Il Miocardio Ischemico e il Ferro: una Convivenza Necessaria.
di Rosa Maria Manfredi
20 Febbraio 2024

Introduzione: In Letteratura è stato dimostrato che nei pazienti con insufficienza cardiaca (HF) e carenza di Fe (Fe), il trattamento con Fe endovena (e.v.) migliora i sintomi, la qualità della vita e le ospedalizzazioni, pur in assenza di anemia, e questo è evidente soprattutto nei pazienti con una eziologia ischemica dello HF [1].

Scopo dello Studio: Lo scopo di questa Review [1] è inquadrare la relazione tra ipossia e la carenza di Fe, anche a livello molecolare, in modo da dare un razionale per l’eventuale uso della supplementazione di Fe in pazienti con sindromi coronariche acute e croniche.

Razionale scientifico in pillole: Il metabolismo e l’utilizzo del Fe nei Cardiomiociti: Il miocardio ha un elevato consumo di ossigeno, che dipende in modo critico dalla continua disponibilità di Fe, poiché molti enzimi coinvolti nel metabolismo energetico sono Fe-dipendenti. Il Fe internalizzato nel citoplasma costituisce il pool dinamico del Fe labile citosolico, da cui il Fe viene distribuito in quattro vie principali: 1) deposito nella ferritina citoplasmatica (Ft), che conserva la maggior parte del Fe intracellulare (circa il 65-70%) e si comporta come un tampone intracellulare, prevenendo il sovraccarico o la carenza di Fe; il restante il 45% è suddiviso tra: 2) l’incorporazione nelle proteine citoplasmatiche che richiedono Fe (proteine contenenti cluster Fe-zolfo [Fe-S] (circa 10–15%) e proteine non contenenti Fe-[Fe-S], circa l’85–90%); 3) trasporto nei mitocondri, i quali utilizzano circa il 55% del Fe intracellulare; 4) trasporto retrogrado allo spazio extracellulare, infatti limitare la quantità di Fe citosolico è fondamentale per la sopravvivenza cellulare, poiché impedisce la possibilità di innescare la reazione di Fenton, attraverso la quale il Fe reagisce con l’ossigeno (O2) per formare l’anione superossido, e specie reattive dell’ossigeno (ROS).

Nei mitocondri, a sua volta, il Fe è destinato: 1) Alla sintesi dei cluster eme e [Fe-S], (circa il 25–30%); 2) allo stoccaggio nella ferritina mitocondriale o nelle forme Fe3+-ossiidrossi; 3) al pool di Fe labile mitocondriale, che può innescare, come nel citosol, la reazione di Fenton.

Il contenuto di Fe dei cardiomiociti riflette l’equilibrio tra l’afflusso e il deflusso di Fe e, se vi è una sua carenza, vengono attivati meccanismi compensatori trascrizionali mediante la stabilizzazione degli mRNA delle proteine trasportatrici intracellulari e l’inibizione delle proteine esportatrici e della ferritina, così da aumentare il Fe disponibile per l’utilizzo. Questi cambiamenti sono controllati dall’azione di proteine regolatrici, le quali mediante meccanismi autocrini svincolano il controllo del Fe dei cardiomiociti da quello sistemico.

La biochimica dell’ischemia: Nel cardiomiocita ischemico vi è uno spostamento del metabolismo, dalla β-ossidazione degli acidi grassi e della catena di trasporto degli elettroni, alla glicolisi anaerobica, attraverso la forma attiva del fattore 1 alfa inducibile dall’ipossia (HIF-1α), che si sposta nel nucleo, dove lega le regioni regolatrici dei geni bersaglio metabolici. HIF-1α, inoltre, oltre ad essere attivata dall’ischemia è anche attivata dalla carenza di Fe, inducendo l’assorbimento del Fe attraverso l’aumento dell’attività trascrizionale dei geni ad esso correlati.

Pertanto sia nel miocardio ibernato, che nell’ischemia ripetuta, vi è una attivazione di HIF-1α e la sua azione persistente può produrre nel tempo una grave cardiomiopatia, e ciò può essere ulteriormente amplificato da una contemporanea carenza di Fe, la quale anche a sua volta può interferire con l’omeostasi del Ca2+, con aumento del Ca2+ citosolico e mitocondriale [1]. L’alterazione del Ca2+ mitocondriale, a sua volta, diminuisce la trascrizione e l’attività dei Citocromi della catena di trasporto degli elettroni, con conseguente riduzione dell’energia prodotta, rendendosi responsabile del rimodellamento post-ischemico avverso in cuori con carenza di Fe esposti a ischemia e a episodi di ischemia/riperfusione (I/R).

Dalla biochimica alla clinica: In considerazione di tali fattori biochimici sono stati effettuati Studi che hanno valutato il contenuto di Fe del miocardio in pazienti (pz) con HF avanzata sottoposti a trapianto cardiaco, con e senza eziologia ischemica (EI), riscontrando, in tali pz, un minor contenuto di Fe nel miocardio (MID), tra -20% e -36% circa, soprattutto nei pz con EI  dell’HF; parimenti nei pz con HF e un ridotto contenuto di Fe nel miocardio, anche senza EI, la malattia coronarica sembrava essere più frequente (55% contro 40%) e significativamente più estesa.

Uno Studio di Inserte J. et al [2], ha dimostrato che la MID nei topi, così come nell’uomo, presente prima e all’esordio dell’infarto miocardico, è correlata con una maggiore area infartuale, con la presenza di ostruzione microvascolare, un aumento dei volumi ventricolari e conseguente disfunzione ventricolare sinistra (VS). Tali effetti negativi, nel gruppo sperimentale animale (topi) sono stati ridotti dall’integrazione preventiva di Fe per via e.v.. La carenza di Fe, infatti, diminuisce l’attività della via endoteliale dell’ossido nitrico sintasi (eNOS) e aumenta lo stress ossidativo, rendendosi responsabile del rimodellamento post-ischemico avverso in cuori con carenza di Fe esposti a ischemia e ad episodi di ischemia/riperfusione (I/R).

Ma una volta che il danno miocardico si è verificato, l’integrazione di Fe nei pz con carenza, può limitare il rimodellamento negativo?: Un interessante Studio sui ratti [3] trattati con terapia marziale e.v. 4 settimane dopo l’induzione di infarto miocardico (IMA) per indurre HF, rispetto ai controlli,  presentavano una migliore frazione di eiezione del VS, minori volumi del VS, una migliore omeostasi del Ca2+ intracellulare e un aumento dell’attività degli enzimi antiossidanti dei cardiomiociti, associato a una riduzione della proteina C reattiva.

Ancora, nei pz con sindromi coronariche acute o croniche, esistono prove che la carenza sistemica di Fe (SID) è altamente prevalente e correla con una prognosi peggiore, un rimodellamento miocardico avverso nel post-infarto e un aumento della mortalità cardiovascolare o per tutte le cause. Infatti la prevalenza della carenza di Fe nelle sindromi coronariche acute varia dal 29% al 60%, ed è più frequente nelle donne e nei pz con diabete o anemia. La SID, però, non sembra correlata con il contenuto di Fe del miocardio (MID), per la priorità al cardiomiocita concessa dai meccanismi di regolazione del Fe, pertanto, in alcuni pazienti con SID, il contenuto di Fe nel miocardio può essere preservato. D’altra parte, vi possono essere cause intrinseche di MID, infatti l’attivazione neuroormonale (sistema adrenergico e dell’Angiotensina II) può essere associata ad una diminuzione del contenuto di Fe nel miocardio [4].

Inoltre, un piccolo Studio caso-controllo [5] ha riportato un effetto positivo sulla dimensione dell’infarto e sul volume ventricolare sinistro in pz con sideremia normale, trattati con Fe per via e.v. entro 4 giorni dopo un infarto miocardico acuto, sebbene il contenuto di Fe nel miocardio non fosse stato valutato.

Considerazioni e Conclusione: Questo Studio [1] ha il merito di concentrare l’attenzione sulla carenza di Fe nell’ischemia miocardica evidenziando a mio avviso due punti principali: 1) la carenza di Ferro inficia la capacità del miocita sia di produrre energia, che di difendersi dall’ossidazione con conseguente maggiore vulnerabilità alle noxe patogene e all’ischemia, 2) la malattia coronarica stessa, e la sua estensione, sono maggiormente presenti nei pz con carenza di Fe e HF, pur senza infarto miocardico, evidenziando come il deficit di Fe alteri la capacità antiossidativa del sistema cardiovascolare. I piccoli Studi sperimentali eseguiti pongono, inoltre, una luce favorevole sul possibile beneficio clinico dell’integrazione di Fe nelle sindromi coronariche acute, e forse anche nella cardiopatia ischemica cronica. Sono tuttavia necessari ulteriori studi sperimentali per confermare tali ipotesi.

Bibliografia:

  1. Francesco CorradiGabriele MasiniTonino BucciarelliRaffaele De Caterina: Iron deficiency in myocardial ischaemia: molecular mechanisms and therapeutic perspectives. Cardiovasc Res. 2023 Nov 15;119(14):2405-2420.
  2. Inserte J, Barrabes JA, Aluja D, Otaegui I, Baneras J, Castellote L, Sanchez A, Rodriguez-Palomares JF, Pineda V, Miro-Casas E, Mila L, Lidon RM, Sambola A, Valente F, Rafecas A, Ruiz-Meana M, Rodriguez-Sinovas A, Benito B, Buera I, Delgado-Tomas S, Beneitez D, Ferreira-Gonzalez I. Implications of iron deficiency in STEMI patients and in a murine model of myocardial infarction. JACC Basic Transl Sci 2021;6:567–580.
  3. Paterek A, Kepska M, Sochanowicz B, Chajduk E, Kolodziejczyk J, Polkowska-Motrenko H, Kruszewski M, Leszek P, Mackiewicz U, Maczewski M. Beneficial effects of intravenous iron therapy in a rat model of heart failure with preserved systemic iron status but depleted intracellular cardiac stores. Sci Rep 2018;8:15758.
  4. Tajes M, Diez-Lopez C, Enjuanes C, Moliner P, Ferreiro JL, Garay A, Jimenez-Marrero S, Yun S, Sosa SG, Alcoberro L, Gonzalez-Costello J, Garcia-Romero E, Yanez-Bisbe L, Benito B, Comin-Colet J. Neurohormonal activation induces intracellular iron deficiency and mitochondrial dysfunction in cardiac cells. Cell Biosci 2021;11:89.
  5. Florian A, Ludwig A, Rosch S, Yildiz H, Klumpp S, Sechtem U, Yilmaz A. Positive effect of intravenous iron-oxide administration on left ventricular remodelling in patients with acute ST-elevation myocardial infarction – a cardiovascular magnetic resonance (CMR) study. Int J Cardiol 2014;173:184–189.