INDICE DI MASSA CORPOREA Quando l’informazione può fare involontariamente del male
di Claudio Ferri
29 Gennaio 2013

Le agenzie di stampa in giro per il mondo si sono sbizzarrite nel presentare al pubblico una notizia apparentemente sorprendente.
Sia pur nei limiti di differenze che sono e restano minimali, infatti, ha suscitato l’immediato interesse dei giornalisti la recente pubblicazione di una rassegna sistematica con meta-analisi relativa ad una relazione paradossa tra indice di massa corporea e mortalità per tutte le cause.
La Dr.ssa Flegal del Center for Disease Control and Prevention del Maryland, insieme ad altri tre ricercatori di quello stesso o altri centri statunitensi e canadesi, ha analizzato 97 studi relativi a più di 2.88 milioni di individui, con più di 270.000 eventi letali, cardiovascolari e non cardiovascolari [JAMA, 2013;309(1):71-82], rilevando come l’Hazard Ratio per la mortalità da tutte le cause, prendendo come riferimento i soggetti con normale indice di massa corporea (18.5-<25 kg/m2), fosse pari a 0.94 (per i “tecnici” intervallo di confidenza I.C. al 95%, 0.91-0.96) per il sovrappeso (25-<30 kg/m2) e ad 1.18 (I.C. al 95%, 1.12-1.25) per l’obesità (indice di massa corporea >30 kg/m2), indicando quindi come il sovrappeso, ma non l’obesità possano essere lievemente vantaggiosi in termini di riduzione dell’Hazard Ratio per la mortalità da qualunque causa.


Di ancor maggiore interesse, dividendo in gradi l’obesità, quella di grado 1 (indice di massa corporea 30-<35 kg/m2) non conferiva alcun incremento dell’Hazard Ratio (0.95, I.C. al 95%, 0.88-1.01) per mortalità da tutte le cause, osservato invece nelle obesità ancora superiori (indice di massa corporea >35 kg/m2, Hazard Ratio = 1.29, I.C. al 95%, 1.18-1.41).
L’ulteriore analisi condotta per le fasce <65 anni e >65 anni rilevava come il trend osservato tendesse spesso ad acuirsi – sia pur lievemente – con l’avanzare dell’età.
Correttamente, alcune agenzie di stampa hanno intervistato la Dr.ssa Flegal – che, peraltro, già nel 2005 aveva pubblicato sullo stesso JAMA dati che rimarcavano il rischio correlato ad un basso indice di massa corporea – oppure altri esperti. Da tale interazione è uscito un messaggio improntato alla cautela, ai mille fattori confondenti e, soprattutto, al dato più incontestabile: il sovrappeso è sovente l’anticamera dell’obesità. Pertanto, anche se di grande interesse, i dati di JAMA non permettono di valutare tale possibile transizione, né di distinguere più a fondo cosa si nasconda dietro un indice di massa corporea alterato, né le eventuali interferenze tra tale alterazione e le prevedibili comorbidità, pre-esistenti oppure successive all’instaurarsi dell’eccesso ponderale. Come prevedibile, d’altra parte, l’articolo di Flegal et al. è stato accompagnato da un eccellente editoriale, in cui giustamente ci si chiede, tra l’altro, se non sia ora di riflettere più fattivamente sul ruolo predittivo dell’indice di massa corporea.
Visto da due diversi emisferi, scientifico e divulgativo, questo sopra riportato è un modo corretto di fare informazione. Si ascoltano le fonti, si riporta il dato al lettore, si forniscono allo stesso le diverse opinioni, salvaguardando il messaggio principale: “attenzione, anche fosse vero; ma è probabile che l’indice di massa corporea, il tipo di studio e mille altre cose almeno in parte ci ingannino; l’eccesso di peso è e resta un nemico da combattere”.
A tale modalità corretta, però, che vuole presentare i dubbi e le novità, ma senza voler per forza stupire, molte agenzie di stampa e, conseguentemente, molti giornalisti hanno riportato in varie parti del mondo la notizia con titoli sensazionalistici. Spesso, al titolo seguiva il tentativo efficace di spiegare, ma è noto come il lettore distratto di un quotidiano, di una rivista, di un giornale on-line, spesso è più attratto dal titolo e dalle figure che dall’articolo.

Pertanto, questo dei titoli a sensazione – sempre attenti di fronte al fragore dell’albero che cade e mai sensibile ai mille alberi che silenziosamente crescono – non è un buon modo per aiutare il medico a fare prevenzione. E’ possibile, infatti, che qualche chilogrammo in più possa aiutare, soprattutto l’ultrasessantacinquenne, in tante condizioni: dopo un intervento chirurgico d’urgenza, per superare una broncopolmonite o un evento traumatico, per sopportare una pesante chemioterapia e quant’altro. La valutazione di milioni di persone nel loro insieme, invece, non consente di vedere quelle decine di sfumature che – probabilmente in modo più comune – possono invertire questo piccolo vantaggio in un pesante svantaggio: perché i pochi chilogrammi in più diventano spesso negli anni decine di chilogrammi; perché spesso l’obeso è anche inattivo; perché obesità, ipertensione arteriosa e diabete sono tradizionali cattivi compagni; perché oltre la mortalità vi sono altre problematiche, che ad esempio nell’anziano possono legare pesantemente accumulo di massa grassa e riduzione della mobilità. O forse, più semplicemente, perché l’indice di massa corporea è un marcatore assai grossolano di cosa vuol dire obesità/sovrappeso, non distinguendo nemmeno tra eccesso di adipe a disposizione centrale o periferica.
Informare, quindi, significa spiegare semplicemente – senza pieghe come nell’etimo della parola – ma non semplicisticamente.
Ringraziamo sempre la stampa laica, preziosissima, e riflettiamo sulla meta-analisi di Flegal et al, pertanto, ma continuiamo a cercare di essere in linea con il peso.

Prof. Claudio Ferri
Direttore della Scuola di Medicina Interna
Università degli Studi L’Aquila