senza poi considerare gli effetti psicologici positivi sul paziente. Altro elemento su cui riflettere, peraltro in linea con quanto già presente nella letteratura [12], è che l’approccio radiale era più frequente nei pazienti dimessi entro 2 giorni: l’accesso femorale è infatti gravato da un maggior numero di complicanze vascolari che si traducono poi in un prolungamento dei tempi di degenza.
Nonostante il riscontro all’ecocardiogramma color Doppler di una frazione di eiezione < 50% fosse un criterio di esclusione dallo studio, si è osservato un maggiore utilizzo di diuretici intravenosi nei pazienti con ospedalizzazioni più lunghe. Questo dato potrebbe essere riconducibile alla presenza di scompenso in fase iniziale, con o senza riduzione della frazione d’eiezione. In linea con questi risultati si è anche osservato un trend di maggiore riospedalizzazione per scompenso in questo gruppo senza però raggiungere la significatività statistica nell’analisi multivariata.
E’ necessario uno studio randomizzato per confermare i dati di Yndigegn T et al? Ragionevolmente no. Se da un lato il lavoro è osservazionale e retrospettivo, dall’altro analizza una popolazione real world molto numerosa e che ben rappresenta la tipologia di pazienti che ci troviamo a trattare ogni giorno. Considerando la bassa incidenza di eventi avversi hard in una popolazione di pazienti STEMI a basso rischio, un eventuale studio randomizzato richiederebbe una grande numerosità campionaria e dei costi molto elevati. A nostro modo di vedere i big data ottenibili da registri di grandi dimensioni ( lo SWEDEHEART tra questi) possono comunque soddisfare molti quesiti clinici.
Bibliografia
[1] Yndigegn T, Gilje P, Dankiewicz J, Mokhtari A, Isma N, Holmqvist J, Schiopu A, Ravn-Fischer A, Hofmann R, Szummer K, Jernberg T, James SK, Gale CP, Fröbert O, Mohammad MA. Safety of Early hospital discharge following admission with ST-elevation myocardial infarction treated with percutaneous coronary intervention: a nationwide cohort study. EuroIntervention. 2021 Aug 3:EIJ-D-21-00501.
[2] Grines CL, Marsalese DL, Brodie B, Griffin J, Donohue B, Costantini CR, Balestrini C, Stone G, Wharton T, Esente P, Spain M, Moses J, Nobuyoshi M, Ayres M, Jones D, Mason D, Sachs D, Grines LL and O’Neill W. Safety and costeffectiveness of early discharge after primary angioplasty in low risk patients with acute myocardial infarction. PAMI-II Investigators. Primary Angioplasty in Myocardial Infarction. J Am Coll Cardiol. 1998;31:967-72.
[3] Saczynski JS, Lessard D, Spencer FA, Gurwitz JH, Gore JM, Yarzebski J and Goldberg RJ. Declining Length of Stay for Patients Hospitalized with AMI: Impact on Mortality and Readmissions. The American journal of medicine. 2010;123:1007-1015.
[4] Berger AK, Duval S, Jacobs DR, Jr., Barber C, Vazquez G, Lee S and Luepker RV. Relation of length of hospital stay in acute myocardial infarction to postdischarge mortality. The American journal of cardiology. 2008;101:428-34.
[5] De Luca G, Suryapranata H, van ‘t Hof AW, de Boer MJ, Hoorntje JC, Dambrink JH, Gosselink AT, Ottervanger JP and Zijlstra F. Prognostic assessment of patients with acute myocardial infarction treated with primary angioplasty: implications for early discharge. Circulation. 2004;109:2737-43.
[6] Azzalini L, Sole E, Sans J, Vila M, Duran A, Gil-Alonso D, Santalo M, Garcia- Moll X and Sionis A. Feasibility and safety of an early discharge strategy after low-risk acute myocardial infarction treated with primary percutaneous coronary intervention: the EDAMI pilot trial. Cardiology. 2015;130:120-9.
[7]Jirmar R, Widimsky P, Capek J, Hlinomaz O and Groch L. Next day discharge after successful primary angioplasty for acute ST elevation myocardial infarction. An open randomized study “Prague-5”. Int Heart J. 2008;49:653-9.
[8]Melberg T, Jorgensen M, Orn S, Solli T, Edland U and Dickstein K. Safety and health status following early discharge in patients with acute myocardial infarction treated with primary PCI: a randomized trial. Eur J Prev Cardiol. 2015;22:1427-34.
[9] Kotowycz MA, Cosman TL, Tartaglia C, Afzal R, Syal RP and Natarajan MK. Safety and feasibility of early hospital discharge in ST-segment elevation myocardial infarction–a prospective and randomized trial in low-risk primary percutaneous coronary intervention patients (the Safe-Depart Trial). Am Heart J. 2010;159:117 e1-6.
[10] Noman A, Zaman AG, Schechter C, Balasubramaniam K and Das R. Early discharge after primary percutaneous coronary intervention for ST-elevation myocardial infarction. European heart journal Acute cardiovascular care. 2013;2:262-9.
[11] Jones DA, Rathod KS, Howard JP, Gallagher S, Antoniou S, De Palma R, Guttmann O, Cliffe S, Colley J, Butler J, Ferguson E, Mohiddin S, Kapur A, Knight CJ, Jain AK, Rothman MT, Mathur A, Timmis AD, Smith EJ and Wragg A. Safety and feasibility of hospital discharge 2 days following primary percutaneous intervention for ST-segment elevation myocardial infarction. Heart (British Cardiac Society). 2012;98:1722-7.
[12] Valgimigli M, Frigoli E, Leonardi S, Vranckx P, Rothenbühler M, Tebaldi M, Varbella F, Calabrò P, Garducci S, Rubartelli P, Briguori C, Andó G, Ferrario M, Limbruno U, Garbo R, Sganzerla P, Russo F, Nazzaro M, Lupi A, Cortese B, Ausiello A, Ierna S, Esposito G, Ferrante G, Santarelli A, Sardella G, de Cesare N, Tosi P, van ‘t Hof A, Omerovic E, Brugaletta S, Windecker S, Heg D, Jüni P; MATRIX Investigators. Radial versus femoral access and bivalirudin versus unfractionated heparin in invasively managed patients with acute coronary syndrome (MATRIX): final 1-year results of a multicentre, randomised controlled trial. Lancet. 2018 Sep 8;392(10150):835-848.