E’ tempo di doni. Tutti ci auguriamo che siano fatti con il cuore. Ma c’è un dono grande davvero. E’ quello di chi dona, famiglia e donatore, gli organi che permetteranno nuove vite. Rene o polmoni, fegato e cuore…
Al Duke University Hospital di Durham, North Carolina è stato trapiantato un cuore proveniente da un donatore di cui era già stata accertata la morte cardiaca, in altre parole un cuore che aveva già smesso di battere. Il cuore è stato trapiantato in un veterano over 60 affetto da grave insufficienza cardiaca ed aritmie ventricolari non più suscettibili di alcuna terapia medica né di trattamenti da parte dell’elettrofisiologo. Il cuore del donatore che aveva cessato di battere è stato perfuso con sangue caldo e mantenuto in tale sistema (TransMedics Organ Care System) fino a che non è stato trapiantato nel ricevente che sta discretamente e ora ha mosso i primi passi.
La sigla anglosassone di questa procedura, che viene comunemente riportata anche nei nostri documenti ufficiali, è DCD – donation after cardiac death. Si tratta di una situazione che differisce da quella della cosiddetta “morte encefalica”, situazione in cui vengono effettuati per il prelevamento degli organi tutti gli accertamenti necessari in 6 ore di osservazione durante le quali il soggetto è “a cuore battente” e in trattamento intensivo in un reparto di Rianimazione.
Nella donazione dopo “morte cardiaca” il cuore ha cessato di battere e tutti gli organi, a causa della cessazione della circolazione, sono soggetti ad ischemia. E’ chiaro quanto sia importante la conservazione della funzionalità di un organo perché questo possa essere utilizzato per un trapianto: tutto questo è reso possibile dalla messa a punto di sofisticate tecniche di perfusione artificiale degli organi dopo la cessazione della circolazione naturale. Rimandiamo di qui ai documenti ufficiali dei centri nazionali dei trapianti per la definizione degli accertamenti, dei tempi e delle procedure così complesse e dalle connotazioni etiche così importanti.
Ritorniamo alla DCD. In Australia, Inghilterra e in Belgio sono stati messi a punto dei programmi per i trapianti dopo morte cardiaca. Più di 100 trapianti di questo tipo sono stati effettuati nel mondo e il gruppo di Sidney ha riportato un elevato tasso di sopravvivenza ad un anno. Il Duke University Hospital di Durham, North Carolina è il primo centro, tra i cinque partecipanti negli Stati Uniti, ad effettuare un trapianto di questo tipo. Se la donazione degli altri organi da donatore in morte cardiaca è stata già utilizzata prevalentemente per polmoni e rene, la nuova tecnologia potrà permettere un allargamento del pool dei donatori di cuore di circa il 30%: si tratta di un passo importante nella cura degli ammalati in attesa di trapianto.
Antonella Labellarte
Cardiologa
Ospedale S. Eugenio, Roma