Il pacemaker senza fili (leadless): dall’elettrostimolazione alla sincronizzazione cardiaca
di Marco De Giusti intervista Filippo Stazi
10 Ottobre 2021

M. De Giusti: Quali sono stati i motivi che hanno portato allo sviluppo di un pacemaker senza elettrocateteri?

F. Stazi: L’intervento di impianto di pacemaker o defibrillatore transvenosi è gravato da un tasso di complicanze, a breve e a lungo termine, compreso tra il 9,5% ed il 12,6%. Le prime consistono principalmente nella dislocazione degli elettrocateteri, nella formazione di un ematoma della tasca, nello pneumotorace o nel tamponamento cardiaco. Le complicanze a lungo termine consistono invece in malfunzionamento degli elettrocateteri, endocarditi, ostruzione venosa, insufficienza tricuspidale grave, problemi della tasca come infezione o erosione della cute, che richiedono spesso un re-intervento e sono possibili cause di un aumento di morbidità e mortalità.

L’unica possibile soluzione a tali problemi è l’eliminazione delle due principali fonti di complicanze: gli elettrocateteri e la tasca. A tal fine sono stati sviluppati i cosiddetti pacemaker senza fili. Il primo (Nanostim) ha ricevuto il marchio CE nel 2013, ma dopo circa 1423 impianti, tra il 2013 ed il 2016, il suo utilizzo è stato sospeso a livello mondiale a causa di problemi con la batteria ed alcuni casi di distacco del bottone di aggancio. Il secondo device, (MICRA VR) è stato approvato dalla Commissione europea nel 2015 e dalla FDA l’anno successivo. A Gennaio 2020 è stato inoltre approvato, sia un Europa che negli Stati Uniti, sulla base dei risultati dello studio MARVEL 2, il dispositivo MICRA AV, simile al suo predecessore, ma con in più la capacità di mantenere intatto il sincronismo atrio-ventricolare.

M. De Giusti: Quali sono le caratteristiche tecniche e come vengono impiantati attualmente i pacemaker senza fili?

F. Stazi: I pacemaker senza fili vengono impiantati nel ventricolo destro, sul setto interventricolare, ove vengono fatti giungere tramite un apposito catetere, percorrendo la vena femorale prima e la vena cava inferiore poi. Il MICRA si aggancia al setto interventricolare attraverso quattro barbe in nitinolo che si incastrano tra le trabecole muscolari. Sia il Nanostim che il Micra pesano 2 grammi ma il primo è più lungo (41,4 mm) e stretto e può pertanto essere impiantato con un introduttore del diametro di 18 F, mentre il secondo è più corto (25,9 mm), ma più largo e richiede un introduttore dal diametro di 23 F. Entrambi sono compatibili con l’esecuzione di indagini di risonanza magnetica (RMN): il Nanostim con campo magnetico fino a 1,5 Tesla, il Micra anche fino a 3 Tesla. Tutti e due i dispositivi hanno la funzione rate responsive. Il MICRA AV al momento è l’unico in grado di sentire anche la contrazione atriale e mantenere il sincronismo atrio-ventricolare. La longevità prevista ai parametri nominali di stimolazione è di 15 anni per il Nanostim e di 12,5 anni per il Micra. Al momento, dato il limitato numero di anni intercorsi dai primi impianti non è però possibile essere certi di tali stime. Il Nanostim interagisce con il programmatore della casa produttrice e mostra l’elettrogramma endocavitario, lo status del device e può essere programmato. Il Micra interagisce con il programmatore della casa produttrice, ha l’algoritmo di autocattura e fornisce dati sulla percentuale di stimolazione, sull’ampiezza del segnale endocavitario ventricolare (sensing), sulla soglia e sull’impedenza di stimolazione.

M. De Giusti: Quali sono i dati clinici disponibili ad oggi per i sistemi leadless ed esiste un confronto diretto con i pacemaker transvenosi?

F. Stazi: Non esistono, ad oggi, confronti diretti, randomizzati, tra pacemaker leadless e dispositivi transvenosi. Sono stati effettuati solo dei confronti tra gruppi storici. Nello studio MICRA TPS, il dispositivo leadless è stato confrontato con un gruppo di controllo storico di 2.667 pazienti impiantati con pacemaker transvenosi, sia mono- che bicamerali. Il tasso di complicanze maggiori è risultato del 4.0% nel gruppo Micra e del 7.6% nel gruppo di controllo (hazard ratio 0.52, 95% CI 0.35–0.77; P = 0.001). Tale riduzione si associava ad un calo del 47% nella durata dei ricoveri ed una riduzione dell’82% delle revisioni di dispositivo. Il massimo vantaggio con i leadless si ha nella riduzione delle complicanze tardive, quelle ovvero che si verificano a oltre 3 mesi dall’impianto. Il tasso di perforazioni cardiache/versamento pericardico, invece, è maggiore nei pacemaker leadless. Una meta-analisi di 28 studi, comprendenti 60.744 soggetti impiantati convenzionalmente, ha infatti mostrato un’incidenza di perforazioni dello 0,82% con i dispositivi transvenosi, contro l’1,6% degli studi con i nuovi dispositivi. Il rischio d’infezione con i leadless è senz’altro inferiore rispetto ai dispositivi tradizionali e, in aggiunta, sembra gestibile con la terapia antibiotica, senza dover ricorrere all’espianto del device.

M. De Giusti: A quali pazienti impianterebbe oggi un pacemaker leadless?

F. Stazi: In considerazione della capacità del dispositivo di stimolare solo la camera ventricolare, l’indicazione principale risiede nella fibrillazione atriale a bassa frequenza. Il pacemaker leadless può comunque essere preso in considerazione anche in caso di blocchi AV parossistici, malattia del nodo del seno o sincope, in cui non sia attesa un’elevata percentuale di pacing. Il MICRA AV è inoltre in grado di preservare il sincronismo atrio-ventricolare nei pazienti che sono in ritmo sinusale. Altri casi in cui il leadless può essere la scelta migliore sono i pazienti ad alto rischio d’infezione sistemica o che hanno già sperimentato un’infezione di un dispositivo cardiaco impiantabile. Il pacing leadless, inoltre, è la sola possibilità (eccetto l’accesso epicardico con le sue intrinseche difficoltà ad ottenere soglie basse e stabili) quando il sistema venoso centrale superiore è danneggiato, come nel caso di precedente impianto di pacemaker transvenoso, infezione di cateteri a permanenza, chirurgia toracica, radioterapia per tumori toracici o traumi. I nuovi dispositivi andrebbero poi fortemente considerati in caso di dialisi sia per risparmiare gli accessi venosi necessari per le fistole, sia perchè l’aumentato tasso di batteriemie transitorie durante la dialisi, può portare ad infezione ematogena degli elettrocateteri. I pacemaker leadless, invece, sono meno proni a tali infezioni, probabilmente per le loro piccole dimensioni e per l’essere incapsulati all’interno della parete del cuore.

M. De Giusti: Quali novità riserverà il futuro per la teconologia leadless?

F. Stazi: Abbiamo già parlato del MICRA-AV che di fatto rende possibile ai pacemaker leadless una stimolazione in modalità VDD. Va però precisato che il sistema non permette di mantenere il sincronismo per frequenze cardiache maggiori di 105 bpm e quindi al momento non è la scelta ottimale nei soggetti giovani o comunque fisicamente attivi.

Sono allo studio dei sistemi di stimolazione leadless bicamerali, con due dispositivi impiantati sia in atrio che in ventricolo, capaci di dialogare tra di loro in tempo reale, mediante l’emissione e la ricezione di segnali. Al fine di assicurare una congrua longevità della batteria tale comunicazione deve richiedere un minimo consumo energetico. Ognuno dei due dispositivi emette piccoli segnali di corrente alternata, che vengono trasmessi ai tessuti attraverso cui si propagano e vengono rilevati quasi simultaneamente dall’altro device, così da fornire una stimolazione sincronizzata atrioventricolare.  Il consumo energetico sembra di modesta entità, circa lo 0,1% del consumo totale, e non tale, quindi, da ridurre significativamente la durata della batteria. La trasmissione del segnale non ha indotto aritmie né surriscaldamento dei tessuti. Il sistema deve ovviamente essere testato nell’uomo prima di poter esprimere ulteriori commenti al riguardo. Restano ancora da fugare, tra l’altro, i giusti timori legati al rischio di perforazione di una parete sottile come quella dell’atrio in corso della procedura d’impianto.

M. De Giusti: Sarà possibile accoppiare dispositivi leadless con altri pacemaker o defibrillatori?

F. Stazi: In alcuni casi è stata dimostrata la possibilità dell’uso combinato di un pacemaker leadless e di un defibrillatore sottocutaneo. In particolare, il pacing del sistema di stimolazione viene correttamente interpretato dal defibrillatore, la contemporanea comunicazione dei due dispositivi coi rispettivi programmatori non interferisce con il loro funzionamento; la comunicazione tra il pacemaker leadless ed il suo programmatore non induce fenomeni di oversensing nel defibrillatore sottocutaneo e, infine, lo shock erogato dal defibrillatore non ha modificato posizione e funzione del device leadless.

M. De Giusti: Come vede la possibilità di praticare la terapia di resincronizzazione cardiaca senza utilizzare cateteri?

F. Stazi: La terapia di resincronizzazione cardiaca tradizionale ha una significativa percentuale di insuccesso, sia per l’impossibilità di posizionare il catetere destinato alla stimolazione del ventricolo sinistro, sia per la mancata risposta alla stimolazione. Tali aspetti negativi potrebbero essere superati dal ricorso alla stimolazione endocardica del ventricolo sinistro, che offre i vantaggi di un’attivazione più fisiologica, dall’endocardio all’epicardio, e quindi più efficace, di una maggiore libertà nel posizionamento dell’elettrodo e dell’assenza di stimolazione del nervo frenico, una delle cause più frequenti di fallimento dell’impianto della CRT transvenosa.

Attualmente è in corso di avanzata sperimentazione una metodologia wireless di stimolazione endocardica del ventricolo sinistro mediante il sistema WISE-CRT. Tale sistema fornisce una stimolazione wireless trasmettendo energia acustica da un trasmettitore generatore di impulsi, impiantato sottocute, ad un elettrodo ricevitore, impiantato nella parete del ventricolo sinistro. Questo converte l’energia acustica in energia elettrica e la utilizza per il pacing. Il generatore di impulsi è costituito da una batteria e dal trasmettitore collegati tra loro via cavo. Il sistema WISE-CRT può essere impiantato con qualsiasi dispositivo capace di stimolare il ventricolo destro. La stimolazione biventricolare è ottenuta attraverso il sensing del segnale prodotto dal pacing del ventricolo destro operato dal device coimpiantato. Tale segnale viene utilizzato come trigger della stimolazione ventricolare sinistra. L’impianto del WISE-CRT è in due step successivi: nel primo il generatore è chirurgicamente impiantato in uno spazio intercostale, in genere tra il quarto e il sesto, lungo la linea parasternale; nel secondo l’elettrodo wireless è impiantato nella parete del ventricolo sinistro, dove viene fissato con un sistema di ancoraggio a barbe, per via transaortica retrograda o, in alternativa, mediante approccio transettale.

M. De Giusti: Quali sono al momento i limiti della resincronizzazione cardiaca leadless?

F. Stazi: Il WISE-CRT è un dispositivo interessante e ricco di potenzialità ma, al momento, ancora frenato da importanti limitazioni. Innanzitutto, per ottenere un’ottimale stimolazione del ventricolo sinistro, il trasmettitore deve riuscire a concentrare sull’elettrodo ricevente l’energia acustica prodotta. Una importante angolazione tra i due componenti del sistema, una distanza tra loro superiore a 10 cm o l’assenza di una buona finestra acustica (evento che si verifica in circa il 10% dei pazienti) tra i due dispositivi riduce pertanto l’efficienza del sistema. Inoltre, in soggetti con marcata dilatazione ventricolare può essere difficile posizionare l’elettrodo in alcuni segmenti della parete laterale del ventricolo, in quanto la delivery sheath al momento prevede un solo tipo di curva. Altro aspetto da considerare è il possibile rischio di eventi tromboembolici a seguito dell’impianto nella parete del ventricolo sinistro dell’elettrodo. Poiché il tasso di complicanze, anche gravi, non è trascurabile, per il momento la procedura è da limitare ai centri con maggiore expertise e avvalendosi sempre dello stand-by cardiochirurgico. Altro aspetto che necessita un miglioramento tecnologico è l’impossibilità del dispositivo di determinare la percentuale di effettiva stimolazione biventricolare. Infine, bisogna considerare la possibilità di esaurimenti delle batterie in tempi diversi, con la conseguente necessità di multipli interventi di sostituzione.

M. De Giusti: Per concludere, quali sono i take-home messages della nostra chicacchierata?

F. Stazi: In conclusione ritengo che è senz’altro possibile affermare che l’a stimolazione leadless del ventricolo destro è ormai realtà, soprattutto in pazienti con indicazioni e caratteristiche cliniche ben precise, anche in assenza di studi randomizzati a sostegno del suo utilizzo. La riduzione dei costi dei dispositivi e il raffinamento degli algoritmi di sincronizzazione atrioventricolare ne sanciranno in futuro la maggiore diffusione.

La possibilità poi di avvalersi della tecnologia leadless anche per la terapia di resincronizzazione, invece, è al momento opzione promettente ma, in attesa di studi randomizzati dotati di casistiche robuste e follow up adeguati, va considerata ancora come una terapia di nicchia, da limitare ai centri ad elevata specializzazione ed in pazienti in cui la resincronizzazione convenzionale sia stata impossibile o inefficace.