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Il Vericiguat, un nuovo farmaco per lo scompenso avanzato
di Alessandro Battagliese
08 Aprile 2020

Tra le novità dell’American College of Cardiology 2020 spicca lo studio VICTORIA, presentato come late breaking trial e pubblicato  nel New England Journal of Medicine. Un nuovo farmaco per lo scompenso cardiaco, il Vericiguat, è risultato efficace in un ampia popolazione di 5050 pazienti, con un quadro di scompenso avanzato. Il farmaco è stato testato contro una terapia ottimale per osservarne i risultati ad un anno (mediana 10,8 mesi).

Tra i criteri di inclusione spiccava la classe NYHA (II, III, or IV), la FE < 45% (in media 29%), valori di NT-pro-BNP elevati (soprattutto se paragonati a quelli dello studio PARADIGM-HF e DAPA-HF) ed una condizione di  scompenso cardiaco in peggioramento, definita come ricovero nei tre-sei mesi precedenti o l’impiego di terapia endovena negli ultimi tre mesi, che presenta un alto rischio di mortalità cardiovascolare e ripetuti ricoveri ospedalieri.

 

Perché il Vericiguat

 

Il vericiguat è un farmaco che agisce stimolando la via ossido nitrico (NO)-guanilato ciclasi solubile (sGC)-guanosina monofosfato ciclico (cGMP) che è alterata nello scompenso cardiaco. Questo a causa sia di una minore biodisponibilità del NO endogeno, sia di una ridotta affinità per NO della forma ossidata di sGC con ridotta produzione di cGMP. Tutto questo ha conseguenze sulla regolazione dell’energia miocardica, sulla performance ventricolare, sulla microcircolazione miocardica e sistemica, sulla funzione endoteliale e vascolare, sui processi infiammatori e sulla fibrosi.

Il vericiguat ha un’azione diretta sull’attività del sGC, aumentando l’affinità a livelli bassi di NO e conseguente aumento del cGMP senza la tolleranza tipica causata dai nitrati.

L’aumento della produzione di cGMP, riduce il tono vascolare arterioso ed ha azioni benefiche sul muscolo cardiaco a lungo termine prevenendo l’ipertrofia ed  il rimodellamento ventricolare.

La sGC, inoltre, svolge un ruolo chiave nella regolazione del tono vascolare polmonare.

 

I risultati dello studio

 

Le caratteristiche cliniche e demografiche dei due gruppi di confronto non presentavano variazioni significative. Il Vericiguat ha ridotto in modo significativo l’endpoint primario dello studio, inteso come rischio di mortalità cardiovascolare o ricovero in ospedale per insufficienza cardiaca (HF). L’evento composito si è verificato nel 35,5% dei pazienti trattati con Vericiguat in aggiunta alla terapia medica ottimale rispetto al 38,5% dei pazienti trattati con placebo in aggiunta  alla terapia medica ottimale (P = 0,02). Circa il 15% dei pazienti nei due gruppi assumevano terapia con sacubitril-valsartan.

Gli autori hanno sottolineato come fosse presente una riduzione assoluta di 4,2 eventi ogni 100 pazienti-anno ed il numero NNT (number needed to treat) apparisse ragionevolmente basso, con 24  pazienti da trattare per prevenire una morte cardiovascolare o ricovero per scompenso.

Riguardo gli end point singoli, il ricovero in ospedale per scompenso si è verificato nel 27.4% del gruppo in trattamento con vericiguat e nel 29.6% del gruppo di controllo (hazard ratio, 0.90; 95% CI, 0.81 to 1.00). La morte cardiovascolare invece non era significativamente differente nei due gruppi (16.4 % vs 17.5% rispettivamente) (hazard ratio, 0.93; 95% CI, 0.81 to 1.06).

 

Considerazioni sullo studio

 

Una prima osservazione è che lo studio VICTORIA fotografa i risultati ottenibili con il Vericiguat ed una terapia medica ottimale in una popolazione decisamente complessa. Non a caso l’incidenza del primary composite outcome si è verificato in un’alta percentale di casi (33,6%) e si è osservata la separazione delle curve di sopravvivenza già intorno a 3 mesi, quando si è registrava un tasso di eventi nel gruppo con placebo più terapia ottimale sorprendentemente alto.

Come infatti ha sottolineato Armstrong, la classe  NYHA class III or IV ed il valore basale di NT-proBNP erano statisticamente maggiori nei pazienti arruolati nel Victoria rispetto a trials recenti come il PARADIGM-HF (Prospective Comparison of Angiotensin Receptor–Neprilysin Inhibitor with Angiotensin-Converting- Enzyme Inhibitors to Determine Impact on Global Mortality and Morbidity in Heart Failure) ed il  DAPA-HF (Dapagliflozin and Prevention of Adverse Outcomes in Heart Failure).

Come seconda riflessione non si è osservata una significativa riduzione della mortalità, poiché l’endpoint primario composito era soprattutto guidato dalla riduzione dei ricoveri HF (HR 0,90; IC al 95% 0,81-1,00). Si notava unicamente un trend verso una riduzione del rischio di mortalità cardiovascolare, ma non si può escludere che con l’impiego di FU più lunghi il dato della riduzione di mortalità divenga significativo.

L’analisi per sottogruppi ha confermato l’efficacia del trattamento. Si osservava tuttavia un’interazione significativa con i livelli basali di NT-proBNP ed in particolare la mancanza di efficacia nei soggetti con i livelli più alti (NT-proBNP > 5,314 pg/mL).  Il dato merita ulteriori approfondimenti.

I dati sulla ipotensione sintomatica indotta dal trattamento sono incoraggianti con una percentuale di ipotensione sintomatica di poco superiore ( 9.1%)  nel gruppo Vericiguat group e del 7.9% in quello di controllo (P = 0.12). Anche la differenza riguardo gli episodi sincopali non differiva nei due gruppi. Il dato va visto in modo ottimistico relativamente all’aderenza alla terapia.

Andrà infine approfondita l’interazione vericiguat/sacubitril valsartan alla luce dei dati emersi nell’analisi per sottogruppi anche se la popolazione esaminata rappresentava solo il 15%

Bibliografia

 

  • Armstrong PW, Pieske B, Anstrom KJ, et al. Vericiguat in Patients with Heart Failure and Reduced Ejection Fraction. N Engl J Med, 2020 Mar 28. doi:10.1056/NEJMoa1915928 [Epub ahead of print]
  • McMurray JJV, Packer M, Desai AS, et al. Angiotensin–neprilysin inhibition versus enalapril in heart failure. N Engl J Med 2014; 371: 993-1004.
  • McMurray JJV, Solomon SD, Inzucchi SE, et al. Dapagliflozin in patients with heart failure and reduced ejection fraction. N Engl J Med 2019; 381: 1995-2008.